Suicidi, allarme giovani: è la seconda causa di morte tra i 10 e i 25 anni

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Professore, come stanno i ragazzi?
Nel periodo che va dall’inizio del covid a oggi, abbiamo assistito a un aumento delle richieste di aiuto, soprattutto con la seconda ondata del covid e questo trend non accenna a diminuire. Dall’autunno dello scorso anno abbiamo registrato un aumento del 30-40 per cento degli accessi associati al periodo della pandemia. Quello che colpisce di più è che i motivi di intervento più frequenti sono depressione e autolesionismo, ovvero atti finalizzati a provocare danni al proprio corpo in modo volontario, non sempre necessariamente a scopo suicidario (tagli, ferite, bruciature). C’è stato un aumento netto.
Di che numeri parliamo?
Prima del Covid, i ricoveri per autolesionismo rappresentavano circa il 25-30 per cento dei casi, ora il 65-70. Due volte su tre, chi arriva al pronto soccorso per un disturbo psichiatrico viene per questo motivo. C’è un malessere crescente e questa convinzione è stata osservata da studi fatti in altri Paesi. In associazione alla pandemia, i disturbi d’ansia e depressione sono raddoppiati tra i minori di 18 anni. Se prima si parlava di circa il 10-12 per cento dei ragazzi, ora siamo intorno al 20-25. Un ragazzo su 4. Sono numeri inquietanti, anche a fronte delle risorse molto ridotte che il nostro Paese ha stanziato a proposito di psichiatria in età evolutiva, di gran lunga inferiori a quelle messe a disposizione per gli adulti.
Prima del Covid, i ricoveri per autolesionismo rappresentavano circa il 25-30 per cento dei casi, ora il 65-70 per cento
Quanto è pericoloso sottovalutare il disagio dei più giovani?
Moltissimo. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i 10 e i 25 anni. È un fenomeno diffuso e preoccupante, tanto è vero che l’età media di chi viene ricoverato al Bambino Gesù è 13-14 anni.
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Qual è l’ostacolo più grande da affrontare per chi chiede aiuto?
Ce ne sono vari. Manca una cultura dell’accoglienza al disturbo mentale, che culturalmente rimane un fenomeno ancora molto stigmatizzato. Lo si sente come una vergogna, un fallimento personale. C’è una resistenza a rivolgersi a specialisti. C’è anche una scarsa attenzione per la salute mentale da parte dei genitori, che non sono particolarmente allenati a cogliere dei segnali di sofferenza psichica nei loro figli. Non solo loro, ma anche i pediatri: nel rapporto con l’assistito spesso non si indaga questa possibilità. I disturbi mentali sono quelli più frequenti in età evolutiva e coinvolgono il 10 per cento dei bambini e il 20 per cento degli adolescenti e nelle scuole di specializzazione per pediatri non si studia la psichiatria. È un tema che implica una riflessione.
Manca una cultura dell’accoglienza al disturbo mentale, che culturalmente rimane un fenomeno ancora molto stigmatizzato. Lo si sente come una vergogna, un fallimento personale
Mancano anche le strutture d’accoglienza.
Sì, è un altro dei problemi. Se per gli adulti esistono i dipartimenti di salute mentale e, seppure con difficoltà, sono sufficienti ad accogliere la domanda di assistenza, al contrario per quanto riguarda l’età evolutiva le strutture sono inesistenti. In tutta Italia ci sono 100 posti letto dedicati alla psichiatria e alcune regioni, come l’Umbria e la Calabria, ne sono del tutto sprovviste. Se un ragazzo tenta il suicidio a Crotone, viene portato a Roma. Un quadro insostenibile.
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Servono più fondi?
Serve una politica per la salute mentale in età evolutiva che non c’è. Ma non vorrei che le mie parole suonassero come una semplice richiesta di denaro. In realtà, mancano sul territorio strutture in grado di accogliere i ragazzi al primo manifestarsi di sofferenza mentale e di intervenire efficacemente: le ASL in molte regioni d’Italia non riescono a svolgere questo compito fondamentale. Dovremmo favorire la salute mentale e la crescita cognitiva e affettiva di bambini e ragazzi investendo negli asili nido, nella scuola e nella famiglia viste come comunità fatte di relazioni positive.
Dovremmo favorire la salute mentale e la crescita cognitiva e affettiva di bambini e ragazzi investendo negli asili nido, nella scuola e nella famiglia viste come comunità fatte di relazioni positive
La situazione è allarmante.
Per questo denunciamo, nell’attesa che la politica se ne accorga. Per ora succede solo quando i politici hanno casi in famiglia, che li riguardano personalmente e ci chiedono aiuto.
Come si fa a contattarvi?
Esiste un servizio telefonico – 06.6859.2265 – aperto sempre, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a cui risponde sempre una psicologa. Non c’è solo l’accoglienza della domanda, ma un tecnico che indirizza il ragazzo o i genitori verso la gestione migliore del problema.
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