Con Margara nel giardino di Michelucci

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Il 29 luglio di nove anni fa ci lasciava Alessandro Margara, giurista e magistrato di sorveglianza, figura di riferimento per generazioni di operatori del diritto e delle garanzie. A ricordarlo oggi, con rinnovata urgenza, sono La Società della Ragione, l’Archivio Margara, l’Associazione Volontariato Penitenziario – AVP e la Fondazione Giovanni Michelucci.

La sua eredità, umana e intellettuale, continua a indicare una strada oggi più che mai necessaria: quella della costituzionalizzazione della pena e della centralità della persona, anche – e soprattutto – quando privata della libertà.

Il 26 luglio 2025 ha segnato i cinquant’anni dell’Ordinamento penitenziario, riforma ispirata proprio dal pensiero di Margara. Una riforma che avrebbe dovuto realizzare concretamente i principi costituzionali all’interno del carcere, e che invece oggi appare svuotata e tradita.

Il sistema penitenziario italiano attraversa infatti una fase drammatica. Il sovraffollamento torna a livelli insostenibili, le condizioni di detenzione si fanno sempre più disumane, la tensione nelle carceri cresce e la lista dei suicidi si allunga, in un luglio che ha contato sei morti in un solo mese. A tutto questo si somma la recente conversione in legge del cosiddetto “decreto sicurezza”, che sancisce un carcere sempre più disciplinare, repressivo e chiuso ad ogni forma di dissenso interno, persino pacifico.

A pochi giorni dal cinquantennale, il Governo ha approvato anche il “piano carceri” del Ministro Nordio, che prevede: un nuovo tipo di detenzione domiciliare per tossicodipendenti e alcoldipendenti; alcune modifiche al regolamento di esecuzione assolutamente insufficienti; un’estensione dell’edilizia penitenziaria tramite moduli prefabbricati.

Nessuna misura di clemenza, nessun intervento strutturale, nessuna riflessione sul senso e la funzione della pena. Solo un passo ulteriore verso la contenzione, travestito da attenzione alla cura.

E proprio a questa “retorica della cura” opposta alla “realtà della contenzione” aveva dedicato un lucidissimo articolo Margara nel 2007. Quelle parole risuonano oggi con allarmante attualità. Il nuovo istituto della detenzione domiciliare, infatti, sarà subordinato a un triplo vaglio: idoneità del programma, attualità della dipendenza, e persino la sua correlazione causale con il reato. Una procedura che renderà il beneficio di fatto inaccessibile alla maggior parte delle persone interessate, soprattutto a coloro che hanno commesso reati “ostativi” ai sensi dell’art. 4-bis o.p. – una lista sempre più ampia, che ora include persino la rivolta penitenziaria.

È un impianto che nega ogni soggettività alle persone che usano droghe, ridotte a meri oggetti di contenimento. Una visione che Grazia Zuffa – anche lei recentemente scomparsa – avrebbe duramente criticato. La sua riflessione sulla costruzione sociale dello stigma verso le persone che usano sostanze torna oggi più che mai attuale, come ben testimonia la preziosa raccolta Stigma e pregiudizio (Menabò, 2025).

Nel giorno della ricorrenza della morte di Margara, le realtà che ne custodiscono la memoria chiedono un gesto concreto e simbolico all’Amministrazione penitenziaria: la manutenzione del Giardino degli Incontri nel carcere di Sollicciano. Progettato da Giovanni Michelucci e inaugurato proprio da Margara nel 2007, il Giardino è oggi in condizioni di degrado. Salvare quel luogo – pensato per restituire umanità e bellezza anche dentro le mura – sarebbe un piccolo atto di coerenza e rispetto per chi ha creduto che il carcere potesse diventare altro.

Il pensiero di Margara non è nostalgia, ma una risorsa viva per orientarsi nel presente. Farne memoria oggi non significa solo rendere omaggio a una figura di giustizia e umanità, ma anche prendere posizione contro il ritorno alla pura funzione punitiva della pena. Perché il carcere, se non è costituzionale, non è altro che violenza.

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