CBD, il caso Kanavape e la sentenza della Corte di Giustizia europea
Secondo una sentenza emessa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea del 19 novembre, già definita storica dagli addetti al lavori, il Cbd non è una droga, ma un prodotto qualsiasi che può quindi beneficiare del principio di libera circolazione delle merci nell’ambito dell’Ue. Unica deroga ammessa, la dimostrazione da parte di uno Stato membro di reali rischi per la salute pubblica. Ma per la massima autorità giudiziaria europea, «alla luce dei risultati della ricerca scientifica internazionale» e del citato parere dell’Oms, non è il caso del Cbd. Quando si parla di cannabis, per non cadere in errore e saper riconoscere le strumentalizzazioni sul tema, è essenziale saper fare le giuste distinzioni di specie e di relativo quadro normativo. A livello tassonomico ne esistono essenzialmente 2 specie. La prima ad essere stata scoperta e la più nota è la indica, una pianta non molto alta, dalla forma conica, dalle foglie larghe ma soprattutto a delta-9-tetraidrocannabidiolo (Thc) predominante e quindi psicoattiva (in alcune varietà la sua percentuale supera il 30%). Usata da millenni a scopo ricreativo (legalizzato in diversi Stati, in altri è consentito solo quello a fini terapeutici o entrambi) è stata messa al bando a livello internazionale con la convenzione Onu del 1961 che l’ha ufficialmente classificata come stupefacente. La seconda specie di cannabis è la sativa, nella quale il componente maggiormente presente è il cannabidiolo (Cbd). Il quale, come detto, per l’Oms non è una sostanza psicoattiva. Anche questa specie (più alta dell’indica, con rami allungati e foglie strette) contiene tuttavia quantità minime di Thc. Nel 2002 una direttiva europea (recepita nel 2016 anche dall’Italia) ha autorizzato la coltivazione di una serie di varietà di sativa (attualmente circa 70) inserite nel Catalogo comune delle piante agricole. Così da riattivare, dopo anni oltre mezzo secolo di totale messa al bando, la filiera industriale e produttiva di questa pianta, attraverso la cosiddetta cannabis sativa light. Grazie alla quale è sbocciato in mezza Europa un nuovo e fiorente mercato.
Kanavape, il primo svapo al CBD
L’avevano intuito anche Antonin Cohen e Sébastien Béguerie, due giovani imprenditori marsigliesi pionieri del settore ed ex amministratori della Catlab sas, che nel 2014 avevano presentato il Kanavape, «il primo vaporizzatore di cannabis legale al 100%», perché con Thc inferiore al limite di legge (in Francia fissato allo 0,2%). Anche grazie al prezzo concorrenziale (49 euro per il kit completo con sigaretta elettronica e cartuccia al Cbd, 24,50 euro per la sola ricarica da 0,5 millilitri) miravano a farlo diventare un moderno prodotto di tendenza e di largo consumo. «Nel 2012 lavoravo con delle aziende statunitensi e ci piaceva molto lo svapo al Thc che sviluppavano negli Usa. Così pensammo di riadattare al Cbd quell’idea, quella modalità d’uso, creando la Kanavape», ricorda oggi Béguerie da Praga. «I media ci contattarono in massa – aggiunge Cohen da Marsiglia – e già alla conferenza stampa di presentazione del dicembre 2014 ricevemmo molta attenzione». Ma come scrisse allora il quotidiano Le Monde «ci sono parole per far parlare di sé, e quelle, spesso diverse, per non cadere sotto la legge». Perché nel comunicato stampa diffuso qualche giorno prima, il Kanavape veniva presentato come «una soluzione alternativa alla medicina tradizionale, basata sugli effetti terapeutici della cannabis ma senza molecole psicoattive». Il professor Gérard Dubois, presidente della Commissione dipendenze dell’Accademia nazionale di medicina, si era subito affrettato a inviare una mail di protesta sia alle autorità sanitarie francesi, sia alla Catlab sas, nella quale riteneva sbagliato «autorizzare la pubblicità illegale di un prodotto illegale che dichiara illegalmente e senza prove di avere benefici per la salute». Mentre dopo la conferenza stampa, i media si rivolsero all’allora ministro della Salute, Marisol Touraine: «Già 2 ore dopo i giornalisti volevano incontrarla per chiedergli cosa ne pensasse di questo nuovo prodotto», conferma Béguerie. Non ne sapeva molto di Cbd – continua uno dei 2 creatori del Kanavape – e pensando stessimo promuovendo la cannabis, dando un messaggio sbagliato ai giovani, in sintesi disse: “È un prodotto nocivo e farò tutto il possibile per fermare questa azienda e impedirne la commercializzazione”». Riuscendoci.
