Dove va la musica italiana quando non va a Sanremo

In questi giorni, come accade ogni anno a febbraio, l’agenda mediatica e social è in buona parte dominata da quanto accade sul palcoscenico dell’immarcescibile Festival di Sanremo, evento di interesse non solo musicale capace di accendere serrati confronti trasversali nel dibattito pubblico italiano. Mentre sull’assito dell’Ariston si avvicendano cantanti che incarnano la musica italiana nella sua versione naturalmente più “leggera”, pop e mainstream (non potrebbe essere altrimenti, né desideriamo che lo sia), qui vogliamo invece accennare ad alcune altre strade che la musica italiana sta percorrendo negli ultimi tempi. Lo faremo di seguito, senza alcuna pretesa di esaustività ma soltanto in ragione del nostro parzialissimo gusto, raccontando per sommi capi il recente lavoro di tre artiste che negli ultimi anni hanno ottenuto grandi risultati nella musica cosiddetta “alternativa”, in Italia e anche in sede internazionale.

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Daniela Pes: una lingua nuova che viene dalla Gallura

La prima artista di cui vogliamo parlare è probabilmente la più conosciuta delle tre entro i confini nazionali dal pubblico “non esperto”, per quanto sia anche quella con meno anni di carriera alle spalle. Si tratta della gallurese Daniela Pes, che il palco sanremese dell’Ariston l’ha calcato quando, nell’aprile dello scorso anno, ha ricevuto la Targa Tenco per il miglior esordio nazionale. Riconoscimento ottenuto grazie a Spira, album pubblicato da Tanca Records, un’etichetta fondata e diretta dal cantautore e producer Iosonouncane, sardo come Pes. Salutato da più parti come il disco di spicco della nuova scena musicale italiana, nel corso di tutto il 2023 Spira ha raccolto i favori di un pubblico sempre più esteso, tanto che lo “Spira tour” ha visto aggiungersi date su date in un fittissimo calendario di eventi live (spesso sold-out) che ha toccato ogni angolo d’Italia tra festival estivi, piccoli e grandi club, chiese e teatri.

Daniela Pes è stata ospite della coppia Bollani-Cenni durante una puntata della trasmissione Via dei Matti n°0

Fino ad arrivare anche su Rai Tre, dove l’artista, in prima serata, è stata ospite della coppia Bollani-Cenni durante una puntata della trasmissione Via dei matti n° 0. Grazie a una sensibilità piuttosto attuale, Pes, di formazione jazzistica, ha saputo tradurre nel linguaggio contemporaneo della musica elettronica e dell’art-pop elementi sonori recuperati a margine della musica etnica, supportando un fascinoso ed elegante tappeto musicale di sintetizzatori ed elettroniche con un cantato in cui la voce assume il ruolo di un vero e proprio strumento: uno strumento le cui corde si articolano in modo tale da dar vita a un idioma del tutto nuovo, una sorta di xenolingua nella quale termini più o meno mozzi dell’italiano corrente e del dialetto gallurese si mescolano con neologismi “non semici” per evocare un’atmosfera allo stesso tempo aliena e terrena che abbia come unico scopo la ricerca della giusta musicalità vocale da accompagnare alle note, in una sorta di mantra religioso che talvolta sembra suonare come una preghiera.

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Lili Refrain: viaggio e animismo tra metal, ambient e neofolk

Come Pes, prima di Pes, l’utilizzo nel cantato di una lingua senza significato condiviso è caratteristica della musicista romana Lili Refrain, attiva ormai dal 2007. Erede della tradizione del metal (soprattutto) e del blues, virtuosa della chitarra elettrica e del canto, ma anche capace polistrumentista, Lili Refrain ha all’attivo cinque dischi da solista attraverso cui ha descritto un’interessante evoluzione musicale: dal chitarrismo dei primordi è giunta oggi a una sintesi tra psichedelia, ambient e neofolk che guarda a Oriente, cercando con sintetizzatori e percussioni tradizionali nipponiche (taiko) un originale affrancamento dai suoi generi musicali di provenienza, che tuttavia non scompaiono.

