Non possono vincere

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Che sia vocazione italica o umana spesso lo si fatica a comprendere, fatto sta che l’uomo della provvidenza trova sempre una folta schiera di personaggi che, di fronte alle violazioni di diritti umani e alle violenze perpetrate, ti dirà «però ne ha salvati tanti» o dell’altro, Romagnolo come Muccioli anche lui, ti dicono ancora oggi «però ha bonificato le paludi, con lui i treni arrivavano in orario». Si vede in una delle puntate della miniserie Sanpa: Indro Montanelli, all’epoca firma autorevole del giornalismo italiano, intervistato da Red Ronnie, difendeva Muccioli e tra le tante nefandezze sosteneva «l’educazione è crudeltà». Se pensiamo che in quegli anni l’Italia aveva pochi canali televisivi, non c’erano i social e ben pochi avevano voglia di approfondire qualcosa che aveva a che fare con aghi sangue e morte, possiamo facilmente comprendere quale retroterra culturale abbiamo in Italia sulle droghe. Certamente oggi la crescita è possibile grazie a chi in quegli anni, sempre proponendo alternative concrete e teoriche al sistema Muccioli, lasciava intravedere come usare droghe, avere dei problemi di gestione del consumo non dovesse necessariamente equivalere a diventare degli zerbini sociali, esposti alla gogna pubblica, stigmatizzati ed obbligati ad amputare una parte di sé stessi per affidarsi al redentore di turno, infine introiettando tutto questo schifo autostigmatizzandosi. «Vincenzo, solo tu puoi salvarmi» è la scena straziante che vediamo più di una volta in Sanpa, da parte di chi, già in condizione di fragilità, viene spogliato di ogni dignità.

È necessario  riflettere sull’abbinamento potere-consumo di sostanze psicoattive perché è il fatto sociale su cui si gioca un abnorme partita socio-politico-economica di dimensioni colossali, grazie alla quale vengono perpetrati, ancora oggi, autentici crimini contro l’umanità, spesso velati, spesso agiti in maniera subdola. Non dobbiamo aver paura di dire che è la guerra alla droga l’origine di tante nefandezze, catene velate, schiaffoni mascherati, infinite azioni che trovano ancora consenso sociale e legittimazione, ma che sono solo e soltanto violenza, annullamento di identità, oppressione, sfruttamento. C’è una realtà nel consumo di sostanze psicoattive che spesso si preferisce ignorare, ma se siamo noi consumatrici e consumatori a vedere e soprattutto vivere in prima persona, di quegli anni nefasti «che cosa ci portiamo dietro», come dice Pino di Pino del coordinamento ITARDD in un suo articolo recente proprio sulla miniserie, dobbiamo anche dire cos’altro viviamo in prima persona. Diciamolo chiaramente: Muccioli è il modello della comunità totalmente ingerente. Anche nei momenti di maggior gloria mediatica, era una parte neanche troppo rilevante in termini statistici dell’approccio sanitario alla diffusione delle sostanze psicoattive in generale e dell’eroina in particolare. Ben altro impatto numerico hanno avuto (nel bene e nel male) i servizi pubblici e ancora di più, secondo noi, il recovery esercitato dagli stessi consumatori, intesi in generale come consumatori di sostanze psicoattive: infatti il progressivo declino dell’assunzione iniettiva dell’eroina, le esperienze di confronto tra pari, la solidarietà tra consumatori nelle piazze, i contesti di riduzione del danno e dei rischi anche autogestiti sono altri aspetti importanti della storia italiana del consumo di droghe, e sono ugualmente scritte in un libro che non è certamente completo.

Che i Muccioli, i Giovanardi, gli strateghi della tolleranza zero, della repressione, del paternalismo spiccio abbiano trovato facili sponde negli apparati governativi, e che quindi abbiano goduto della benevolenza narrativa del mainstream, ha fatto sì che abbiano potuto godere di tanta immeritata fama. Con conseguenze drammatiche dal nostro punto di vista, ma la diffusione trasversale delle sostanze, l’approccio al consumo di decine di migliaia di persone testimoniano che esiste un’altra narrazione (lacunosa, a volte distorta, mitizzante forse) che si avvale di altri canali ma che ha la sua dignità: se non altro per essere, finalmente, scritta e narrata da chi le sostanze le assume, rispondendo in tal modo a un principio di rispetto dell’identità, di autodeterminazione e anche di responsabilità.

Niente su di noi senza di noi dovrebbe essere quindi percepita come la più straordinaria evoluzione pedagogica e sociale dal paternalismo e dall’assistenzialismo, oltre che finalmente un meritato riscatto che porrebbe fine a quello stigma, che spesso anche inconsapevolmente e ingenuamente viene alimentato da chi invece vorrebbe combatterlo. Compito nostro, delle consumatrici e dei consumatori critici, è quello di rafforzare una militanza che permetta a questa narrazione di dotarsi di strumenti di consapevolezza, al fine di esprimersi con la dovuta dignità nel dibattito pubblico. Iniziando a dire ad esempio che il modello Muccioli non ha i presupposti per vincere né da un punto di vista culturale né da uno strettamente sanitario Questo al di là della singola biografia di chi, a seconda della sorte, da San Patrignano ne è uscito più forte o con le ossa rotte. Succede anche con la galera ma per fortuna (quasi) più nessuno dotato di onesta intelligenza si sogna di proporla come modello riabilitativo. E ancora, non dimentichiamoci che il fallimento di quei metodi e della guerra alla droga è tangibile su più fronti: se da una parte si fanfara ancora inutilmente sulla “tolleranza zero”, ignorando dati scientifici e un sano pragmatismo, la realtà ci dice che a fronte dell’abnorme diffusione del consumo di sostanze psicoattive, dove non arriva un approccio di bassa soglia, dove non c’è accesso al Narcan, a una corretta informazione sugli usi e sugli abusi, ci si fa male e si muore. E si rischia di continuare a morire.

ITANPUD
Network ITAliano delle Persone che Usano Droghe

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