Zaki, un anno in carcere senza processo nell’inerzia d’Europa

“Serve una mobilitazione internazionale e azioni concrete da parte dell’Unione europea”. Hussein Baoumi, ricercatore di Amnesty international, crede che solo una presa di posizione, forte e con delle ricadute pratiche, possa favorire la liberazione di Patrick George Zaki, attivista e studente dell’università di Bologna, che da quasi un anno si trova nel carcere di Tora in Egitto. Secondo quanto rivela la pagina Facebook Patrick Libero, che sta seguendo la vicenda giudiziaria e chiede la liberazione del giovane, la prossima udienza per il rinnovo della detenzione di Zaki è fissata il primo febbraio. “Non c’è alcun motivo per cui venga trattenuto – prosegue Baoumi –. Ma non è il solo in queste condizioni. È necessario far comprendere al governo di Abdel Fatah al-Sisi che ci saranno conseguenze politiche ed economiche se continua a imprigionare senza ragione gli attivisti per i diritti umani, come Zaki”.

“È necessario far comprendere al governo di Abdel Fatah al-Sisi che ci saranno conseguenze politiche ed economiche se continua a imprigionare senza ragione gli attivisti per i diritti umani, come Zaki” Hussein Baoumi – Amnesty international

Chi è Patrick Zaki e di cosa è accusato

Patrick Zaki è un ragazzo egiziano di 28 anni che nell’agosto del 2019 si era trasferito in Italia per frequentare il master Gemma: un programma dell’università di Bologna sponsorizzato dalla Commissione europea che si occupa di studi di genere. Il suo incubo è iniziato il 7 febbraio 2020, quando il giovane è tornato in patria per trascorrere un periodo di riposo in famiglia. Una volta atterrato all’aeroporto del Cairo, però, è stato fermato dalla polizia e trattenuto. Non abbiamo avuto sue notizie per oltre 24 ore. A denunciare la sua scomparsa è stata l’Egyptian iniative for personal rights (Eipr), un’organizzazione egiziana per i diritti umani nata nel 2002, di cui Zaki è un collaboratore. Secondo la ricostruzione degli avvocati, Patrick sarebbe stato sottoposto a interrogatorio, picchiato e torturato con scosse elettriche prima di essere trasferito in un ufficio dell’Agenzia di sicurezza nazionale, i servizi segreti egiziani, a Mansoura: la città natale del 28enne che si trova a circa 120 chilometri dalla Capitale. Solo il giorno dopo, l’8 novembre, è stato raggiunto dai legali e ha fatto la sua comparsa davanti al pubblico ministero. 

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Le accuse formalizzate dalla procura sono diverse e includono “la diffusione di notizie false dirette a minare la pace sociale”, “l’incitamento alla protesta senza permesso”, “l’istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo”, “la gestione di un account social che indebolisce la sicurezza pubblica”, nonché “l’appello al rovesciamento dello Stato”. “Durante l’udienza, il giudice aveva in mano una lista di post su Facebook stampati che non siamo riusciti a vedere. Soprattuto ci siamo accorti che aveva in mano verbali con prove completamente inventate”, ha detto al Fatto quotidiano Wael Ghally, uno degli avvocati del ragazzo. In particolare, sarebbero due i verbali contestati dai legali: uno parla di una perquisizione in casa di Zaki che per la difesa non è mai avvenuta. L’altro colloca l’arresto del giovane nel quartiere di Jadyala a Mansoura. “Anche questo verbale è chiaramente falso perché il suo fermo è avvenuto all’aeroporto”, ha ribattuto Ghally.

In una lettera inviata alla famiglia il 12 dicembre, Zaki ha fatto sapere di essere molto provato dalla detenzione. “Ho ancora problemi alla schiena, ho bisogno di forti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio – ha scritto –. Il mio stato mentale non è un granché dall’ultima udienza. Voglio mandare il mio amore ai miei compagni di classe e agli amici a Bologna. Mi mancano molto la mia casa lì, le strade e l’università. Speravo di trascorrere le feste con la mia famiglia ma questo non accadrà per la seconda volta a causa della mia detenzione”

Un anno senza processo

“In teoria, la persona rimane in prigione mentre la polizia ha il compito di indagare sul caso in base alle accuse formalizzate dalla procura. In pratica, si tratta di una detenzione del tutto arbitraria: non viene fatta alcuna indagine”

Zaki non ha subito alcun processo, si trova in carcere in custodia cautelare. “Un provvedimento molto diffuso in Egitto – racconta Baoumi –. In teoria, la persona rimane in prigione mentre la polizia ha il compito di indagare sul caso in base alle accuse formalizzate dalla procura. In pratica, si tratta di una detenzione del tutto arbitraria: non viene fatta alcuna indagine e la custodia cautelare è rinnovata a ogni udienza”. La legge egiziana stabilisce un tetto massimo alla possibilità di prolungare la carcerazione in assenza di processo, fissato a due anni. Ma anche al termine del biennio è impossibile tirare un respiro di sollievo. I giudici della Corte penale del Cairo, chiamati a pronunciarsi su questi casi, possono decidere che il detenuto sia rilasciato “molto spesso, però, capita che a suo carico vengano formalizzate nuove accuse e ricominci la trafila”.

