Vaccini anti-COVID e cancro, di nuovo…

Facendo una breve ricerca su BUTAC, si trovano tantissimi articoli in cui viene affrontato il legame fra vaccini anti-COVID e rischio di tumori.
Fin dall’inizio della sua diffusione, infatti, uno dei cavalli di battaglia della galassia anti-vaccinista è stata la cancerogenicità del vaccino, accusato di causare “turbo-tumori” ed eventi avversi vari.

Oggi siamo qui per parlare di nuovo di questa teoria, in seguito alla pubblicazione di un articolo su uno studio sudcoreano che sembrerebbe aver trovato una correlazione fra vaccinazioni anti-COVID e tumori.

Iniziamo col dire che il pezzo è in realtà la traduzione di un articolo inglese pubblicato sul sito di un’organizzazione anti-vaccinista così importante da avere la sua pagina Wikipedia.
Si tratta della Children’s Health Defense, un’associazione supportata anche dall’attuale segretario alla salute degli USA, Robert F. Kennedy Jr., ritenuta una fonte di disinformazione sui vaccini e co-responsabile dell’esitazione vaccinale negli USA, di cui su BUTAC abbiamo parlato diverse volte.
Aprendo uno dei loro articoli, la pagina viene oscurata da questo pop up:

Non so quanto sia credibile il loro gridare alla censura considerando che hanno un sito, abbastanza soldi da aver pagato Kennedy più di 20 000$ alla settimana per un certo periodo e abbastanza potere da spingere gli USA a reinstaurare una task force sulla sicurezza vaccinale nei bambini smantellata nel 1998, con lo specifico scopo di avere vaccinazioni “che causino reazioni avverse meno frequenti e numerose rispetto ai vaccini ad oggi sul mercato”.

Ma torniamo all’articolo.
Devo onestamente ringraziare chi l’ha scritto perché dopo aver introdotto i risultati di questo studio ha aggiunto che buona parte della comunità scientifica ha subito criticato metodi e risultati, linkando un ottimo articolo di debunking pubblicato su MedPage.

Innanzitutto, lo studio non è stato pubblicato come articolo, ma come lettera all’editore della rivista (Biomarkers Research, parte del gruppo Springer-Nature).
Questo è importante perché la rivista è peer-reviewed, ma non è detto che la corrispondenza lo sia, quindi il processo di pubblicazione non è del tutto chiaro. Anche perché nella lettera non vengono riportati metodi e analisi statistica, che devono essere cercate nel materiale supplementare, rendendo tutto più ostico.

La progettazione dello studio non sembra essere particolarmente accurata perché la popolazione esaminata non è stata stratificata per storia familiare e sceening precedenti. Questi due fattori sono ovviamente molto importanti nel momento in cui si parla di tumori, perché il rischio cambia molto se in famiglia ci sono tanti casi, e se uno non si fa controllare non verrà diagnosticato fino a molto più tardi (e quindi oltre il periodo di osservazione dello studio).

Questo ci porta anche a un bias che potrebbe spiegare in buona parte l’associazione trovata dallo studio: l’healty user bias (o bias dell’utilizzatore sano).
Si tratta di un errore di campionamento, cioè di selezione della popolazione in partenza. Statisticamente parlando chi ha fatto il vaccino sarà una persona generalmente più attenta alla salute e che quindi partecipa agli screening con più puntualità ed è più portata ad andare dal medico se nota qualcosa d’insolto. Questo si traduce in un apparente aumento delle diagnosi di tumore fra la popolazione vaccinata, che però è da imputare a una quantità maggiore di diagnosi precoci rispetto a quelle tardive.

E a proposito di diagnosi precoce, prendo in prestito le parole di Becky Smullin Dawson, epidemiologa all’Allegheny College, riguardo al fatto che c’era “only 1 year of follow-up for a cancer study, which is bonkers” (“solo un anno di follow-up per uno studio sul cancro, che è una follia”).
Questo perché i tumori possono metterci molto tempo a svilupparsi, anche in presenza di meccanismi di danno reali. Un ottimo esempio è il tristemente noto mesotelioma pleurico, che si sviluppa decine d’anni dopo l’esposizione all’amianto.
Addirittura, sono state considerate associazioni vaccinazione-diagnosi a distanza di solo un mese, in maniera assolutamente non plausibile.
Ovviamente questa linea temporale sembra cavalcare l’idea che i vaccini causino turbo-tumori molto più rapidi e aggressivi dei tumori “normali”.

Un’altra cosa da notare è il fatto che i quattro autori della lettera non abbiano alcuna specializzazione in epidemiologia, virologia o branche mediche affini.
Si tratta infatti di…

  1. Hong Jin Kim: Department of Orthopedic Surgery, Kyung-in Regional Military Manpower Administration, Suwon, Korea

  2. Min-Ho Kim: Informatization Department, Ewha Womans University Seoul Hospital, Seoul, Korea

  3. Myeong Geun Choi & Eun Mi Chun: Division of Pulmonary and Critical Care Medicine, Department of Internal Medicine, Ewha Womans University Mokdong Hospital, Seoul, Korea

Quindi persone che lavorano in ortopedia, medicina interna pneumologica e dipartimento informatico.

