Nel Niger segnato da traffici e violenze “bisogna cercare soluzioni fuori dagli schemi”

Nel Niger segnato da traffici e violenze “bisogna cercare soluzioni fuori dagli schemi”
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“Abbiamo davanti terrorismo e criminalità, jihadismo e violenza, un Sahel in fiamme”. Alessandra Morelli è la responsabile dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) in Niger, un Paese segnato tra traffici e violenze. Un’economia crescente, quella nigerina, che non va al pari passo con i bisogni della popolazione, come ricorda il Fondo monetario internazionale secondo cui il 41.5 per cento della popolazione continua a vivere in estrema povertà. Morelli, delegata dal 1992 per l’Agenzia delle Nazioni Unite, ha avuto modo di operare in alcune delle zone di conflitto a maggior rischio coordinando il primo soccorso alle vittime di guerre e calamità naturali. Tre anni fa atterra a Niamey, capitale del Paese dove oggi coordina i sette uffici presenti e dove i dati ufficiali riportano una presenza di circa 220mila rifugiati e oltre 250mila sfollati interni a causa non solo dalla violenza terroristica, ma anche dal cambiamento climatico.

Al suo arrivo, Morelli comprende la situazione e introduce il “Meccanismo per il transito di emergenza”, uno strumento di evacuazione d’urgenza umanitaria rivolto alle persone presenti nei centri di detenzione libici e che provengono da zone di conflitto. In un Paese dove i migranti sono una presenza sicuramente ingombrante, ma volutamente accolta, il governo di Mahamadou Issoufou ha lasciato sempre le frontiere aperte evitando così l’aggravarsi di una situazione già al limite. Tuttavia rimane un problema: “In questo momento non c’è chi sappia fare la pace e consolidarla – racconta Morelli –. È sempre più urgente evitare i facili reclutamenti da parte dei gruppi terroristici”.

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Infatti l’attenzione della comunità internazionale e la gestione democratica del presidente Issoufou, che ha destinato fino al 18 per cento del suo bilancio alla sicurezza, non sono bastate fino ad ora per dare una battuta di arresto al susseguirsi di attentati e violenze, come ricordano le recenti cronache di villaggi attaccati o l’uccisione dei sette cooperanti francesi insieme alla loro guida a 70 chilometri a sudest da Niamey lo scorso agosto. La presenza terroristica, diffusa e attiva in tutto il Paese, e quella di diverse estrazioni gode dei traffici criminali, come dimostrato dall’ultima operazione Kafo II. Kafo, che vuole dire “solidarietà attiva” sia in lingua haoussa sia in bambara, è il nome dell’azione promossa e coordinata da Interpol e United Nations office on drugs and crime (Unodc) incentrata sul contrasto al traffico di armi in Burkina Faso, Costa D’Avorio, Mali e Niger. L’operazione, resa possibile dalla cooperazione con Germania, Italia e Unione Europea, ha permesso tra il 30 novembre e il 6 dicembre 2020 il sequestro di merci illecite tra cui 50 armi da fuoco, 40.593 candelotti di dinamite, 28 corde per detonatori, 6.162 munizioni, 1.473 chili di cannabis e khat, 2.263 confezioni di droghe di contrabbando e 60mila litri di carburante di contrabbando.

Sarebbe facile pensare che le armi fossero destinate ai gruppi terroristici. In realtà il materiale esplosivo era rivolto principalmente all’estrazione illegale dell’oro, fonte di finanziamento e reclutamento per gli stessi gruppi terroristici armati. L’operazione, infatti, evidenzia come il traffico di armi alimenta e viene alimentato da altre forme di contrabbando, come il traffico illegale di carburante. Non bisogna poi dimenticare che le stesse organizzazioni terroristiche e criminali hanno saputo sfruttare la crisi globale legata al Covid-19 e i suoi effetti trasversali e guadagnarci, come dimostrano i sequestri di grandi quantità di igienizzanti e farmaci. Gruppi criminali e terroristici floridi si sono arricchiti con una moltitudine incontrollabile di traffici e hanno lasciato sempre più sofferente e povera la popolazione nigerina. Secondo i dati Unhcr, in tutta la regione del Sahel, ci sono oltre un milione di sfollati interni a causa della violenza. La pandemia Covid-19 ha solo aggiunto difficoltà, complicando ulteriormente gli sforzi umanitari per aiutare gli ultimi degli ultimi. “È necessario ricercare soluzioni fuori dagli schemi”, sostiene Morelli. La funzionaria Onu ha dimostrato concretamente come fare, come si può constatare dai percorsi avviati e di riferimento internazionale attraverso i corridoi umanitari che hanno permesso, dal 2017 ad oggi, di dare un nuovo inizio con dignità a circa 3.200 persone.

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Non c’è scoramento nelle parole della responsabile Unhcr in Niger, che ha oramai chiara un’idea di protezione, slegata dal modello ormai consolidato dei campi per rifugiati. L’esperienza dei corridoi umanitari andrebbe inquadrata come sviluppo di un’opportunità reso possibile grazie al protocollo di intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana, tramite Caritas italiana e Fondazione Migrantes. “È urgente ripartire dalla solidarietà come programma politico”, conclude la delegata Unhcr.

 

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