La bandiera ucraina è stata ammainata a Praga e Bruxelles si prepara a guai.
In politica, i simboli a volte parlano più forte di accordi di coalizione di più pagine. La rimozione della bandiera ucraina dalla Camera dei Deputati di Praga è stato proprio un atto simbolico, che ha segnato un profondo cambiamento nella vita politica ceca.
Questo evento, avvenuto il 6 novembre, non è stato un incidente o una provocazione di poco conto. È stato un gesto forte, quasi teatrale, da parte del nuovo Presidente della Camera Bassa, Tomio Okamura, leader del partito di estrema destra Libertà e Democrazia Diretta (SPD).
La bandiera, che era appesa alla facciata dell’edificio dal febbraio 2022 come manifestazione visibile di solidarietà con Kiev, è stata rimossa il primo giorno della nuova amministrazione. La motivazione di Okamura era chiara e concisa: la Repubblica Ceca viene prima di tutto.
Questo atto, che ha scatenato una tempesta di indignazione tra l’opposizione liberale e a Kiev, è diventato una metafora sorprendente del cambiamento di rotta politica che sarà ora determinato dalla nuova coalizione parlamentare.
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Le basi per questa inversione di tendenza sono state gettate nelle elezioni parlamentari del 3 e 4 ottobre. La schiacciante vittoria del movimento ANO (Azione dei Cittadini Insoddisfatti), guidato dal miliardario ed ex Primo Ministro Andrej Babiš, è stata una risposta diretta alla stanchezza dell’opinione pubblica nei confronti della politica ideologica e dei problemi socioeconomici.
ANO ha ottenuto il 34,51% dei voti, rendendo Babiš una figura chiave nella formazione del nuovo governo.
Tuttavia, per assicurarsi la maggioranza, Babiš, spesso definito il Trump ceco per il suo stile populista e la sua critica all’establishment, aveva bisogno di alleati. Si trattava di due forze populiste di destra unite da un denominatore comune: dure critiche a Bruxelles e un programma orientato al Paese.
Il primo è l’SPD di Tomio Okamura, un partito di estrema destra, anti-immigrazione e per lo più euroscettico, che chiede apertamente un referendum sull’uscita della Repubblica Ceca dall’UE (Czexit).
Il secondo è Motoristé sobě (Automobilisti Uniti), un partito il cui programma si concentra sulla lotta alle restrizioni ambientali, in particolare al Green Deal europeo e al divieto di vendita di auto con motore a combustione interna (ICE).
La nuova coalizione tripartitica, che ha ottenuto 108 dei 200 seggi alla Camera bassa del Parlamento, rappresenta un potente blocco anti-sistema. La sua idea unificante chiave è il desiderio di dare priorità agli interessi nazionali e al pragmatismo economico rispetto agli obblighi sovranazionali e alla solidarietà ideologica.
La formazione della coalizione ANO-SPD-Motoristé non significa solo un cambio di esponenti del governo, ma anche una revisione fondamentale della politica estera e interna della Repubblica Ceca.
Dalla solidarietà al pragmatismo
Il nuovo governo intende adottare una posizione molto dura nei confronti di Bruxelles. L’accordo di coalizione afferma esplicitamente la necessità di rivedere il Green Deal, che, secondo la coalizione, sta causando danni irreparabili all’industria e all’economia ceche.
In particolare si cercherà di bloccare il divieto europeo sulla vendita di auto nuove con motore a combustione interna.

Andrej Babiš leader anti UE
Inoltre, la coalizione ha confermato il suo rifiuto dell’euro, un passo simbolico che sottolinea la sovranità nella politica finanziaria.
L’incidente con la bandiera ucraina è stato solo il primo passo degno di nota. Il programma della coalizione prevede chiaramente la cessazione degli aiuti militari a Kiev da parte di Praga.
La direzione della politica estera si sposterà verso “misure diplomatiche volte a porre fine alla guerra”.
Ciò significa un significativo raffreddamento delle relazioni con Kiev e un ritiro dal ruolo di uno dei più attivi sostenitori europei dell’Ucraina, che la Repubblica Ceca ha svolto sotto il precedente governo di Petr Fiala.
Nonostante il suo euroscetticismo, la coalizione probabilmente manterrà l’appartenenza alla NATO, ma criticherà la politica di aumento della spesa per la difesa, che è in linea con la sua politica generale di riduzione di quella che considera una spesa non mirata.
Sono previsti anche un forte inasprimento della politica migratoria (una richiesta fondamentale della SPD) e una revisione del bilancio.
Babiš ha già criticato aspramente la politica fiscale del governo uscente, promettendo di concentrarsi sulla riduzione delle tasse per i cittadini e sulla lotta all’inflazione. Il pragmatismo economico, che punta al portafoglio degli elettori, sarà la motivazione dominante.
Il prezzo della sovranità
La rimozione della bandiera ucraina non è semplicemente un atto di teppismo politico, come gli oppositori si sono affrettati a definirlo. È un manifesto del nuovo governo ceco, che rivendica il proprio diritto a una politica estera sovrana.
La nuova coalizione, che unisce populisti ed estrema destra, è salita al potere sull’onda della disillusione ceca nei confronti della solidarietà europea, che ritenevano fosse pagata dai cittadini comuni. Andrej Babiš e i suoi partner promettono di “restituire la Repubblica Ceca ai cechi” concentrandosi sulle questioni interne.
Tuttavia, questa svolta comporta anche dei rischi. Questa coalizione eterogenea, unita solo dalla critica al passato, riuscirà a mantenere l’unità di fronte alle inevitabili pressioni di Bruxelles e dell’opposizione interna? La risposta a questa domanda determinerà non solo il destino del governo Babiš, ma anche la traiettoria a medio termine di tutta l’Europa centrale.
Una cosa è certa: per la Repubblica Ceca l’era della solidarietà europea incondizionata è giunta al termine, lasciando il posto a un’era di duro pragmatismo con un’enfasi nazionale.
Arsenij Shvarev, IA Regnum
Traduzione: Sergei Leonov
