Giovani caregiver: la complessità del prendersi cura

A 23 anni mi sono ritrovata ad accudire un vicino di casa novantenne non autosufficiente. “Devo operarmi all’anca, te la senti di assisterlo per qualche giorno?”. Con questa telefonata della moglie è iniziata la mia esperienza di giovane caregiver, durata più o meno due anni. Ho accettato consapevole dell’impegno richiesto, ma assolutamente ignara di quanto questa decisione mi avrebbe cambiata.

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L’incoscienza di quel che fai

I giovani caregiver sono ragazzi e ragazze sotto i 18 anni, o giovani adulti sotto i 26, che per ragioni di necessità si trovano ad assistere una persona del proprio nucleo affettivo/familiare in stato di disabilità, malattia fisica o mentale. In Italia i cosiddetti young caregiver sono quasi 400mila, il 7 per cento dei giovani tra i 14 e i 25 anni. Se la percentuale sorprende è perché non c’è cognizione del fenomeno; spesso nemmeno questi ragazzi sono consapevoli di essere portatori di cure e credono che adoperarsi per agevolare la sopravvivenza dei propri cari sia inevitabile.

Accudire un malato o un infermo è un atto delicato, specialmente se si tratta di un anziano. La sua dignità è grande quanto la tua, il rispetto che gli devi è immenso

Accudire un malato o un infermo è un atto delicato, specialmente se si tratta di un anziano. Hai a che fare con una persona che non è in grado di badare a sé o soddisfare i propri bisogni. Un bimbo, penserai. Sì, ma un bambino che alle spalle ha una vita di esperienze. La sua dignità è grande quanto la tua, il rispetto che gli devi è immenso. Per questo non è facile, ad esempio, occuparsi della sua igiene: cambiargli il pannolone, fargli la doccia o lavarlo da letto, vestirlo, pettinarlo. È difficile mettere una camicia a chi fatica a muoversi, allacciare i bottoni, infilarla nei pantaloni; eppure l’ho sempre fatto, perché per lui era importante continuare a indossarla.

I giovani caregiver possono anche prestare assistenza sanitaria, cambiando flebo, somministrando farmaci, destreggiandosi tra ricette mediche e piani terapeutici; fungono da supporto psicologico e valvola di sfogo; gestiscono appuntamenti e burocrazia varia e capita pure che debbano prendere decisioni importanti per conto della persona che assistono.

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La coscienza di chi sei

Il livello di responsabilità che investe questi giovani è alto e quasi nessuno è preparato a sostenerlo. Probabilmente non lo ero nemmeno io. Ci si trova ad affrontare difficoltà di natura psicologica, emotiva e socio-educativa. Può capitare spesso di soffrire di ansia e stress, essere tristi o arrabbiati, rischiando di finire nel vortice dell’abuso di sostanze, rimanere indietro con lo studio e mettere in pausa le relazioni sociali. I giovani caregiver si sentono inadeguati rispetto a coetanei che hanno priorità e argomenti diversi. Non li capiscono e non si sentono capiti, ma non vogliono nemmeno fare i guastafeste. Come parlare di quelle sciocchezze che si dicono ridendo tra un bicchiere di vino e l’altro se ti presenti alla porta dell’amica con un macigno al posto della bottiglia?

I giovani caregiver si sentono inadeguati rispetto ai coetanei. Come parlare di quelle sciocchezze che si dicono ridendo tra un bicchiere di vino e l’altro se ti presenti alla porta dell’amica con un macigno al posto della bottiglia?

Tutto dentro di loro si blocca mentre la vita intorno continua a scorrere. E più la lasciano scorrere, più diventa difficile reimmergersi. Quando pensano a sé stessi provano un forte senso di colpa, si sentono soli ma non riescono a chiedere aiuto per paura di ferire la persona di cui si prendono cura. Il rischio che smettano di considerare le proprie abitudini e i propri desideri è reale, ma occorre ricordare che se non si sta bene non si può aiutare nessuno. La prima persona di cui devi prenderti cura sei tu e in questo non c’è nulla di sbagliato.

La pratica di caregiving può compromettere il percorso di vita e la salute di un giovane, soprattutto se non si è in grado di riconoscerla e chiamarla per nome. Per questo ne scriviamo, per diffondere l’idea di una cura consapevole, perché i giovani possano decidere in che misura occuparsi di una persona, senza sentirsi soffocare dall’obbligo e dal senso di colpa. Occorre concentrarsi prima di tutto sulla propria individualità, sulla costruzione di un futuro in cui potersi riconoscere, esprimere le proprie specificità e, perché no, mettere in pratica le competenze apprese come giovane caregiver. “Impara l’arte e mettila da parte”, si dice in questi casi.

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L’arte messa da parte

Quella del caregiver è stata forse l’esperienza più intensa che abbia mai fatto. Ha preso il sopravvento su quello che ero e facevo, mi ha scombussolata e costretta a riconsiderare le poche convinzioni conquistate. Mi ha cambiata rendendomi quasi estranea a me stessa, ma oggi sono in grado di apprezzarla con estrema gratitudine. Ho imparato a prevedere il meteo, riconoscere i funghi, potare le siepi, spennare un fagiano, fare colazione con pane e marmellata, aspettare in silenzio consapevole che per me l’attesa avesse un sapore e una distanza diversi. Mentre lui coniugava il verbo aspettare soltanto in funzione del caffè o del farmaco delle 17, io potevo fare progetti. E posso ancora farli.

Da lavialibera n°27

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