Naufragio di migranti a Crotone: le denunce e le indagini della Procura sulle falle nei soccorsi
Trovati i corpi di due bambini, in tutto 16 minori
Dalla scorsa domenica si susseguono notizie sulla “strage dei migranti”, circa 180 persone, per lo più di nazionalità afghana, somala e pakistana, partite il 21 febbraio dalle coste di Smirne, in Turchia, lungo la rotta jonica che porta alle coste calabresi.
Finora il mare ha restituito 70 corpi, di cui 16 di minori. Oggi sono stati trovati i resti di due bambini, il primo questa mattina, di non più di 3 anni, l’ultimo questo pomeriggio.
“Ci aiuti a rimpatriarli”, chiedono sommessamente i sopravvissuti al presidente Sergio Mattarella
Le immagini dei feretri posti all’interno del PalaMilone, palazzetto dello sport del capoluogo della provincia pitagorica, stanno facendo il giro del mondo. Soprattutto la lunga fila di piccole bare bianche che custodiscono i più piccoli. Venerdì 3 marzo anche il presidente Sergio Mattarella ha voluto essere presente al dolore dei famigliari. “Ci aiuti a rimpatriarli”, chiedono loro sommessamente al capo dello Stato. Nel frattempo, fuori dai cancelli del palazzetto la folla continua a crescere. C’è chi pone cartelli di cordoglio e chi di protesta contro “la disumanità” delle politiche che fanno da cornice a una strage che forse si sarebbe potuta evitare.
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“Non devono partire. Di fronte a tragedie di questo tipo non credo che si possa sostenere che al primo posto ci sia il diritto o il dovere di partire e partire in questo modo”, sono state le glaciali dichiarazioni del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, arrivato in Calabria subito dopo l’accaduto. Nessuna parola, invece, su eventuali responsabilità.
“Potevano essere salvati”
Dalla denuncia di Orlando Amodeo al fascicolo d’indagine contro ignoti. La procura di Crotone ha aperto due fascicoli di indagine sui fatti di Steccato di Cutro. Il primo, contro i presunti “scafisti”, come vengono definiti i “capitani” dell’imbarcazione nei verbali che ricostruiscono le operazioni di soccorso. Operazioni iniziate sulla spiaggia poco dopo le 4 del mattino, dopo la prima chiamata arrivata al 112. Il secondo, per adesso contro ignoti, è stato aperto invece solo il 2 marzo, per indagare sulla catena dei soccorsi. L’obiettivo è ricostruire cosa è accaduto nelle sei ore precedenti, a partire dalla prima segnalazione fatta dal velivolo Eagle 1 di Frontex.
La procura di Crotone ha aperto due fascicoli di indagine sui fatti di Steccato di Cutro. Ma il primo a denunciare è stato Orlando Amodeo, in diretta tv
A denunciare che qualcosa poteva non aver funzionato era stato proprio Orlando Amodeo, in diretta tv su La7, suscitando le ire dello stesso Piantedosi che aveva subito minacciato di ricorrere all’Avvocatura di Stato per valutare possibili azioni legali. In diretta dalla spiaggia di località Foce Tacina, quasi al confine tra Cutro e Badolato, dov’era arrivato assieme ai primi soccorsi, il medico aveva dichiarato in diretta televisiva che le persone “si sarebbero potute salvare”, ipotizzando responsabilità dovute al mancato intervento delle autorità competenti. «Nella vita – dice Amodeo a lavialibera – ho imparato ad ascoltare chi sa più di me su un argomento. Quando l’altro giorno ho detto quelle parole ero indignato e umanamente colpito. Ma soprattutto parlavo da esperto». L’ex dirigente-medico ha un’esperienza trentennale di interventi in mare, durante i quali ha soccorso dalle 150 alle 200mila persone. “Non hanno fatto alcun tipo di soccorso ed è inutile che si arrampicano sugli specchi”, denuncia. Toccherà adesso alla procura verificare la consistenza giudiziaria di questa accusa.
