Ddl AntiGandhi, se protesti finisci in carcere

“L’idea di poter risolvere tutto, anche i problemi sociali, con il codice penale, è solo propaganda, pericolosa demagogia”. A scriverlo non è un esponente delle forze di opposizione, ma l’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio, nel libro In attesa di giustizia. Era il 2010, altri tempi. Oggi il nuovo disegno di legge sulla sicurezza, definito “ddl anti-Gandhi”, assomiglia proprio a quell’idea che Nordio criticava.  Al centro del dibattito l’articolo 11, che arricchisce la  serie di provvedimenti adottati dal governo per punire in modo sempre più stringente chi protesta. L’articolo prevede fino a un mese di carcere per chi blocca una strada, con  la pena che aumenta da sei mesi fino a due anni se il reato viene commesso da più persone insieme. 

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Secondo le opposizioni si tratta “di un salto di qualità” in negativo, come ribadito in seduta dalla deputata Valentina D’Orso (M5s): “Si evince una strategia precisa. Da una parte si aumentano le possibilità di esacerbare il conflitto sociale e, dall’altra parte, si predispongono gli strumenti per soffocare le proteste”.

L’articolo prevede fino a un mese di carcere per chi blocca una strada, con la pena che aumenta da sei mesi fino a due anni se il reato viene commesso da più persone insieme

Il 27 giugno, tutti gli emendamenti delle opposizioni – tra cui la soppressione del riferimento alla resistenza passiva come una delle condotte punibili nell’ambito di rivolte nelle carceri o nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) – sono stati respinti. 

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Cosa prevede l’articolo 11 del nuovo ddl sicurezza

Il disegno di legge presentato dai ministri dell’Interno Matteo Piantedosi, della Giustizia Carlo Nordio e della Difesa Guido Crosetto a gennaio scorso ha come obiettivo quello di cambiare alcune disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale di servizio, nonché di vittime di usura e dell’ordinamento penitenziario. 

In particolare, l’articolo 11 mette mano a un vecchio decreto legislativo risalente al 1948 che si occupava di “assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate e ordinarie”. Ora, la proposta è quella di passare dall’illecito amministrativo, punito con una multa, al reato per chi ostruisce o blocca la circolazione: un mese di carcere o una contravvenzione da 300 euro. Non solo: viene inserita un’aggravante nel caso in cui a commettere il reato sia più di una persona, la pena qui arriva dai sei mesi ai due anni. I cambiamenti – in continuità con altri provvedimenti dell’attuale governo, dal primissimo “decreto rave” al “ddl ecovandali” – vanno tutti in una direzione: punire severamente, pure con la reclusione, chiunque con metodi non violenti esprima dissenso o non sia allineato.

I cambiamenti – in continuità con altri provvedimenti dell’attuale governo, dal primissimo “decreto rave” al “ddl ecovandali” – vanno tutti in una direzione: punire severamente, pure con la reclusione, chiunque con metodi non violenti esprima dissenso o non sia allineato

A questo si era aggiunto a fine maggio l’emendamento del deputato Igor Iezzi (Lega) all’articolo 14 (in materia di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e di resistenza a un pubblico ufficiale), che voleva introdurre fino a 20 anni di carcere per chi avesse protestato contro grandi opere pubbliche definite di interesse strategico, come il Ponte sullo Stretto o la Tav. Iezzi, assente perché interdetto dai lavori parlamentari per 15 giorni dopo la rissa alla camera il 13 giugno, ha ritirato altri emendamenti, ma non questo.   

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Il dibattito in aula 

I deputati convocati il 27 giugno per la seduta delle Commissioni riunite hanno discusso animatamente. Le posizioni contrarie sono facilmente riassumibili nelle parole dell’opposizione. Riccardo Magi (Misto +Europa) “si chiede come sia possibile dibattere se rendere una scelta di resistenza passiva un illecito penalmente sanzionato”, soprattutto visto il grave sovraffollamento delle carceri. Un’obiezione sostenuta anche da Federico Cafiero De Raho (M5S), che sottolinea: “Punendo chi manifesta liberamente il proprio pensiero viene sacrificato uno dei diritti fondamentali della nostra democrazia”. A denunciare in aula il doppio standard nell’applicazione dei provvedimenti è Matteo Mauri (Pd-Idp), visto che non pare  “risultino procedimenti penali aperti a carico dei conducenti dei trattori che, qualche mese fa hanno bloccato l’Italia”. Con una chiosa polemica: “Anche quando le norme penali esistono è emblematico il fatto che possano non essere applicate nei confronti di amici, mentre ci si impegna a introdurre norme nuove per punire i nemici”. 

Il rimando è al cosiddetto “ddl Ecovandali” approvato a metà gennaio scorso, che punisce con la reclusione da due a cinque anni e con una multa compresa tra 20mila e 60mila euro chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici

Il rimando è al cosiddetto “ddl Ecovandali” approvato a metà gennaio scorso, che punisce con la reclusione da due a cinque anni e con una multa compresa tra  20mila e 60mila euro chi  distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici. Un chiaro riferimento a una delle due modalità di azione scelte dal movimento Ultima Generazione per denunciare la crisi ecoclimatica. L’altra è il blocco stradale, a cui, ora, potrebbe venire in aiuto la modifica dell’articolo 11. Augusta Montaruli (FdI), relatrice del provvedimento,  durante un evento a La Spezia ha commentato: “La libertà di manifestazione è sempre garantita con il solo limite che non può violare la libertà altrui. Il cittadino si imbatteva in iniziative di cui non si era dato preavviso, prevaricatrici, con una inaccettabile compressione della sua libertà”.

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La preoccupazione delle associazioni

Anche le associazioni continuano a seguire l’iter con preoccupazione. Amnesty International da mesi denuncia la restrizione degli spazi di protesta e la criminalizzazione di chi decide di farlo in maniera non violenta, “allargando le maglie del Daspo urbano o di violenza privata nel caso in cui una o più persone impediscano l’entrata o l’uscita da uno spazio aziendale a chi intenda passare”. Nemmeno in caso di sciopero. Sempre un emendamento portato dal leghista Iezzi, infatti, non è differente se si tratti di un’azione dimostrativa di dissenso o che il comportamento sia tenuto “per sostenere un’azione di sciopero”. 

Per Antigone e Asgi, nel ddl sicurezza “il nuovo reato di rivolta carceraria equiparerà le proteste violente con quelle nonviolente. Se qualcuno si opporrà in maniera pacifica agli ordini impartiti in istituto penitenziario o in un centro di accoglienza o un centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr), potrà subire una pena che può arrivare fino ad 8 anni di reclusione”. Per il Movimento nonviolento, “chi pensa che la minaccia del carcere fermi le lotte giuste, non ha capito niente. Così come chi si lamenta della repressione che impedisce di manifestare, non sa di cosa sta parlando”.   

I prossimi passi del ddl sicurezza

Dopo aver superato il passaggio nelle Commissioni riunite della Camera, il provvedimento è pronto per essere discusso a Montecitorio a fine luglio, prima della pausa estiva, mentre la discussione dell’intero ddl sicurezza dovrebbe slittare in autunno. Il tema, visto il clima politico e ambientale, resterà caldo. 

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