La storia del narcotraffico in tre puntate

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Mercoledì scorso, la tv all-news Al Jazeera English, con sede nel Qatar, ha trasmesso la prima parte di una docu-serie in 3 puntate da 47 minuti l’una sulla storia del narcotraffico. La versione inglese si chiama Drug Trafficking, Politics and Power (Traffico di droga, politica e potere), anche se il titolo originale è Histoire du trafic de drogue (Storia del traffico di droga), coproduzione franco-belga (Arte France, Yami 2, Naoko Films, Umedia, Rtbf) del 2020, diretta da Julie Lerat e Christophe Bouquet. A detta degli autori, si tratta di «un’indagine storica e globale» su questo fenomeno, di «un affresco denso e limpido che polverizza l’idea che ci siamo fatti, dimostrando l’impasse del proibizionismo».

storia del narcotrafficoAncora la sinossi originale del documentario, ne riassume così il contenuto: «Dalle guerre dell’oppio alla nascita della French Connection, dagli anni degli hippie all’ascesa dei signori della droga, da Escobar a El Chapo, dalle montagne afghane a Wall Street, sta emergendo una storia politica della droga». Attraverso immagini d’archivio davvero potenti, la voce fuoricampo alternata a interviste a storici, docenti universitari ed esperti della materia ricostruiscono come «grandi potenze, industrie farmaceutiche, banche, servizi segreti» abbiano avuto «un ruolo nella diffusione della droga e nel fare emergere le più grandi organizzazioni criminali».

La prima puntata, come detto andata in onda la scorsa settimana, è visibile gratuitamente sul sito dell’emittente qatariota (a questo il link). Si intitola “L’era degli imperi” e inizia con la diffusione dell’oppio in tutta l’Asia nel XIX° secolo, spinta dalle potenze coloniali. Anzi, per il documentario ci sono pochi dubbi: «Il traffico di droga è stato inventato da uno Stato, il Regno Unito, quando la corona britannica inondò la Cina di oppio per rifornire le sue casse». Provocando ben due guerre. Senza voler rivelare troppo i contenuti della puntata, la prima parte affronta poi la nascita dell’industria farmaceutica occidentale, che immette sul mercato quelli che ritiene «prodotti miracolosi»: morfina, cocaina, eroina. Vendendoli liberamente e pubblicizzandone il loro impiego persino sui bambini. Fino a quando la scia di dipendenza che provocano diventa un problema di salute pubblica e la politica della proibizione prende gradualmente piede. La prima puntata si chiude infatti con l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, che nel 1971 lancia la guerra mondiale alla droga.

L’Italia, nella prima puntata, viene citata 2 volte per altrettanti episodi strettamente correlati tra loro. C’è lo sbarco alleato in Sicilia del 1943, con Washington alla ricerca di persone in grado di governare temporaneamente l’isola. Secondo lo scrittore e storico francese, Jacques De Saint Victor, «in Sicilia tutte le élite erano fasciste: i grandi proprietari terrieri, la Chiesa, gli amministratori (…) gli statunitensi avevano soltanto 2 possibilità per non affidarsi a uomini dal background fascista: i comunisti o la mafia. E già allora gli americani sapevano che alla fine della guerra il loro nemico numero sarebbero diventati i comunisti. Motivo per cui optarono per i mafiosi, ritenuti in grado di gestire l’isola durante quella fase travagliata». Ma questa scelta, per gli autori del documentario, dà vita al «primo enorme network internazionale del narcotraffico, nato nel pieno di una guerra».

Il secondo episodio avviene nel 1945, quando gli Usa fanno rientrare in Italia diversi mafiosi italo-americani coinvolti nel traffico di eroina, tra i quali Charles Luciano (meglio noto come Lucky Luciano) i quali trasformano l’isola in un hub della droga che dai Paesi produttori vola negli Stati Uniti. Per il docente di Storia all’università di Palermo, Salvatore Lupo, Luciano agisce indisturbato in quanto «per le autorità italiane non rappresenta un problema di gestione dell’ordine pubblico, perché il fenomeno della tossicodipendenza non è ancora importante in Europa e non esiste per niente in Italia. Non c’è un mercato della droga in Italia e quindi non c’è un allarme sociale. E quindi per la polizia italiana, Luciano poteva fare ciò che voleva».

