#StoryKillers vol. 2 – Il caso BUTAC

L’inchiesta di cui vi abbiamo parlato qui è stata portata alla nostra attenzione grazie a uno dei suoi autori, Raffaele Angius, giornalista freelance e co-autore appunto di #StoryKillers. Raffaele me l’ha segnalata a seguito di un mio post social, questo:
Chi truffa, disinforma o commette illeciti ha sempre qualche avvocato pronto a coprirlo, e a sfruttare le leggi europee – nate per proteggere davvero i dati personali – per regalargli una nuova verginità. Così, grazie alla “rimozione dai risultati di ricerca Google ai sensi delle normative europee”, questi soggetti possono tranquillamente continuare a truffare, disinformare e delinquere come se nulla fosse.
Noi invece, senza far ricorso a studi legali (per scelta: pensiamo che non dovrebbe servire un avvocato per chiedere il rispetto minimo della verità), da anni proviamo inutilmente a far rimuovere da Google contenuti diffamatori che attaccano me o il nostro sito.E, regolarmente, ce la prendiamo in quel posto.Con una certa eleganza, va detto, ma sempre in quel posto.
È deprimente, lasciatemelo dire.
Raffaele mi ha indicato un link che non conoscevo tramite il quale è possibile vedere le richieste di deindicizzazione e rimozione dei siti internet o delle loro pagine. Si tratta del LumenDatabase, e grazie a questo portale ho potuto scoprire, tra gli altri, un caso che ritengo molto interessante per mostrarvi in maniera decisamente semplice come agiscono determinate realtà.
Il caso Pantaria e i regali per salvare i Koala
Partiamo dall’inizio. In data 14 dicembre 2022 su BUTAC pubblichiamo un articolo dal titolo: Fare soldi coi regali di Natale. Articolo che fa parte della serie che abbiamo dedicato al dropshipping, e a come certi soggetti facciano immensi guadagni rivendendo paccottiglia che pagano una cicca.
L’articolo esce e subito riceve una richiesta di deindicizzazione a Google da parte dell’azienda Pantaria, di cui nel pezzo facevamo abbondantemente il nome. A noi nessuno fa sapere nulla: l’articolo a noi risulta regolarmente online, non ha alcun punto critico che permetta la denuncia da parte loro, e non ci arriva nessuna richiesta esplicita di rimozione. Evidentemente la richiesta di deindicizzazione per diffamazione casca nel vuoto. Ed è lì che i geni dimostrano la loro capacità di agire in maniera subdola: prendono il testo del nostro articolo, lo copiano e incollano su un loro sito, lo retrodatano a febbraio 2022 e a quel punto presentano, a distanza di poco, due richieste di deindicizzazione (e rimozione) per violazione del diritto d’autore. Basando la richiesta sul fatto che appunto il loro articolo è più vecchio del nostro.
E stavolta l’hanno vinta
Il problema è che a noi nessuno ha detto nulla, e per noi il nostro articolo è ancora regolarmente online. Ma se cercate di visualizzarlo all’indirizzo normale questo è quello che i browser vi mostrano:
Solo se cliccate sulla versione AMP riuscite a leggerlo. Quindi siamo di fronte a Google LLC Akamai, che gestisce la CDN che crede ciecamente alle richieste di un utente proveniente dalla Repubblica ceca con un url come inventsee.mystrikingly.com (dominio nato nel 2018) e che a noi, che abbiamo un dominio ben più vecchio, non comunica nulla; nasconde il nostro articolo come se fossimo colpevoli di qualcosa, mentre in realtà cercavamo di aiutare gli utenti della rete a evitare una fregatura. Google Akamai così facendo invece ha aiutato dei venditori poco trasparenti a guadagnare un pacco di soldini.
Voi lo capite quanto questo sia pericoloso? Quanto questo modo di occultare determinati url senza avvertire i relativi proprietari permetta a chi disinforma e a chi truffa di fare quel che gli pare senza che chi, come noi, cerca di contrastarli possa avere alcuna voce in capitolo.
Sbattere il tappeto
Non so a voi, ma a noi l’idea che le nostre attività a protezione degli utenti della rete finiscano sotto il tappeto, mentre i furbetti sono lasciati liberi di fare qual che gli pare, ci fa venire voglia di prendere il tappeto e scuoterlo vigorosamente.
Sarebbe ora che le VLOP (Le grandi piattaforme come Google e Meta) si occupassero di tutelare chi crea contenuti con fonti documentate e di punire chi basa i propri contenuti su truffe e disinformazione, come dopotutto sarebbero tenute a fare, almeno in Europa.
E ricordate, la prossima volta che cercate una truffa di qualche genere su Google, e non trovate riscontri, non significa che non si tratti di una truffa: è possibile che una manina abbia provveduto a far svanire i link che la denunciavano.
Il rischio è che anche quest’articolo venga deindicizzato come già successo all’inchiesta #StoryKillers originale. Perché le magagne dei big del web spesso finiscono sotto al tappeto. Ma io che ho aperto BUTAC proprio perché deluso dalla piega che stava prendendo il web non mollo, e continuerò a denunciare questo modus operandi finché le dita non si stancheranno di solcare la tastiera.
Concludendo
Ero online prima che nascesse Google, prima che nascessero i social network, quando truffatori e disinformatori erano costretti a nascondersi per portare avanti il loro operato; voglio sperare che prima o poi tornino ad esser costretti a nascondersi. Non come oggi, quando anche nei corsi per diventare virali il complottismo e la “finanza creativa” sono tra le prime cose che vengono suggerite per avere visibilità.
Ma questa è un’altra storia, che vi racconteremo tra qualche giorno.
Per oggi non crediamo che sia necessario aggiungere altro.
maicolengel at butac punto it
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