Pandemia e guerra rivelano quali beni sono fondamentali

Pandemia e guerra rivelano quali beni sono fondamentali
“Alcune forme di produzione e commercio soddisfano bisogni umani elementari, le altre non possono reclamare alcun diritto alla continuità del flusso di introiti e possono dunque sospendersi all’istante”Andreas Malm – professore di Ecologia umana

Siamo ancora alle prese con la costruzione di una memoria condivisa dei momenti più duri della pandemia da Covid-19. Le vittime, i lockdown, la vulnerabilità dei nostri sistemi sanitari ridotti all’osso da austerità e privatizzazioni, l’acuirsi delle disuguaglianze socio-economiche, le iniziative volontarie di mutuo-aiuto, la digitalizzazione del lavoro, della didattica e della vita sociale. Eppure, ci sono in particolare due aspetti che non dovremmo mai dimenticare: primo, la tutela dell’interesse pubblico ha spinto gli Stati a intervenire massicciamente nell’economia come mai prima di allora, lasciando attivi solo i settori produttivi ritenuti “essenziali”; secondo, questa esigenza ha inevitabilmente imposto di decidere quali fossero i settori produttivi “non essenziali”.

Lo ha sottolineato anche Andreas Malm (leggi l’intervista qui), professore di ecologia umana, nel suo Clima, corona, capitalismo, riferendosi all’Italia, parla di “un principio del tutto inedito: alcune forme di produzione e commercio soddisfano bisogni umani elementari, le altre non possono reclamare alcun diritto alla continuità del flusso di introiti e possono dunque sospendersi all’istante”. “Lo si potrebbe considerare – prosegue – il miglior momento delle democrazie borghesi: il rispetto della vita che ha la meglio sul rispetto della proprietà, la vittoria dell’ipotesi egualitaria cui la democrazia sarebbe votata”. Dunque: si può fare! Ovviamente il tutto avveniva con imposizioni e lesioni delle libertà che non possono essere ricordate positivamente. Possiamo e dobbiamo però ricordare che per un momento è stato possibile decretare l’essenzialità di un certo lavoro umano e limitarne così la trasformazione in merce.

Senza tanto far caso a questa contingenza inedita, in quei mesi c’era chi voleva fare aperitivi, chi riaprire subito le librerie, chi anelava un taglio di capelli e chi desiderava un viaggio ai tropici. E invece no. Erano essenziali solo salute, cibo, acqua, energia, istruzione, casa. Solo?

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Descrivere l’essenziale è rivoluzionario!

Su ciò che è essenziale è intervenuto Bruno Latour, sociologo e filosofo della scienza francese, da tempo impegnato nella decostruzione delle certezze moderne che hanno condotto alla frattura tra esseri umani e le loro condizioni materiali di esistenza. Semplificando: fiduciosi nella scienza capace di risolverci i bisogni, ci siamo messi a produrre e costruire e consumare, dimenticando di fare attenzione agli equilibri ecosistemici che rappresentavano le basi della riproduzione della vita, umana e non.

Così, in piena pandemia, Latour leggeva il Covid-19 come occasione per interrogarci sulle attività di cui ci siamo effettivamente sentiti privati durante i lockdown, quelle che ci hanno dato la sensazione di una violazione delle nostre condizioni di sussistenza, del nostro “terreno di vita”. Tre anni prima, riflettendo sulla rotta da intraprendere per orientarsi in politica, aveva ricordato che una storica impresa di descrizione dei terreni di vita era avvenuta con la scrittura dei cahiers de doléances in Francia: tra gennaio e maggio 1789 tutti i villaggi, le città, le corporazioni e i sudditi di Luigi XVI descrissero precisamente i loro “ambienti di vita, pezzetto di terra per pezzetto di terra, privilegio per privilegio, imposta per imposta”. Descrivere e descriversi fece esistere un popolo, che poco dopo trasformò quella “geografia di lamentele” prima in Rivoluzione, poi in cambiamento di regime.

E allora Latour si chiede, con le dovute differenze, se si possa ancora oggi “toccare terra” stilando una lista dell’essenziale, descrivendo cosa significhi per noi essere di questa terra. A cosa teniamo di più? Con chi possiamo vivere? Chi dipende da noi per la propria sussistenza? Per cosa saremmo disposti a lottare in caso ce ne privassero? Salute, cibo, acqua, energia, istruzione, casa.