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In questi mesi il giovane attivista non è stato il solo membro dell’Eipr a finire in carcere. La stessa sorte è toccata a Gasser Abdel-Razek, Karim Ennarah e Mohammed Basheer. Dopo una mobilitazione internazionale che ha coinvolto diverse celebrità, come Scarlett Johansson, i tre sono stati rilasciati. Anche se la persecuzione nei loro confronti è tutt’altro che finita: le loro finanze sono state congelate e non possono lasciare l’Egitto. Zaki, invece, è rimasto in cella. “Patrick non viene rilasciato perché non vogliono rilasciarlo”, commenta Aida Seif El-Dawla, tra le fondatrici del Nadeem center, un centro che al Cario fornisce supporto alle vittime di tortura e violenza, che abbiamo intervistato per il prossimo numero de lavialibera per fare il punto sulla situazione dei diritti umani in Egitto. “Come tutti gli studenti che hanno l’opportunità di trascorrere un periodo all’estero, Zaki è visto dal governo con sospetto. Ai giovani che lasciano il Paese mi faccio promettere di non tornare”. 

Come tutti gli studenti che hanno l’opportunità di trascorrere un periodo all’estero, Zaki è visto dal governo con sospetto. Ai giovani che lasciano il Paese mi faccio promettere di non tornare Aida Seif El-Dawla- Nadeem center

Ma una responsabilità importante, per Baoumi, ce l’ha anche l’Europa che fino ad ora ha “mancato di serietà” e ha dato risposte “molto timide”. Il 18 dicembre 2020 il Parlamento europeo ha approvato una proposta di risoluzione sulle violazioni dei diritti umani in Egitto, invitando gli Stati membri “a prendere in considerazione misure restrittive mirate nei confronti di funzionari egiziani di alto livello responsabili delle violazioni più gravi nel Paese”. I deputati dell’europarlamento hanno chiesto la scarcerazione immediata e incondizionata di Patrick Zaki e il ritiro di tutte le accuse a suo carico, “oltre all’attuazione di una reazione diplomatica ferma, rapida e coordinata da parte dell’Unione”. Indicazioni cadute nel vuoto. In un bolla di sapone si è concluso anche l’intervento del ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, al Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione sul caso di Giulio Regeni: il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto cinque anni fa. Al momento nel nostro Paese risultano indagati quattro agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano, ma le autorità del Cairo si rifiutano di collaborare e di fornire i loro indirizzi di residenza, come richiesto dalla legge italiana per poter portare avanti il procedimento. Di Maio ha incassato la solidarietà dell’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, ma nessuna azione concreta nei confronti di al-Sisi. 

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Gli affari degli Stati dell’Unione con l’Egitto continuano. L’elenco, stilato da Il Manifesto, è lungo. La tedesca Siemens si è aggiudicata un accordo per la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità, mentre sul versante militare nel 2020 la Germania ha autorizzato la vendita di armi al Cairo per un valore di 725 milioni di euro. La Francia ha celebrato la consegna di una corvette prodotta in collaborazione con la francese Naval Group. Mentre in Italia la vendita di armi all’Egitto nel 2019 ha fatto incassare 871,1 milioni di euro a fronte dei 7,1 nel 2016. Nel 2020 Fincantieri ha venduto due fregate Fremm, per un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro. Ma in ballo c’è una commessa ancora più remunerativa che potrebbe fruttare tra i nove e gli 11 miliardi. A questo proposito, nei giorni scorsi la Rete italiana pace e disarmo ha inviato al ministro degli Esteri una lettera, firmata anche da altre associazioni tra cui Libera, in cui chiede all’Italia di fermare l’autorizzazione all’esportazione dei sistemi militari in Egitto. “Alla condanna formale, non sono seguiti i fatti – accusa il ricercatore di Amnesty –. Le autorità sono ormai convinte che la sistematica violazione dei diritti umani rimarrà impunita”. 

Le condizioni delle carceri egiziane

“Le carceri egiziane sono piene di detenuti politici, persone imprigionate senza alcun motivo se non quello di aver espresso opinioni critiche nei confronti del governo di al-Sisi” Mohamed Lotfy- Egyptian commission for rights and freedoms

La detenzione arbitraria di Patrick Zaki preoccupa anche considerate le condizioni delle carceri egiziane, “piene di detenuti politici, persone imprigionate senza alcun motivo se non quello di aver espresso opinioni critiche nei confronti del governo di al-Sisi”, precisa Mohamed Lotfy, cofondatore dell’organizzazione Egyptian commission for rights and freedoms, aggiungendo che il coronavirus ha reso la vita dei detenuti sempre più dura, privandoli anche di un supporto psicologico in quanto  “possono ricevere visite di parenti e familiari meno spesso di prima”. Un report di Amnesty international denuncia che le autorità carcerarie egiziane non sono riuscite a proteggere i detenuti dalla pandemia e discriminano chi proviene da contesti socio-economici svantaggiati.

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Il numero di detenuti presenti nelle carceri d’Egitto non si conosce, è un dato che le autorità del Cairo si rifiutano di fornire. Secondo alcune stime, le presenze sarebbero 114mila: oltre il doppio della capienza massima di 55mila persone. Nelle 16 carceri esaminate da Amnesty, centinaia di detenuti sono ammassati in celle sovraffollate, con una superficie media stimata di 1,1 metri quadrati per detenuto. Il minimo raccomandato dagli esperti è di 3,4 metri. Non solo: nel 2020, a seguito di grazie presidenziali e rilasci condizionali, sono uscite dalle prigioni 4000 persone in meno rispetto al 2019.

*Grazie a Paola Nigrelli di Amnesty international Italia 

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