Paracetamolo in gravidanza?

Qualche settimana fa hanno portato alla mia attenzione un articolo dal titolo
Il paracetamolo può aumentare il rischio di autismo e ADHD nei bambini nel grembo materno
Andandolo a leggere mi è stato abbastanza chiaro come fosse l’ennesimo esempio di una notizia comunicata in modo acchiappaclick e non in maniera responsabile. Quando ci sono da comunicare i risultati di uno studio come questo, bisognerebbe farlo bene, dando al lettore gli strumenti per inquadrare la notizia senza allarmismi.
Ma nel frattempo in mezzo si è messo perfino Trump. Cerchiamo di sbrogliare questa matassa.
Partiamo da lontano, come da lontano parte l’ansia che circonda l’uso dei farmaci in gravidanza…
L’origine di questo timore è da cercare nientepopodimeno che nella talidomide.
Permettetemi di fare una brevissima sintesi di questa storia, utile anche a capire perché rappresenti in realtà uno dei primissimi esempi di farmacosorveglianza che funziona davvero.
La talidomide era un farmaco usato per trattare l’iperemesi gravidica, nome tecnico con cui si indica il vomito ripetuto in una donna in gravidanza dovuto alle nausee mattuttine. Messa in commercio nel 1957 e proposta come sicura in gravidanza, fu una manna dal cielo per un problema che all’epoca si affrontava con i barbiturici.
Molto efficace, ma con un piccolo problema tecnico: se assunta in gravidanza poteva causare nel feto un difetto noto come focomelia, cioè l’accorciamento o addirittura la scomparsa dei segmenti ossei degli arti.
Il problema venne fuori solo dopo la messa in commercio, perché la talidomide non era stata testata nello specifico per la sua sicurezza in gravidanza. Ci terrei a sottolineare che la sua pericolosità venne dimostrata da ricerche rigorose e dati scientifici, non da qualche “guru della medicina alternativa”.
Qui arriviamo al perché questo non è un esempio di scienza malvagia, ma di scienza che funziona: da questo disastro abbiamo imparato qualcosa di essenziale, difatti da allora tutti i farmaci vengono testati in maniera più accurata per evitare che si possa ripetere qualcosa di simile.
Chiusa questa piccola parentesi, torniamo a noi.
La ricerca ha fatto tesoro della dolorosa lezione della talidomide, ma il grande pubblico?
Il danno era fatto, il grande pubblico da questa storia ha imparato solo una cosa: i farmaci in gravidanza non si usano perché sono pericolosi… e anche se sono sicuri meglio non usarli perché “non si sa mai”.
Questo ha portato ad avere oggi un problema, perché c’è grosso timore nell’assumere farmaci da parte delle donne incinte, anche quando sarebbero indicati e necessari per il bene loro e del feto.
Questo ci riporta all’articolo da cui siamo partiti, nello specifico al titolo. Dopo aver letto queste parole, quante future mamme eviteranno di prendere il paracetamolo per timore di causare danni al loro bambino?
Ma la situazione è davvero così grave? Diciamo “nì”.
Partiamo col leggere un po’ più nello specifico cosa dice questo articolo.
Il paracetamolo […] è ampiamente utilizzato dalle donne incinte per trattare dolori, mal di testa e febbre.
Ma decine di studi lo hanno già collegato a tassi più elevati di autismo e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Ora, i ricercatori americani del Mount Sinai e della Harvard School of Public Health affermano che la loro analisi condotta su oltre 100,000 persone è la più completa finora e fornisce “la prova più solida finora” di un collegamento.
Partiamo dalle basi: soprattutto quando si parla di argomenti complessi e intricati come la medicina, è importante ricordare che una correlazione non indica causalità.
Abbastanza famoso in medicina è l’esempio di uno studio che trovò una correlazione fra il segno zodiacale dei partecipanti e la capacità dell’aspirina di prevenire gli infarti.
Volendo poi essere un po’ pignoli, spulciando PubMed è vero che si trovano studi che correlano l’uso di paracetamolo in gravidanza con tassi maggiori di disturbi dello spettro autistico e ADHD… ma se ne trovano anche tanti che smentiscono questa relazione.
Proprio l’anno scorso è stato pubblicato sul Journal of the American Medical Association un grosso studio svedese che mostrava come questo rischio sparisse una volta tenuto conto di alcuni fattori familiari.
Quando i dati sono così incerti, quello che può essere utile è una revisione sistematica, cioè una ricerca in cui si prendono i risultati di vari studi e li si mettono insieme per cercare di avere dati più chiari per rispondere a una specifica domanda.
Lo studio citato dall’articolo è effettivamente una revisione sistematica molto recente che ha cercato di fare un po’ il punto della situazione.
Una correlazione positiva secondo gli autori sembra esserci, ma loro stessi mettono subito in guardia sul modo in cui questo risultato deve essere interpretato e contestualizzato.
Un po’ di considerazioni utili riportate dagli autori:
- Il paracetamolo rimane l’antidolorifico di prima scelta in gravidanza perché i FANS hanno rischi ben noti e ben più gravi: hanno come effetto collaterale quello di chiudere il dotto di Botallo, un condotto che serve al bambino in utero per la circolazione del sangue. Come sempre, vale la valutazione rischi-benefici, ma non abbiamo alternative valide a questi farmaci.
- Un’ipotesi presa in considerazione per spiegare la correlazione vede il paracetamolo come fattore di rischio solo se associato ad altri, come la febbre materna, le infezioni e lo stress ossidativo.
- Servono ulteriori studi per chiarire il collegamento e indagare eventuali meccanismi di danno.