Mal pagati e con poche tutele, voci di lavoratori “indispensabili”

Cosa accadrà dopo la pandemia?

L’economia fondamentale è l’infrastruttura economica della vita quotidiana che ogni governo in pandemia non ha potuto fermare perché essenziale per il benessere e per la sopravvivenza degli individui e della società

L’elenco delle attività che non potevano essere fermate è stato sottolineato anche da un altro documento pubblicato nelle primissime settimane dalla comparsa del virus, intitolato Cosa accadrà dopo la pandemia? Una piattaforma in dieci punti per rinnovare l’economia fondamentale, proposto dal Collettivo per l’economia fondamentale. Un gruppo di ricercatori e ricercatrici che dal 2013 riflette sui cambiamenti dell’economia e del modo di fare impresa nei settori ritenuti fondamentali poiché soddisfano le esigenze alla base della riproduzione sociale. In altre parole, l’economia fondamentale è l’infrastruttura economica della vita quotidiana, proprio quella che ogni governo nazionale in pandemia non ha potuto fermare perché essenziale non solo per il benessere ma, in larga parte, per la sopravvivenza stessa degli individui e della società. Ci sono i servizi di welfare, come la sanità, l’assistenza sociale e l’istruzione; ci sono le attività che offrono beni e servizi materiali, come la produzione e la distribuzione del cibo e dell’energia, la gestione dell’acqua e dei rifiuti, i trasporti pubblici, i servizi bancari di prossimità, l’edilizia residenziale.

Acqua pubblica, dieci anni di promesse mancate

Cogliendo la sfida pandemica, il Collettivo ha proposto un’agenda in dieci punti per il rinnovamento dell’economia fondamentale in Europa, sottraendo dal mercato e dalla finanza i settori basilari per la vita quotidiana. Si pensi a quanto accade in questi mesi attorno alle speculazioni sull’energia, bene materiale fondamentale, finito nella burrasca delle contrattazioni di cui poco capiamo, cui non abbiamo accesso, se non come utenti finali in bolletta. La mercificazione dell’economia fondamentale produce “opulenza privata e miseria pubblica” e, nella fattispecie, povertà energetica.

Proprio per combattere la sperequazione conseguente alle frenesie del mercato libero, il Collettivo propone il “principio di licenza sociale”, ovvero una regolamentazione che imponga obblighi di ordine sociale e ambientale a chi opera nei settori fondamentali. La domanda di servizi sanitari o assistenziali, così come la domanda di cibo, casa, acqua ed energia, proprio perché basilare per la sopravvivenza, è anche sostanzialmente stabile, il che offre alle imprese operanti in questi settori ampi margini di vantaggio. Basti pensare agli extra profitti delle compagnie energetiche nell’estate 2022, o agli extra profitti della grande distribuzione organizzata e dei colossi dell’e-commerce durante i lockdown del 2020. Occupando una posizione privilegiata, la loro attività va subordinata a una licenza sociale, ovvero alla condizione che si svolga a beneficio, e non a detrimento, del benessere collettivo, ponendo al vertice delle finalità la produzione di valore per i cittadini e le cittadine, piuttosto che per azionisti e azioniste.

Prima i fondamentali

Lo scorso aprile 2022, all’interno delle ricerche del Collettivo per l’economia fondamentale, è stato pubblicato Prima i fondamentali. L’economia della vita quotidiana tra profitto e benessere, curato da Joselle Dagnes e Angelo Salento.

Questo nuovo lavoro approfondisce il funzionamento di diversi settori fondamentali in Italia, quali istruzione, sanità, welfare socio-assistenziale, servizi bancari di prossimità, acqua, mobilità urbana e abitare. Emerge un quadro a prima vista meno drammatico se comparato ad altri Paesi, dove attori finanziari orientati alla massimizzazione dei dividendi sono già penetrati in profondità nella gestione se non addirittura nella proprietà di attività economiche fondamentali.