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Mare forza 7, anzi 4
Un aspetto che ha presto destato perplessità è anche quello legato alle condizioni del mare durante e dopo la prima segnalazione di Frontex delle ore 22.30 del 25 febbraio. Il Ministro ha inizialmente parlato di mare “forza 7”, come confermato l’indomani dalla sottosegretaria Wanda Ferro, che ha riportato una “oggettiva impossibilità ad intervenire”. Versione in qualche modo smentita dalle dichiarazioni strappate dai cronisti al capitano di vascello della capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi: “A noi risulta che si trattasse di mare 4” e tuttavia “le motovedette più grandi (come la CP321 della Guardia costiera di Crotone, ndr) avrebbero potuto navigare anche con mare 8”. Tesi che aveva sostenuto anche lo stesso Amodeo. “Quella maledetta mattina ero lì – racconta –. Dopo aver ricomposto i corpi di alcuni bambini morti ho fatto un video. Si vede il mare. Non c’erano onde alte 5-6 metri come hanno detto e tutte le imbarcazioni che sono a Crotone possono tranquillamente affrontare quel mare. Non capisco perché inventarsi il mare impossibile”.
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E anche fosse stato un “mare impossibile”, a Crotone “ci sono tre rimorchiatori oceanici che potevano tranquillamente condurre l’imbarcazione nel porto più sicuro che è quello di Le Castella a circa 3 chilometri” oppure “fare un trasbordo a largo”.
Nel marasma di un “rimpallo di competenze” tra le autorità si è finito invece per non intervenire. “Non hanno fatto niente di tutto questo e ora dovranno risponderne davanti a tutti gli italiani, non davanti a una procura. È importante che ammettano cosa hanno fatto perché se non accade nulla rischiamo che situazioni simili si ripetano nuovamente”. Queste le accuse forti e circostanziate di Amodeo, che adesso dovranno passare al vaglio politico e giudiziario.
Il procuratore capo di Crotone, Giuseppe Capoccia, aveva inizialmente escluso che i soccorsi fossero oggetto di indagine, ma da venerdì sono attese le relazioni della Guardia di finanza e della Guardia Costiera attraverso cui si cercherà di ricostruire quanto accaduto durante le sei ore fatali.
Operazione di polizia anziché di soccorso
Per quanto ricostruito finora, alle ore 22.30 di sabato 25 il velivolo di Frontex avvista l’imbarcazione. Tre fotografie della barca scattate alle ore 23.03 vengono inviate via mail dal quartier generale dell’Agenzia europea a Varsavia, all’International coordination center (Icc), a Pratica di Mare, e per conoscenza ad altri 26 indirizzi tra cui l’Italian maritime rescue coordination centre (Imrcc). Si fa accenno a una imbarcazione dal colore “irriconoscibile”, circa 40 miglia a largo delle coste calabresi. Si vedrebbe solo una persona sul ponte superiore, ma diversi altri elementi tra cui “portelli aperti a prua e una significativa risposta termica” fanno pensare che diverse altre persone potrebbero trovarsi stipate sotto coperta. Nonostante questo, non sono riscontrati i presupposti per un segnalazione di “distress”, che autorizzerebbe un’operazione di “search and rescue” (Sar, ricerca e soccorso), quindi l’intervento della Guardia costiera. «Non è stata segnalata una situazione di pericolo, ma era probabile che ci fossero altre persone sotto coperta perché, in questi casi, la prima cosa che si guarda è la linea di galleggiamento. Con la loro esperienza e le attrezzature a disposizione non era difficile rilevare che l’imbarcazione stesse trasportando un carico importante di persone», spiega a lavialibera Sandro Gallinelli, ammiraglio in congedo della Guardia Costiera dal 1983 fino al 2019. Così, anziché un’operazione di ricerca e soccorso, parte un’operazione di “law enforcement” (monitoraggio di polizia) di competenza della Guardia di finanza.
Frontex avrebbe potuto fare “una segnalazione di allarme”
La barca si trova in quel momento a circa 28 miglia dalla costa quindi fuori dalle acque territoriali, ma nella zona “Sar” italiana. Più tardi, intorno a mezzanotte, le fiamme gialle convergono verso l’imbarcazione con lo scafo veloce V.5006 e con il pattugliatore Barbarisi, ma – comunicheranno – date “le condizioni avverse del mare” rientrano per tentare poco dopo una seconda uscita. Segue una comunicazione tra la Guardia di finanza e la Guardia Costiera, che ritiene non vi siano i presupposti per una operazione Sar “poiché l’imbarcazione naviga autonomamente e non ci sono persone visibili a bordo”.