While this association warrants caution, untreated maternal fever and pain pose risks such as neural tube defects and preterm birth, necessitating a balanced approach. We recommend judicious acetaminophen use—lowest effective dose, shortest duration—under medical guidance, tailored to individual risk–benefit assessments, rather than a broad limitation.
Ovvero:
Anche se questa associazione impone prudenza, dolore e febbre materna non trattati comportano rischi come difetti del tubo neurale e nascita pretermine, da cui la necessità di un approccio bilanciato. Raccomandiamo un uso coscienzioso del paracetamolo – minima dose efficacia, durata più breve possibile – sotto consiglio medico, adattato a una valutazione rischi-benefici personalizzata, invece di una limitazione generale.
Invece, un paio di considerazioni mie.
La probabilità di avere un figlio autistico è in media 1,7%. L’aumento di rischio di cui si parla è diverso nei vari studi, ma metanalisi meno recenti lo quantificavano intorno a 1,2 volte rispetto alla media… Quindi una probabilità che da 1,7% sale appena sopra il 2%.
Questo senza contare tutti gli altri fattori che sappiamo correlare con la probabilità di avere un figlio autistico, come l’età della madre, la presenza di altre neurodivergenze in famiglia…
Non dico che il rischio sia così basso da doverlo ignorare ma sono numeri che, secondo me, riportati così fanno tutto un altro effetto.
Questi dati non sono conclusivi. Sono anni che la comunità medica dibatte del tema e c’è ancora una dose sostanziosa di scetticismo per via di tutti i problemi legati alla delicatezza della questione, alle difficoltà della ricerca in questo specifico ambito, a studi che sembrano promettenti ma poi non sono riproducibili…
Questa stessa revisione è già stata criticata parzialmente da altri ricercatori che non condividono l’analisi che è stata fatta dei dati che abbiamo a disposizione.
C’è ancora una grossa difficoltà da parte delle persone nel capire che oltre a “vero” e “falso” c’è una terza categoria in cui incasellare le informazioni, ovvero “non verificato”.
Sì, questa revisione ha trovato una correlazione, ma è ancora troppo presto per darla come assodata: c’è bisogno di altri studi e dati più solidi. Anche il richiamo a un “uso giudizioso” è in un certo senso superfluo, visto che già dovrebbe essere la base della prescrizione di ogni singolo farmaco, in gravidanza e non.
Tornando all’articolo, anche loro verso la fine specificano che…
I risultati non dimostrano che il farmaco causi direttamente disturbi dello sviluppo neurologico, ma solo che il collegamento è coerente e abbastanza preoccupante da giustificare ulteriori indagini.
e che…
Le donne incinte non dovrebbero interrompere l’assunzione di farmaci senza consultare il medico. Anche il dolore o la febbre non trattati possono danneggiare il bambino.
Onestamente, trovare questi avvertimenti dopo un titolo del genere mi fa innervosire non poco. Si torna sempre al discorso che certi titoli sono pericolosi, che fare allarmismo mette a rischio la vita delle persone e che i giornalisti dovrebbero trattare certi temi con più attenzione.
In tutto questo, mentre mi documentavo per scrivere questo articolo, mi sono arrivate le prime voci che Trump avrebbe fatto un annuncio relativo al paracetamolo e all’autismo, voci che si sono concretizzate nei giorni scorsi.
Se già ero preoccupata all’idea di come potessero essere annunciati questi risultati, sono rimasta spiacevolmente colpita dal modo in cui si è deciso di annunciare al mondo di “aver trovato la risposta all’autismo”.
Innanzitutto è stato detto che assumere paracetamolo in gravidanza “può essere associato a un rischio molto più alto di autismo”. Ripeto, gli studi che hanno trovato un’associazione fra i due eventi parlano comunque di un aumento del rischio intorno allo 0,3%.
Quello che però è più grave è il fatto che Trump abbia detto che prendere il paracetamolo “non è una cosa buona” e che “le donne in gravidanza dovrebbero limitarne l’uso a meno che non sia necessario dal punto di vista medico”.
Io non so voi, ma di solito non prendo farmaci per divertimento. Anche perché, se davvero non è una cosa buona, non dovrebbe direttamente sconsigliarne l’assunzione? No, perché non può farlo. Già così le sue parole hanno suscitato un’ondata d’indignazione da parte della comunità medica e scientifica, come si può leggere anche in questo articolo della CNN sulla vicenda.
Arriviamo al punto secondo me più irresponsabile e pericoloso: Trump ha detto che un esempio di queste necessità mediche è “una febbre estremamente elevata durante cui non riuscite a tenere duro”.
Il Presidente degli Stati Uniti d’America ha appena suggerito alle donne in gravidanza di “sopportare” la febbre piuttosto che prendere il paracetamolo?
In particolare nel primo trimestre la febbre alta non trattata può avere effetti teratogeni sul feto o causare un aborto. Non credo ci sia bisogno di sottolineare come questo sia grave e pericoloso, anche perché attribuisce alla madre la causa di qualcosa di molto più complesso e sfaccettato. L’autismo ha una base genetica ed è una condizione multifattoriale, che non riconosce un’unica causa ma una serie di elementi che contribuiscono alla sua manifestazione.
Torniamo alla talidomide e alla sua lezione, che evidentemente qualcuno non ha imparato.
La scienza si fa con i dati, con la ricerca, con prudenza e comprensione del fatto che le cose complesse non si possono appiattire per semplificarle senza fare danni.
Quante donne negli USA non prenderanno il paracetamolo per paura dell’autismo?
Quanti medici si troveranno ad affrontare il problema di dover consigliare un antipiretico alle loro pazienti, sapendo che l’FDA sostiene che il paracetamolo non sia sicuro in gravidanza?
Questo è quello che succede quando la scienza non viene compresa e viene sbandierata come un risultato invece che come un processo in divenire.
NP
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