Lasciando perdere lo studio/lettera e tornando all’articolo in italiano, ho notato un sacco di citazioni a figure dai titoli importanti, pensate probabilmente per dare autorevolezza ai vari commenti che valorizzano lo studio stesso.
Peccato che a una breve ricerca risultino essere tutte figure della galassia di disinformazione che è nata o ha preso piede con la pandemia.
Nello specifico vengono citati…

Angus Dalgleish, medico britannico che ha lavorato alla ricerca su HIV/AIDS, professore di oncologia, che però durante la pandemia ha iniziato a criticare le misure di contenimento del contagio, a dire che le mascherine sono completamente inutili contro i virus e tutta una serie di altre affermazioni assolutamente non in linea con le prove della comunità scientifica. Ne abbiamo parlato più volte qui su BUTAC.

John Campbell, per anni docente d’infermieristica molto stimato che durante la pandemia è stato inghiottito dalla galassia complottista e adesso su Wikipedia viene citato come youtuber. Nell’articolo si riporta che…

Campbell ha affermato che i dati ufficiali sudcoreani sono generalmente affidabili e che lo studio è ben strutturato.
“La Corea del Sud era un Paese con un tasso di vaccinazione molto elevato”, ha detto. “C’erano… solo poche centinaia di migliaia di persone nel gruppo dei non vaccinati, ma questo è sufficiente per ricavarne dati piuttosto attendibili”.

Onestamente davanti a questa affermazione a me sorge ancora più il dubbio che i risultati siano attribuibili al fatto che la quota di persone non vaccinate è probabilmente quella con una maggiore sfiducia nella classe medica, lo “zoccolo duro della medicina alternativa”. Queste sono persone che probabilmente non andranno in visita anche avendo sintomi, e più difficilimente aderiranno agli screening oncologici di popolazione (come da noi sono il sangue occulto fecale e la mammografia, giusto per fare due esempi).

Clayton J. Baker, internista che sulla carta sembra avere ottimi titoli, ma la cui biografia (presa da Amazon sulla pagina del suo libro) recita che

With the onset of the COVID pandemic, Dr. Baker began publicly advocating to end lockdowns, school closures, and medical mandates.
Con l’insorgere della pandemia da COVID, il dott. Baker ha iniziato a fare campagna pubblica per la fine dei lockdown, delle chiusure delle scuole e degli obblighi medici.

Questo di per sé non avrebbe un gran significato perché sono decisioni politiche basate sulle informazioni che fornisce la scienza, ma scavando meglio fra i suoi articoli emergono toni complottisti, accuse all’OMS e sfiducia nelle vaccinazioni senza alcuna prova a sostegno.

Nicolas Hulscher, epidemiologo, che però sembra aver pesantemente frainteso i risultati di uno studio piuttosto interessante. Come riportato nell’articolo…

Uno studio di 30 mesi condotto su circa 300.000 persone in Italia, pubblicato sulla rivista EXCLI a luglio, ha rilevato un aumento del 23% del rischio di cancro dopo una o due dosi del vaccino COVID-19 e un ulteriore aumento del rischio del 9% tra coloro che hanno ricevuto tre o più dosi.

Il motivo per cui definisco lo studio “piuttosto interessante” è che sembra mostrare esattamente il modo in cui lo studio sudocoreano doveva essere fatto.
Questo studio ha analizzato la correlazione fra le vaccinazioni anti-COVID, la mortalità generale e le ospedalizzazioni per tumore, seguendo la popolazione dell’intera provincia di Pescara (tranne i bimbi con meno di 11 anni) per due anni e mezzo, a partire da sei mesi dopo la prima vaccinazione.
I partecipanti allo studio sono stati stratificati per età, sesso, comorbidità e precedenti infezioni di SARS-CoV-2 (anche qui sembra mancare la stratificazione per familiarità). Le persone non vaccinate erano circa il 17% del totale e fra quelle vaccinate è stato anche identificato un sottogruppo di pazienti che hanno ricevuto almeno tre dosi.
Come intervallo biologicamente plausibile fra la vaccinazione e l’ospedalizzazione per cancro è stato scelta una distanza di 180 giorni, facendo anche analisi secondarie con intervalli di 90 e 365 giorni. Iniziate a notare le differenze con lo studio sopra?

Riassumento i risultati, la mortalità per tutte le cause è stata molto minore nella popolazione vaccinata rispetto a quella non vaccinata, il 40% in meno!
Altri studi avevano ipotizzato un aumento del rischio di mortalità legato al COVID intorno al 30%, più basso dei numeri trovati qui.
Nella discussione si spiega che quella percentuale è così alta perché probabilmente, tra le altre cose, si riscontra quel bias dell’utilizzatore sano di cui parlavamo prima: le persone vaccinate sono probabilmente più attente alla salute e quindi muoiono meno.