La cosiddetta “epidemia di eroina” in Europa degli anni Ottanta verrà al contrario sicuramente affrontata nella seconda puntata della docu-serie francese (da oggi in onda a rotazione e presto come la prima anche in streaming sul sito dell’emittente). Intitolata “L’ora dei baroni”, mostrerà come gli Usa, dopo aver annunciato la loro crociata contro la droga, iniziano a «colpire duramente» attraverso la loro «ala armata» del proibizionismo: la Drug Enforcement Administration, meglio nota con l’acronimo DEA. Vedremo così come il traffico semplicemente muove, si trasforma e si adatta, in quanto «la repressione si è sempre dimostrata impotente per porre fine a questo commercio immensamente redditizio». Verrà mostrata «l’ascesa delle prime reti del narcotraffico, che spesso hanno cercato di operare sotto la protezione dello Stato». Una «nuova generazione di trafficanti, emersa già alla fine degli anni ‘70 alla ricerca di denaro e potere». Poiché già solo eroina e cocaina pesano nell’economia mondiale tanto quanto il petrolio o il tessile.

L’ultima parte della docu-serie (anche questa da stasera a rotazione e poi in streaming) è dedicata a “I territori perduti”, ai nuovi narco-Stati, a quelle «aree fuori controllo, come l’Afghanistan o la Colombia, dove continuano guerre di varia intensità». Mostra «un paesaggio ormai frammentato, addirittura atomizzato», nel quale operano «i trafficanti di oggi», la cui vera arma è «l’invisibilità». Perché, come spiega uno dei degli analisti intervistati, il settore dei narcotici è «il più agile del mondo» e riesce a ricomporsi ogni volta che gli viene inflitto un colpo. Motivo per cui gli autori della docu-serie ci hanno tenuto a ricostruire la storia del narcotraffico globale, mostrando chiaramente chi sono stati i potenti sostenitori politici di questo business proliferato grazie al proibizionismo.

L’unica domanda che sorge a questo punto spontanea è come mai dopo aver circolato in questi mesi sulle tv che hanno co-prodotto questa docu-serie, in lingua francese sulla Radiotelevisione belga francofona (Rtbf) e sull’emittente culturale franco-tedesca Arte (che l’ha ovviamente tradotta anche in tedesco), questa Histoire du trafic de drogue sia ora approdata sul canale in lingua inglese di Al Jazeera. Versione internazionale della prima emittente all-news panaraba che, come chiarito fin dall’inizio ha sede in Qatar, emiro dal quale riceve finanziamenti pur mantenendo almeno ufficialmente una sua indipendenza editoriale, nella quale credono diverse associazioni e organizzazioni giornalistiche (tra le quali il National Press Club e Reporter Senza Frontiere). Effettivamente è molto apprezzata anche tra gli addetti ai lavori, essendo peraltro tra le poche a tenere costantemente accese le proprie telecamere su Medio Oriente, Africa, Sud America e parte dell’Asia, rispecchiando ovviamente indirettamente quelle che sono le alleanze, gli interessi e la politica estera del Qatar e non entrando quasi mai in questioni interne all’emiro.

In quanto Stato monarchico totalitarista, il Qatar non è certo un luogo libertario. Giusto per restare in tema di droghe, in Qatar l’uso, il possesso o il traffico sono puniti severamente con la reclusione (da 10 a 20 anni) e, nei casi più gravi, con la condanna a morte. Dopo l’esplosione del consumo interno, soprattutto di anfetamine (in particolare captagon, questione già affrontata per Fuoriluogo in questo articolo), il ministero della Salute Pubblica ha creato nell’avvenieristica capitale Doha il centro Naufar, dedicato al trattamento delle dipendenze di sostanze, ritenuto all’avanguardia per l’intera area del Golfo e dotato di team multidisciplinari. Il tutto, a quanto pare, a caro prezzo e quindi appannaggio esclusivo delle classi più abbienti.

Lo scorso dicembre, la 63esima sessione della Commissione narcotici dell’Onu (Cnd) di Vienna, ha votato le raccomandazioni dell’Oms sulla parziale declassificazione della cannabis. L’emiro non era tra i Paesi con diritto di voto a rotazione. Eppure già a marzo il rappresentante del Qatar a Vienna, Abdullah bin Nasser Al Fuhaid, aveva «messo in guardia» tutti gli Stati membri e i finanziatori della Cnd «dall’approccio sbagliato di legalizzare l’uso di cannabis per scopi ricreativi, indicando che è in contraddizione con l’attuazione globale dei trattati internazionali, minacciando la salute e il benessere delle società». Nel sottolineare che «lo Stato del Qatar attribuisce la massima priorità alla protezione della società dal flagello della droga», Nasser Al Fuhaid aveva infine ribadito il loro peso economico anche in questo ambito, ricordando che il Qatar ha dotato di risorse il Programma globale per l’attuazione della Dichiarazione di Doha e cioè «il più grande programma finanziato da un Paese nella storia dell’Ufficio contro la droga e il crimine delle Nazioni Unite (Unodc), che comprende molte attività volte a immunizzare le società, e i giovani in particolare, dalla droga e dalla criminalità».

L’articolo La storia del narcotraffico in tre puntate proviene da Fuoriluogo.

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