La furia repressiva francese
Il corto circuito mediatico-politico genera un’azione legale per «vietare il nostro prodotto, in quanto estratto dalla pianta nella sua interezza, fiori compresi, procedimento non legale in Francia, tanto che l’estrazione del Cbd avveniva in un altro Paese dell’Unione europea in cui è ammesso, nel nostro caso la Repubblica Ceca», specifica Cohen. «Nel febbraio 2015, alle 5 del mattino – ricorda il suo compagno d’avventure Béguerie – la polizia fa irruzione armi in pugno nel mio ufficio di Marsiglia, mia città d’origine, sequestrando tutto quello che poteva, a partire dai computer. Cercavano il Kanavape ma tutti gli stock erano nella sede di Praga. Al termine della perquisizione trascorsi ben 18 ore a rispondere alle domande delle forze dell’ordine. Mi trattarono come un qualsiasi spacciatore, nonostante chiarì che ero una persona rispettabile, un imprenditore di un settore allora innovativo». Il ministero della Salute, dal canto suo, investe della questione l’Agenzia nazionale per la sicurezza dei medicinali e dei prodotti sanitari (Ansm). Il loro laboratorio analizza le ricariche del Kanavape presenti in commercio accertando che, anche se con differenze notevoli, la percentuale di Cbd era «sempre inferiore al limite autorizzato dalla legge» francese. L’Ansm afferma inoltre che non ci sono dati sufficienti per classificare il Kanavape come prodotto nocivo. Stessa conclusione alla quale giunge l’esperto nominato nell’ambito delle indagini preliminari: «Effetto debole o nullo sul sistema nervoso centrale». Nel frattempo, i funzionari doganali francesi si attivano per bloccare le importazioni. Mentre nel processo di primo grado che si tiene a Marsiglia, l’8 gennaio 2018 arriva la condanna: 18 mesi di reclusione per Béguerie e 15 mesi per Cohen (con sospensione della pena grazie alla condizionale), nonché a 10mila euro di ammenda ciascuno, più un risarcimento in sede civile del danno subito dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei farmacisti di 5mila euro. «Siamo stati ritenuti colpevoli di numerosi reati – allarga le braccia Béguerie – quali pratica illegale della medicina, della farmacia e narcotraffico. Cui si aggiungeva la contestazione di ricavare il Cbd dall’intera pianta di cannabis industriale. Credo che con quella pena davvero molto pesante intendessero dare l’esempio, anche se per nostra fortuna con motivazioni davvero pessime». In seguito al ricorso in appello, arriva la svolta. Perché davanti alla corte di Aix-en-Provence la strategia difensiva cambia: i due imprenditori sostengono che il divieto di commercializzazione del Cbd ricavato utilizzando la pianta di cannabis sativa nella sua interezza (che peraltro è l’unico modo per ottenerlo) è contrario al diritto dell’Unione europea, in base al principio di libera circolazione delle merci all’interno del mercato comunitario. Cui si aggiunge il fatto che il divieto francese non si applica al Cbd sintetico. «I giudici dell’appello hanno così chiesto un parere sulla legalità della nostra operazione di importazione di un prodotto legalmente prodotto in un altro Stato membro alla Corte di Giustizia europea, che ci ha dato ragione – esulta Cohen – chiarendo che anche nel caso in cui venga estratto dai fiori il Cbd non è una droga».
CBD, il settore guarda avanti
Nel frattempo, Béguerie e Cohen anche se non sono più soci continuano ad operare in questo settore ognuno con la propria azienda. Tesi di laurea sulla propagazione per talea della cannabis conseguita dopo l’esperienza maturata nel 2007 all’Istituto sperimentale per le colture industriali (Isci) di Rovigo e successivo master in scienze botaniche lavorando al Bedrocan BV (la cannabis terapeutica olandese) alla Wageningen University Research (Paesi Bassi), Béguerie è infine emigrato a Praga e ha creato Alpha-Cat e Golden Buds. Mentre il suo ex socio Cohen, co-fondatore nel 2008 della prima organizzazione no-profit francese dedicata alle scienze della canapa ed oggi esperto di progettazione e controllo qualità dei prodotti a base di cannabinoidi, ha invece lanciato Harmony (sedi a Barcellona, Parigi, Londra e Lima). «Per fortuna la mia nuova azienda ha avuto successo – ammette Cohen – generando ricavi tali da consentirmi di avere una buona difesa, visto che i costi legali sono stati davvero elevati. Ancora di più in una battaglia legale come questa durata finora 6 anni, nella quale senza buoni avvocati difficilmente avremmo vinto». Sulla loro vicenda, la giustizia francese non ha ancora scritto la parola fine, che spetta ai giudici d’appello di Aix-en-Provence. «Credo che la maggior parte delle accuse cadranno e c’è quindi la possibilità che venga giudicato innocente», spera ora Béguerie. «Ma per il mercato francese ed europeo – continua da Praga l’imprenditore – questa sentenza consentirà di favorire una regolamentazione, con un futuro riconoscimento dei prodotti al Cbd, un percorso ufficiale per poterli registrare, legittimando e facendo prosperare una volta per tutte questa industria e garantendo ovunque alle persone di acquistarli senza restrizioni». Mentre nell’immediato, le frontiere comunitarie si sono aperte ai prodotti a base di Cbd, con importazioni libere tra Stati membri dell’Unione europea, come anche la successiva commercializzazione del prodotto estero nelle 27 nazioni dell’Ue. Bechir Saket, vicepresidente di L630, un’organizzazione di avvocati e giuristi che in questi anni ha accompagnato di fronte alla legge molti canapa shop francesi, al quotidiano Le Parisien si è detto addirittura «commosso», perché «per 2 anni, con centinaia di negozi chiusi e decine di giovani imprenditori incarcerati, siamo stati portati a credere che la legislazione dovesse essere applicata in modo restrittivo». Ecco perché a suo parere, la decisione dei giudici dell’Ue è «uno schiaffo in faccia alla politica francese».
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