Mario Giro: “Le guerre in Africa van prese sul serio. Da lì passa ciò che arriva a noi”

Mario Giro: “Le guerre in Africa van prese sul serio. Da lì passa ciò che arriva a noi”
54 paesi, una popolazione attuale di circa un miliardo e mezzo di persone, e una crescita che porterà l’Africa a essere abitato da più di due miliardi di persone entro il 2050, con paesi come la Nigeria che arriveranno ad avere più abitanti dell’Europa. La lettura di quanto accade oggi nella regione sub-sahariana, al di là dei flussi migratori, è sempre più centrale. Altrettanto importante è provare a osservare la presenza internazionale attraverso multinazionali, agenzie e organizzazioni di cooperazione lascia il segno (o no). Ne abbiamo parlato con Mario Giro, docente di geopolitica, già viceministro degli Esteri, membro della comunità di Sant’Egidio e autore di molti libri, tra cui il suo ultimo, Guerre Nere. Guida ai conflitti nell’Africa contemporanea (Guerini e associati editore).

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Recentemente ha sottolineato come in Africa la violenza criminale terroristica e dei vari gruppi organizzati, sempre di più assume una forma ibrida. Che cosa si intende?

Le grandi reti criminali sono molto più globalizzate e flessibili di quanto lo fossero una volta. I narco-Stati di un tempo non vanno più bene come modello. Ad esempio in Africa la Guinea-Bissau negli anni ’90 era un hub in cui arrivava la droga dall’America Latina e poi da lì veniva distribuita, ma oggi non ha più la stessa valenza. Da paese a paese la criminalità si muove con assoluta flessibilità cambiando aspetto, mimetizzandosi. La globalizzazione nella sua seconda fase sta strutturando tutto, è pronta a trasformare qualunque cosa e quindi a ibridare purché funzioni e si adatti alle situazioni come quella del Mozambico cioè situazioni in cui non c’è nulla se non la partecipazione a queste reti.

Un’ibridazione che mescola reti legali e illegali.

Per concludere la risposta alla prima domanda direi che questo è un fenomeno che in Africa si vede meglio. Non che non succeda da noi o in America Latina o in Asia. In Africa un mese puoi trovare un gruppo di jihadisti che combatte con un registro ideologico-religioso e il mese successivo lo stesso gruppo fa banditismo quindi rapisce per soldi, o ancora traffica in armi o droga e così via. Non si tratta di un’immagine caricaturale. Perfettamente legale ormai è il mestiere della guerra o delle armi che può inserirsi in qualunque tipo di traffico, legale o illegale o a metà strada tra i due, e quindi noi dobbiamo trovare nuove parole e imparare a ridenominare certi fenomeni. Dice bene il filosofo camerunense Achille Mbembe quando afferma che in Africa noi vediamo i cambiamenti sociologici e antropologici in maniera più chiara di quanto si possa fare in Europa e in generale in Occidente. Quindi quello che io cerco di spiegare nel mio libro è da una parte le guerre africane vanno prese sul serio perché gli africani non sono dei selvaggi che fanno guerre primarie o basiche. Dall’altra parte attraverso l’Africa passa di tutto quello che arriva anche a noi.

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Perchè il caso del Mozambico è così significativo?

Per capire come si mischiano o meglio si “ibridano” una violenza diffusa, l’autoritarismo politico, la criminalità organizzata e le reti transfrontaliere commerciali legali e illegali con tutte le gradazioni è necessario guardare al Nord del Mozambico, che rimane l’ultimo luogo dove emerge uno jihadismo organizzato. Pochi sanno che il Mozambico è il più grosso produttore di rubini al mondo e stanno tutti lì prima dell’arrivo della Gemfields, la grande multinazionale britannica, o almeno a maggioranza britannica. La multinazionale crea un doppio registro: quello legale che produce il pesantissimo sfruttamento; e quello illegale che a un certo punto diventa anche più accessibile e remunerativo. In questo settore già vediamo una forma di ibridazione in cui illegale/ legale è tenuto dalla multinazionale e quindi la multinazionale paga le forze di sicurezza e di polizia perché tengano lontani i cercatori “liberi” che a loro volta devono cercare il modo di mettere il prodotto sul mercato e in genere si incontrano con degli intermediari dalla dubbia fama. Poi mettiamoci pure il traffico legno teak, scaglie di pangolino, a cui si aggiungono le grandi aziende che del petrolio, in particolare da Usa e Cina che si moltiplicano e godono di un terreno già destrutturato.

Non sorprende alla fine che molti giovani magari non musulmani dell’area nord del Mozambico in questo caos antropologico rimangono soli. A colmare questa mancanza arrivano capi jihadisti o predicatori jihadisti che riescono così a far aderire tanti giovani spontaneamente. Un processo non difforme da quello dei foreign fighters occidentali che pur non essendo musulmani si convertivano davanti al monitor e partivano a combattere in Siria. Se volete, sono importanti le parole di Giovanni Falcone nell’affermare che quando la mafia arriva al livello di legalizzare gli investimenti dei suoi soldi criminali in attività legali, diventa imprendibile.

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E la pandemia?

Sicuramente dal punto di vista della pandemia possiamo dire che l’Africa, almeno per una volta, è stata risparmiata nella prima ondata dall’insorgere di una nuova pandemia. Si sono ammalati i rappresentanti dell’élite africana prima di altri, cioè coloro che viaggiavano in Europa. Una legge del contrappasso. Tra questi alcuni sono deceduti, come il presidente della Tanzania che è stato un forte negazionista. La prima ondata è molto più debole anche perché il 60 per cento degli africani sono sotto i trent’anni e noi sappiamo che questa malattia è sopportata meglio dai giovani e probabilmente c’è anche una differenza di sistema immunitario. Detto questo si è vista in maniera evidente la mancanza assoluta di un sistema sanitario nazionale dovuta all’aver portato avanti il pensiero unico liberista occidentale dagli anni 80 a oggi, un sistema che non ha lasciato nulla. Cosa dobbiamo fare? Innanzitutto, ricostruire il welfare. 

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