L’estrema destra è online: il terreno fertile che Meta non bonifica
Digitale, veloce ma non meno priva di conseguenze. L’estremismo di destra non è più un fenomeno solo “di nicchia” o legato a luoghi fisici, ma una realtà in evoluzione che si sviluppa e si amplifica online, in particolare su piattaforme come Facebook. Un contesto che, come dimostrato da un’inchiesta del Guardian, è diventato terreno fertile per la diffusione di idee sempre più estreme, capace di coinvolgere anche utenti che normalmente non risulterebbero in target, spesso perché esposti casualmente dagli algoritmi a contenuti polarizzanti.
Ma quali sentimenti si attivano in queste comunità virtuali e quali effetti hanno sulla vita fuori dallo schermo?
Le chiavi di volta sono principalmente due: la disumanizzazione e la sfiducia nelle istituzioni. Ridurre l’altro a “parassita” o “animale” riesce a eliminare l’empatia. Sdoganando un linguaggio aggressivo, volgare e pieno di odio, si innesca la paura o il disgusto dei membri, convincendoli che l’azione contro il bersaglio sia accettabile e necessaria per l’autoconservazione. In questo modo si riescono a giustificare attacchi, esclusione o discriminazione che non tutti gli utenti attuerebbero così facilmente nella vita offline.
Ed è proprio questo il punto: l’anonimato e la distanza data dallo schermo facilitano l’uso di un linguaggio violento. Allo stesso tempo, disumanizzando l’altro, i membri si sentono meno responsabili delle conseguenze delle loro parole, in quanto non stanno attaccando persone reali, ma “entità” inferiori o pericolose.
Questa dinamica funge da collante, rafforzando l’identità del gruppo, che si autoproclama l’unica fonte di “verità” nascosta volontariamente dalle istituzioni (i “media mainstream”, la “politica corrotta”).
Ciò porta a un isolamento cognitivo in cui i membri accettano solo le informazioni che confermano la loro visione del mondo, rafforzando la polarizzazione tra “loro” e “il sistema”. Uno smaccato senso di alterità che spiana la strada all’accettazione (o alla richiesta) di azioni extra-istituzionali o violente. La comunità virtuale diventa, in questa visione distorta, l’unico modo per risolvere i problemi sociali.
Se le istituzioni sono percepite come nemiche, infatti, l’azione della comunità virtuale diventa l’unica via di cambiamento. I leader online sfruttano la rabbia sociale e la disinformazione per indirizzarle verso un obiettivo unico (come gli immigrati durante le proteste di Southport), anche grazie alla “percezione errata del consenso”. Gli utenti infatti sono portati erroneamente a pensare che anche fuori dalla rete il proprio punto di vista sia largamente diffuso, pur essendo, in realtà, rinchiusi in una bolla.
Valori tradizionali, nazionalismo, attacchi alle minoranze: le narrazioni dell’estrema destra non sono cambiate. La novità è il terreno in cui si gioca la partita. Strumenti come video fabbricati, deepfake e amplificazione algoritmica aumentano la velocità con cui i soggetti finiscono in questo “motore di radicalizzazione” in cui la violenza online si affianca a quella fisica.
Ma Meta come si pone di fronte a questi gruppi?
La piattaforma di Zuckerberg si trova in una posizione contraddittoria. Da un lato, l’applicazione delle restrizioni è complessa, perché i gruppi di estrema destra usano spesso linguaggio in codice e meme per eludere la moderazione. Dall’altro, però, l’allentamento sulla moderazione del discorso politico e la riduzione del fact-checking hanno reso Facebook un ambiente più favorevole alla normalizzazione dei discorsi d’odio e delle teorie cospirative.
È fondamentale che le piattaforme riconoscano e arginino questi spazi che svolgono un ruolo nella radicalizzazione. L’unica difesa in questo motore sempre più veloce risiede nella consapevolezza critica dell’utente e nella responsabilità delle piattaforme di non cedere spazio all’odio strutturale. La radicalizzazione di estrema destra ha infatti trovato nel digitale un amplificatore di odio e un rifugio dall’empatia. Finché giganti come Meta saranno disposti a sacrificare la sicurezza per ideologia o per profitto, il motore della disinformazione continuerà a spingere l’odio online verso la violenza nelle piazze.
Beatrice D’Ascenzi
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