La troll farm americana

Oggi siamo tutti molto impegnati a parlare di disinformazione e propaganda che arriva dai Paesi dell’Est, specie dalla Russia. Qui su BUTAC ce ne siamo occupati tante volte, come ben sapete, ma questo non significa che quella russa sia l’unica disinformazione in circolazione, anzi. Il rischio che altri noti disinformatori seriali passino in sordina – vista l’infodemia che permea il dibattito pubblico da anni – è forte, per cui abbiamo creduto di fare cosa utile nel raccontarvi una storia che forse è passata sottotraccia sui quotidiani italiani.

Mentre eravamo tutti impegnati a guardare a est verso la fredda Russia, in Arizona qualcuno stava progettando campagne disinformative molto più eleganti e sottili di quelle a cui ci hanno abituato i troll dell’Est Europa. Campagne basate su persone reali, coordinate come un gruppo di ballo sincronizzato e praticamente invisibili agli osservatori internazionali.

Quel qualcuno ha un nome che oggi tutti conoscete: Charlie Kirk.

Turning Point USA

SI tratta di un’organizzazione ultraconservatrice fondata dallo stesso Kirk, organizzazione molto attiva nel mobilitare i giovani dell’ultradestra per spingere cause vicine ai repubblicani. Proprio nel 2020, durante la campagna elettorale per rieleggere Trump, Turning Point con Kirk ha messo in piedi un’operazione senza precedenti per gli Stati Uniti:

  • ha reclutato adolescenti e giovani, anche minorenni, in diversi Stati USA;
  • li ha pagati per pubblicare post coordinati a favore di Trump, contro il voto per corrispondenza e pieni di disinformazione sul COVID-19;
  • ha fornito script precompilati, da copiare e modificare leggermente per evitare di essere beccati dagli algoritmi anti-spam delle piattaforme.

Ad accorgersi che c’era qualcosa di strano fu il Washington Post, che rivelò che erano stati individuati quasi 4500 tweet praticamente identici, diffusi da profili reali. Profili che evidentemente avevano un’agenda ben precisa da rispettare.

La strategia vincente

La chiave di volta della campagna portata avanti da Turning Point era proprio quella: usare gente reale. E lasciatemelo dire, anche qui da noi – fin dal 2016 a mio avviso – si sta facendo la stessa identica cosa. Le contromisure erano progettate per individuare bot e fake account. Ma quando la disinformazione passa attraverso persone reali, tutto cambia: i radar addestrati a individuare le automazioni non la vedono più.

E difatti, proprio per l’uso di soggetti reali e non bot, gli unici a rendersi conto della strategia disinformativa in atto furono i giornalisti del Washington Post, che notarono un pattern che si ripeteva. E non si tratta di un fenomeno confinato agli Stati Uniti. Anche da noi appunto, negli anni successivi, abbiamo visto dinamiche simili: ad esempio tra il 2013 e il 2019 notizie che partivano dal basso e avevano come protagonisti quasi sempre gli immigrati trovavano spesso spazio sulla stampa generalista, grazie alle molteplici condivisioni social fatte da persone reali – quasi sempre attivisti di specifiche fazioni politiche – senza che venissero mai verificate. E qui in Italia sta succedendo di nuovo.

La disinformazione domestica premia

Questo sistema di disinformazione che sfrutta persone reali funziona, perché riesce a bucare le echo chamber molto più delle vecchie strategie legate all’utilizzo massiccio di bot che condividevano contenuti falsi, ma sempre all’interno della stessa bolla in cui le convinzioni che si volevano diffondere erano già radicate. E difatti sono tante le campagne di disinformazione che oggi operano alla stessa maniera, sfruttando soggetti sul territorio, dando loro istruzioni su come aprire finte testate giornalistiche che diffondano contenuti di propaganda, ma senza gli eserciti di bot (tutti uguali e ripetitivi) che vedevamo prima. Quando chi governa decide di chiudere gli occhi e non prendere contromisure adeguate per limitare questa diffusione di disinformazione la situazione diventa grave: l’abbiamo visto con le elezioni in USA, ma lo vediamo anche qui da noi dove chi governa sembra apprezzare la disinformazione che circola invece che cercare sistemi per limitarla.

L’eredità di Kirk

Dopo l’assassinio di Kirk, l’estrema destra americana ed europea ha rapidamente trasformato la sua figura in quella di un martire. Un martire da celebrare, un martire da difendere:

Un martire utile a rinsaldare la narrativa vittimista: i conservatori come bersagli dell’odio “liberal” di sinistra, perseguitati da élite ostili e censurati da un establishment malevolo.

Dall’Italia di Giorgia Meloni alla Francia di Zemmour, passando per il Parlamento europeo, Kirk è stato evocato in comizi, hashtag e perfino candidature simboliche a premi per i diritti umani. Non serve che gli elettori sappiano chi fosse davvero: la sua immagine funziona come un logo, un Che Guevara al contrario, brandito per rinsaldare appartenenze e polarizzare il discorso.

Per noi fact checker Charlie Kirk è stato un  innovatore, ma non nel senso buono del termine. Ha capito come sfuggire ai controlli automatici dei social network, come diffondere disinformazione su larga scala, difficile da smentire. Kirk ha spostato l’infodemia nelle case degli americani, provocando gran parte di quello che stiamo vivendo oggi.

In conclusione

Credo non ci sia modo migliore per chiudere questo editoriale che citare l’amico Antoine de Gunzbourg, esperto di sicurezza che si occupa di metodologie e strutture OSINT per contrastare la disinformazione:

…despite the voices claiming “Fact checking is not enough” and “OSINT being Open it’s too complicated”, I still believe these techniques are far better techniques against fascism than political assassination.

Che tradotto:

…nonostante le voci che affermano “il fact checking non è sufficiente” e “l’OSINT è troppo complicato”, continuo a credere che queste tecniche siano di gran lunga migliori contro il fascismo rispetto all’assassinio politico.

Da fact checker non posso che concordare.

maicolengel at butac punto it

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L’articolo La troll farm americana proviene da Butac – Bufale Un Tanto Al Chilo.

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