Per quanto riguarda le ospedalizzazioni per cancro, viene riportata un’incidenza leggermente più alta nel gruppo dei vaccinati, che scompare però se si considera l’intervallo di 365 giorni o se si considerano solo le persone che avevano almeno un’infezione precedente.
Questa associazione varia molto in base a come vengono stratificati i pazienti: in base alle infezioni precedenti, al sito tumorale e a tutta un’altra serie di parametri.

Nella discussione dello studio viene quindi spiegato che ci sono al momento molte teorie che hanno bisogno di dati per poter essere confermate e smentite. Le variabili sono tantissime e ci sono molti fattori di confondimento difficili da individuare (come la propensione agli screening da parte delle persone vaccinate).
Gli autori notano anche che la pandemia ha scatenato un’ondata di sfiducia nei confronti dei medici da parte di una fetta di popolazione e anche questo potrebbe spiegare questi risultati: se non mi fido dei medici, non vado a farmi controllare; se non mi controllo, non mi fanno diagnosi.
Questo spiegherebbe anche perché non c’è un aumento delle ospedalizzazioni all’aumentare delle dosi. Sia che le persone abbiano fatto una dose, sia che ne abbiano fatte almeno tre, l’aumento è lo stesso. Gli autori sono molto onesti nel sottolineare che la mancanza di relazione dose-risposta può sia indicare che non ci sia correlazione causale (ma sia una correlazione spuria dovuta al confondimento) sia significare che una singola dose è sufficiente a manifestare tutti gli effetti.
Viene sottolineato che, essendo uno dei primi studi a trovare questa piccola correlazione, le ipotesi di plausibilità biologica sono assolutamente embrionali e devono essere considerate tali.
Vengono anche riportati accuratamente i limiti dello studio stesso: la difficoltà ad avere dati precisi sulle diagnosi di tumore (che arrivano sempre con un ritardo di 3-5 anni) motivo per cui sono stati scelti i ricoveri come indice; il fatto che non sia stato possibile includere le informazioni sul fumo di sigaretta o sull’attenzione alla salute e il fatto che non tutti i tumori richiedano ospedalizzazioni (e quindi alcune diagnosi sono state sicuramente “perse per strada”).

Le conclusioni dello studio si chiudono con…

As the results might be influenced by the confounding effect of a differential healthcare utilization by vaccinated individuals, they must be considered preliminary, and further data are definitely required to elucidate the potential association between cancer and COVID-19 vaccination.
Dal momento che i risultati potrebbero essere influenzati dall’effetto confondente di un diverso utilizzo della sanità da parte degli individui vaccinati, devono essere considerati come preliminari, e dati ulteriori sono decisamente richiesti per chiarire la potenziale associazione fra cancro e vaccinazione anti-COVID-19.

Uno degli autori dello studio, il professor Manzoli dell’Università di Bologna, è stato interpellato dalla stampa internazionale (ho trovato degli interventi in inglese e in francese) proprio per via della distorsione dei risultati della sua ricerca.
Ci ha tenuto a ribadire quale dovrebbe essere l’interpetazione corretta dei risultati dello studio…

…the problem is the over emphasis: these are inevitably preliminary results, with a large uncertainty around the timing. As you noted, the results were even reversed when a different time point was chosen. The follow-up was short, and we definitely need more data to confirm the findings. Thus, although they are still useful, they must be interpreted with caution, such as ‘preliminary data indicate that a slight increase of risk of some cancers could be possible, but they require confirmation’, rather than ‘COVID-19 vaccines do increase the cancer risk’.

…il problema è nell’eccessiva enfasi: questi risultati sono inevitabilmente preliminari, con una grossa incertezza per quanto riguarda il tempo. Come avete notato, i risultati erano addirittura invertiti quando si sceglieva un altro momento. Il follow-up è stato breve, e ci servono decisamente più dati per confermare i risultati. Di conseguenza, anche se sono ancora utili, devono essere interpretati con cautela, come un “i dati preliminari indicano che un leggero aumento di alcuni tumori potrebbe essere possibile, ma hanno bisogno di conferme”, invece che come un “i vaccini per il COVID-19 aumento il rischio di cancro”.

Si tratta di nuovo di un caso di dati riportati male, ma finalmente abbiamo anche un esempio di scienza fatta bene, che sottolinea i propri limiti in modo che qualcun altro possa superarli.
Per una volta voglio concentrarmi su questo, perché a furia di smontare studi fatti male e dati riportati in maniera erronea si finisce forse per perdere di vista tutti gli esempi di ricerca virtuosa che portano avanti la conoscenza umana nella speranza di migliorare la vita di tutti noi.
Si sbaglia, s’impara, si scopre, si condivide… Così si fa davvero ricerca.
Spero in futuro d’imbattermi anche in esempi di giornalismo virtuoso, che si facciano carico della delicata missione di comunicare la ricerca al grande pubblico in maniera equilibrata e corretta.

NP

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