Grazie a Mana, e a una convincente capacità di esibirsi in coinvolgenti performance live, Lili Refrain ha avuto un’ampia e forse inaspettata consacrazione in tutta Europa 

Già da tempo nota negli ambienti underground italiani, nel 2022 Lili Refrain ha dato una decisiva svolta alla sua carriera pubblicando con la romana Subsound records un album programmaticamente intitolato Mana: un disco complesso, ma non per questo di difficile ascolto, che celebra il viaggio e l’animismo, proponendo un peculiare mix musicale in cui sembra di riconoscere l’eco degli anglo-australiani Dead can dance e del compositore giapponese Kenji Kawai (il riferimento va in particolare alla colonna sonora composta per il film d’animazione Ghost in the shell).

Grazie a Mana, e a una convincente capacità di esibirsi in coinvolgenti performance live in cui il suono viene costruito ritualmente pezzo per pezzo con varie loop station (apparecchi che registrano e rimandano a ripetizione passaggi strumentali e vocali più o meno brevi), Lili Refrain ha avuto un’ampia e forse inaspettata consacrazione in tutta Europa. Ha infatti trascorso gli ultimi due anni partecipando ai maggiori festival continentali di area metal (vedi per esempio Hellfest e Roadburn) e facendo da spalla nei tour dei The Cult, storica band del gothic rock inglese, e degli Heilung, compagine multinazionale centro-nordeuropea che, traducendo in musica il mondo runico e norreno, ha portato il neofolk a uno dei suoi livelli di massima espressione.

Caterina Barbieri: macchine sensuali e spazi siderali

Se Lili Refrain guarda alla Terra, traendone (simbolicamente e non solo) le energie, la terza e ultima artista di cui intendiamo brevemente parlare sembra piuttosto guardare alle stelle e alle profondità degli spazi siderali, grazie a una sensibilità compositiva che punta e ragiona sull’estensione e sull’allargamento delle percezioni, uditive e non solo. Si tratta di Caterina Barbieri, musicista bolognese con una solida formazione in chitarra classica e composizione elettroacustica maturata tra la sua città e Stoccolma. Con oltre dieci anni di carriera alle spalle, dal 2019, anno di pubblicazione dell’album Ecstatic Computation, Barbieri sembra aver legittimamente conquistato spazi di prestigio nella musica internazionale, tanto che, nello stesso anno, il nume dell’elettronica mondiale Aphex Twin l’ha chiamata a condividere con lui il palco londinese del Red Bull Music Festival. Suoi ultimi lavori sono gli album “gemelli”, perché composti in contemporanea, Spirit Exit (2022) e Myuthafoo (2023), nei quali l’autrice, lavorando con sintetizzatori modulari, prosegue nel suo progetto di elaborazione di un’elettronica di taglio minimalista con eleganti riverberi techno e memorie dilatate di derivazione drone-music.

Ivreatronic, il suono dell’innovazione

Tramite la sua riconoscibile proposta musicale e filosofica, Caterina Barbieri, che si esibisce sul palco in vesti che ricalcano apparenze ginoidi, sembra voler mettere in dialogo sensuale il carbonio e il silicio, lavorando sulle possibilità offerte in musica dalla computazione, dalla ricorsività e dall’elaborazione macchinica del suono. Ne viene fuori una sorta di electro-ambient trascendentale capace di distendere l’emotività degli ascoltatori nell’ampiezza di un profondo stato onirico che tende alla trance estatica e siderale. Non a caso l’etichetta di produzione fondata dalla stessa Barbieri risponde al nome di Light-years (anni luce), a testimonianza dell’ampiezza cosmogonica dello sguardo di cui l’artista vuole farsi testimone e latrice con la sua musica più che contemporanea, forse addirittura futurista.

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