Il topo di propoli e l’inganno social: quando l’IA rovina la scienza
Stupore, disagio, senso di meraviglia. La natura è capace di farci provare tutto questo, anche senza l’intervento dell’intelligenza artificiale. Risulta davvero triste, quindi, quando una foto che ritrae un fenomeno naturale viene artefatta, mettendo in dubbio la veridicità e confondendo chi la osserva.
È proprio il caso della vostra ultima segnalazione, riguardante l’immagine di un topo propolizzato.

La foto è accompagnata da una descrizione che, per quanto scritta in toni retorici, non si allontana troppo dalla realtà:
A volte un topo può entrare nell’alveare, attratto dal calore e dall’odore del miele. Le api reagiscono immediatamente, difendendo il loro nido. Attaccano l’intruso insieme, finché smette di muoversi. Tuttavia, sorge un problema che non può essere risolto con la forza: il corpo morto è troppo grande per essere portato fuori. Se lasciato lì, inizierebbe a marcire e potrebbe mettere a rischio l’intera colonia. Le api hanno un loro metodo per affrontarlo. Ricoprono il corpo strato dopo strato con la propoli, una sostanza raccolta dalle resine degli alberi e arricchita da enzimi prodotti dalle api stesse. La propoli ha proprietà antibatteriche, antifungine e conservanti. Isola il corpo dell’intruso, impedendo la formazione di odori e la decomposizione, proteggendo l’interno dell’alveare dalle malattie. Questo è uno dei più straordinari esempi di igiene nel mondo degli insetti. L’impossibilità di rimuovere il pericolo non significa arrendersi: le api lo neutralizzano semplicemente, mantenendo ordine ed equilibrio all’interno del nido.
Ma allora, se il processo scientifico è descritto correttamente, qual è il problema?
A creare più di una perplessità tra gli utenti di Facebook è la foto del ratto, modificata con l’intelligenza artificiale. Una scelta che, come sottolineato dalla pagina Facebook Scienze Naturali, è probabilmente stata adottata per due motivi.
Il primo è che gli animali propolizzati non sono così “pop” nella vita reale. Per quanto inquietante, infatti, l’immagine contraffatta risulta molto più nitida e macabra, e quindi spendibile sui social. Il secondo, come tristemente accade spesso, è che utilizzando una foto fabbricata artificialmente si può evitare di attribuire i crediti al vero autore, l’apicoltore Ryan Giesecke.
L’aspetto paradossale è che molti lettori – proprio a causa della modifica non proprio egregia dell’animale e di altri dettagli, come l’eccessiva precisione delle celle dell’alveare – hanno pensato di trovarsi di fronte a un’opera d’arte iperrealista, arrivando addirittura ad attribuire la paternità al miniaturista Dan Ohlmann.
Insomma, un altro esempio di come la ricerca del click facile sui social non solo danneggia gli autori originali, ma crea confusione, spingendo il pubblico a scambiare il lavoro di un algoritmo per arte o natura.
Beatrice D’Ascenzi
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