Escherichia coli, latte crudo e marketing

La difesa a oltranza di certe “tradizioni” può essere pericolosa, e oggi vogliamo parlarne partendo da una vicenda di qualche anno fa che, alla luce delle notizie recenti, resta tristemente attuale.

Nel 2017 Mattia Maestri ha quattro anni. Mangia un pezzo di formaggio prodotto con latte crudo, contaminato dal batterio Escherichia coli. L’infezione provoca in Mattia una SEU (sindrome emolitico-uremica), con conseguenze gravissime: da allora vive in stato vegetativo.

Da allora il padre, Gian Battista Maestri, si batte perché venga fatta informazione chiara sui rischi legati al latte crudo, spesso sottovalutati o minimizzati. Nei giorni scorsi è arrivata però una nuova notizia: Gian Battista è stato querelato per diffamazione dalla Fondazione Mach e da una ricercatrice dopo alcuni suoi post su Facebook. Al centro della polemica c’è uno studio che attribuirebbe presunti effetti benefici a determinati batteri presenti nei formaggi a latte crudo trentini.

La prima cosa che viene in mente è l’effetto Streisand: cercare di zittire una voce scomoda spesso non fa che amplificarla. È possibile che questa querela finisca per attirare ancora più attenzione proprio sui rischi di cui alcuni promotori del “latte crudo salutare” evitano accuratamente di parlare. La cosa non potrebbe che farci contenti.

Ecco perché oggi vogliamo andare oltre la cronaca giudiziaria e spiegare con chiarezza quali pericoli reali comporta l’uso di latte crudo in campo alimentare, e perché le narrazioni che lo dipingono come “più sano” andrebbero trattate con grande cautela.

Perché il latte crudo è un rischio

Cosa è il latte crudo?

Il latte crudo è quello che non ha subito alcun trattamento termico (neppure blando) dopo la mungitura, prima della vendita o trasformazione. Come riporta Wikipedia:

Nei primi anni del Novecento, si dimostrò che patologie anche gravi erano legate al consumo di latte crudo. Queste malattie (tifo, tubercolosi, e forme correlate alla brucellosi) rendevano necessarie severe norme igieniche. Per questo, nei primi anni trenta in Italia fu imposta la pastorizzazione del latte e la garanzia sulla sanità del prodotto fu affidata alle centrali municipalizzate. Quest’ultimo e diffuso prodotto pastorizzato viene in Italia definito latte fresco.

Quindi è dai primi anni del Novecento che siamo a conoscenza dei possibili pericoli del latte crudo.

La pastorizzazione

La pastorizzazione consiste nel riscaldamento controllato del latte crudo (per esempio 72 °C per 15–20 secondi, o altre modalità equivalenti) e serve a distruggere i microrganismi patogeni mantenendo nel contempo accettabili le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Il vantaggio del latte pastorizzato è che riduce drasticamente il rischio microbiologico, mentre il latte crudo mantiene (oltre ai microrganismi “buoni”) anche quelli potenzialmente pericolosi.

L’Escherichia coli

Il batterio dell’Escherichia Coli vive normalmente nell’intestino umano e animale, e nella maggioranza dei casi è innocuo, ma la maggioranza non è la totalità. Certe varianti, in particolar modo i ceppi che possono produrre la tossina Shiga (STEC), possono provocare infezioni gravissime. Questi ceppi possono purtroppo contaminare il latte crudo durante la mungitura anche in allevamenti perfettamente puliti e tenuti alla perfezione. Perché questo avvenga basta una minima presenza di materiale fecale o da contaminazione ambientale.

Se ingeriti, i ceppi STEC possono causare sintomi intestinali gravi e, nei casi più rari, portare alla sindrome che ha colpito il piccolo Mattia a soli 4 anni. Si tratta di una complicanza rara ma drammatica, che colpisce per l’appunto più i bambini degli adulti. Può portare a insufficienza renale acuta, danni neurologici permanenti, o, come nel caso in esame, a uno stato vegetativo.

Si tratta di eventi documentati, riconosciuti da tutte le autorità sanitarie europee, non ipotetici pericoli o “allarmismi” come viene raccontato da alcuni produttori di formaggi con latte crudo. E difatti in Italia esistono leggi che consentono la vendita di latte crudo solo se il prodotto viene bollito prima del consumo. Le stesse norme impongono frequenti test microbiologici, ma anche così è impossibile azzerare il rischio. Un formaggio contaminato può comunque arrivare al consumatore.

La favola dei “batteri antistress”

Veniamo ora alla querela nei confronti del papà di Mattia Maestri, Gian Battista. La questione è delicata ed è possibile che per questo nostro articolo anche noi riceveremo querela, ma cerchiamo di sintetizzare rimanendo il più possibile equilibrati. Maestri ha scritto una serie di post critici nei confronti di una ricerca, pubblicata nel 2017, della Fondazione Edmund Mach (FEM), ricerca presentata alla stampa con comunicati stampa dai toni trionfalistici, ad esempio:

Scoperti nei formaggi trentini batteri autoctoni antistress

Nello studio, pubblicato su Frontiers in Microbiology, i ricercatori hanno individuato in alcuni formaggi a latte crudo due ceppi batterici in grado di produrre GABA (acido gamma-aminobutirrico), una molecola che nel nostro sistema nervoso centrale agisce da neurotrasmettitore inibitorio, cioè contribuisce a ridurre l’attività neuronale e favorire rilassamento e sonno.

Fin qui tutto corretto. Il problema nasce quando questo dato microbiologico di laboratorio viene trasformato in una promessa salutistica: “batteri antistress nei formaggi trentini” messa così fa pensare a un effetto diretto sul benessere psicofisico del consumatore. In realtà…

I numeri raccontano un’altra storia

Come ha fatto notare Roberto Burioni in un post con fonti al seguito, la quantità di GABA trovata nei formaggi trentini è di circa 9 mg per chilo. Gli studi clinici che ipotizzano effetti benefici del GABA usano dosi comprese tra 100 mg e 2 grammi al giorno, e la reale efficacia è comunque controversa. Per raggiungere le quantità utilizzate in questi studi, bisognerebbe mangiare oltre 10 kg di formaggio al giorno.

Immaginate il vostro corpo impegnato a digerire 10 kg di formaggio, quanto può essere rilassato mentre siete seduti sulla tazza del water a dannare voi stessi per la malaugurata idea che avete avuto?

Inoltre esistono alimenti comunissimi che contengono molto più GABA: gli spinaci, ad esempio, ne hanno quasi 100 volte di più. Se davvero la logica fosse quella del comunicato, allora dovremmo lanciare campagne su “spinaci antistress” e non su formaggi potenzialmente pericolosi se prodotti senza adeguati trattamenti termici.

Concludendo

Che il latte crudo presenti fattori di rischio, specie nei bambini, è un dato conclamato e provato. Che i formaggi trentini abbiano effetti benefici sul consumatore, invece, è un’affermazione debole, che necessiterebbe di molti più studi per essere anche solo ipotizzata.

Gian Battista Maestri non merita di essere denunciato: merita di essere ascoltato e sostenuto nella sua battaglia per un’informazione chiara, contro campagne di marketing che usano la scienza come slogan pubblicitario, a scapito della salute dei consumatori.

Non credo di poter aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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L’articolo Escherichia coli, latte crudo e marketing proviene da Butac – Bufale Un Tanto Al Chilo.

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