Eppure, scorrendo gli approfondimenti per settori, si registra un “progressivo disfarsi del fondamentale: il venir meno delle garanzie di cittadinanza sociale consolidatesi nel secondo dopoguerra”. Dagli anni Novanta si registra un carsico ma inesorabile arretramento dello Stato in tutti i settori. Non sparisce, ma si riorganizza in rapporto al privato: alcuni ambiti sono investiti da processi intensi di privatizzazione, con la dismissione della proprietà pubblica o l’ingresso di attori di mercato in qualità di gestori ed erogatori di servizi; mentre altri (come la sanità o l’istruzione) continuano a connotarsi per una forte presenza pubblica. Nella varietà delle traiettorie ricostruite nel volume, emergono alcuni elementi trasversali, tra i quali:

il funzionamento della pubblica amministrazione si ispira sempre più le logiche gestionali dell’impresa privata, con retorica quantitativa ed efficientista dello Stato in termini di prestazione, servizio o prodotto.

I servizi pubblici e sociali fondamentali vengono affidati attraverso bandi e gare, mitizzando la competizione tra potenziali gestori ed enti erogatori (terzo settore, cooperazione, imprese sociali) laddove il risparmio può danneggiare il miglioramento qualitativo dei servizi, nonché i redditi e i diritti di lavoratori e lavoratrici.

Si assiste a una mercificazione dei beni e servizi prima intesi come diritto sociale, che vengono collocati sul mercato e ridotti alla loro dimensione commercializzabile, come sanità, servizi socio-assistenziali e acqua.

I cittadini perdono lo status di beneficiari di un servizio e diventano consumatori/utenti, la cui libertà prende forma secondo una logica di mercato e si configura innanzitutto come libertà di scelta (tra diverse opzioni, all’interno delle quali è l’individuo a doversi orientare).

Alla responsabilizzazione del cittadino/consumatore/utente fa da contraltare la deresponsabilizzazione del pubblico: la spesa sociale individualizzata, in cui ciascuno è responsabile della propria quota, finisce in un opaco mercato di soggetti, pubblici e privati, alimentando ulteriori disuguaglianze.

Le trappole del bonus psicologico

Difendere l’economia fondamentale è una questione politica

Dagli anni Novanta si registra un arretramento dello Stato in tutti i settori, come la dismissione della proprietà pubblica o l’ingresso di attori di mercato tra gestori ed erogatori di servizi. La pubblica amministrazione si ispira sempre più le logiche gestionali dell’impresa privata

La pandemia ha suggerito una ridiscussione dell’essenziale, di ciò che si pone alla base della vita materiale e della sua riproduzione. Descrivere l’essenziale è un’impresa rivoluzionaria perché politicizza la materialità del mondo, la Terra in cui vogliamo sopravvivere. Lo stesso vale per l’economia fondamentale, i cui confini non sono stabiliti dalla scienza, fissati una volta per tutte, tantomeno dai dogmi dell’economia. Come scrivono Dagnes e Salento, la risposta sta al confine tra scienza e politica, nella scienza sociale pubblica, che deve restituire “le questioni economiche alla loro dimensione politica, per contribuire a riportarle nello spazio della deliberazione democratica”. In parole più semplici, stabilire cosa è fondamentale o meno è una scelta politica. Anche i settori fondamentali, se ci si distrae, finiscono per essere privatizzati e perdere la consistenza di diritti fondamentali per come li abbiamo conosciuti.

Energia, cibo, assistenza sociale ne sono esempi emblematici. Come si costruisce lo stoccaggio e la distribuzione di energia e chi ne decide il prezzo? Quali sono i meccanismi che regolano la distribuzione del reddito nella filiera agroalimentare? Quali sono i criteri di giustizia che giustificano l’efficientismo e l’austerità provocando il dimagrimento dei servizi essenziali per la riproduzione sociale? Studiare il funzionamento di questi settori per dare risposte a questi interrogativi aiuta a ridiscutere politicamente la misura accettabile della disuguaglianza, cosa si può e cosa non si può trasformare in merce, chi può lavorare, quali salari e condizioni di lavoro sono accettabili e quali esigenze umane e non umane devono essere necessariamente protette dalla speculazione.

Per saperne di più

Barbera F., Dagnes J., Salento A., Spina F., Il capitale quotidiano. Un manifesto per l’economia fondamentale, Donzelli, 2016

Collettivo per l’economia fondamentale, Economia fondamentale. L’infrastruttura della vita quotidiana, Einaudi, 2019

Dagnes J. e Salento A., Prima i fondamentali. L’economia della vita quotidiana tra profitto e benessere, Fondazione Feltrinelli, 2021

Latour B., Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina, 2018

Malm A., Clima, corona, capitalismo. Il cambiamento climatico va affrontato come fosse un virus, Ponte alle Grazie, 2020.

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