“L’Europa – aggiunge a questo punto Gallinelli – dà alcune indicazioni importanti in materia di Sar, chiarendo aspetti che nelle convenzioni internazionali sono più sfumati”. Il riferimento è all’articolo 9 del regolamento sulle operazioni Frontex (n. 656 del 2014) secondo cui “se un mezzo di polizia, che sta operando controllo marittimo, vede imbarcazioni con certe caratteristiche, deve avere il dubbio che possa trattarsi di una situazione di Sar”.
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In più, le operazioni di “ricerca e soccorso – spiega l’ammiraglio – non richiedono solo ‘distress’, quindi di pericolo grave e imminente, ma anche solo probabile”. Tali operazioni possono essere attivate anche in fasi di “incertezza” e “allarme”, ossia quando l’imbarcazione potrebbe essere in pericolo a causa di una situazione in peggioramento, “come apparirebbe già dai primi dati raccolti dall’Eagle 1 di Frontex”. Secondo Gallinelli, il velivolo Frontex avrebbe quantomeno potuto fare una segnalazione di “allarme” se non di “distress”. Spetterebbe inoltre all’Agenzia europea la valutazione del dubbio e, nel caso, il compito di riferire all’autorità competente, in questo caso l’Imrcc, “chiedendo se ci sono gli elementi per l’intervento Sar”.
Le condizioni per intervenire, pare, ci sarebbero state, come confermato anche dal capitano Vittorio Aloi, che ha però anche parlato di regole d’ingaggio complesse e “provenienti da un altro Ministero”, diverso da quello delle Infrastrutture. “Parlare di regole di ingaggio complicate – commenta Gallinelli – è un escamotage”. Piuttosto “esistono degli accordi interni che hanno un po’ sovvertito la normale procedura”. Di fatto, “tranne che non ci sia una situazione di distress conclamato, l’evento viene trattato non come Sar ma come law enforcement”. In questo caso sarà il Ministero dell’interno a gestire le operazioni – come avvenuto, attraverso la Guardia di finanza – “e il centro di soccorso non deve interferire”.
Gli attimi che precedono il naufragio
Nessun intervento dunque fino alle 4.30, mentre, nella ricostruzione offerta dai sopravvissuti, le condizioni del mare stavano peggiorando. I capitani “pensando che i mezzi avvistati fossero poliziotti hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo”. Ma l’arresto dell’imbarcazione prima e la modifica della rotta poi avevano suscitato malumori tra le persone a bordo. “Dopo il repentino cambio di rotta le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l’imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua inclinandosi su un fianco”. In una secca poco a largo della costa cutrese la barca si frantuma.
Don Rosario Morrone: “Ogni sera sento le loro urla di aiuto”
Poco prima dell’impatto, intorno alle 4, alcuni pescatori segnalano di aver sentito le urla delle persone che lanciavano segnali di “Sos”, “forse con le luci dei cellulari” e gridavano “help help”.
Alle 4.15 il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio ricevono una “richiesta di intervento in ordine a uno sbarco di clandestini” dalla centrale operativa. Saranno le prime autorità a giungere sul posto dove, nel buio più totale della spiaggia, notano alcune sagome bagnate, con ferite sulle braccia e sul volto. Le torce dei due militari illuminano frammenti della battigia e il primo cadavere dopo solo pochi passi. Circa 20 metri più avanti i resti dell’imbarcazione distrutta che procede verso la riva.
“Ogni sera, da quel giorno, sento le loro urla di aiuto”, dice a lavialibera don Rosario Morrone, parroco di Botricello
Nel verbale raccontano di essersi immersi, vestiti dell’uniforme, notando nell’acqua persone prive di conoscenza. Una donna già morta. Un uomo in evidente crisi respiratoria. Poi il primo bambino. I primi cadaveri ritrovati sono in tutto 15, saliranno a 27 alle prime ore dell’alba prima di raggiungere il numero attuale. Alle ricerche si uniscono alcuni pescatori perché “gente, in mare, non ne abbiamo mai lasciata”, raccontano. Alle 4.37 arriva la segnalazione al 1530 di una barca a circa 40 metri dalla foce del fiume Tacina, su un fondale profondo circa tre metri. La prima pattuglia della Guardia Costiera giunge sul posto alle 5.35 riferendo di numerose persone in stato di ipotermia in spiaggia, trascinate a riva dalla risacca così come alcuni cadaveri. “Ogni sera, da quel giorno, sento le loro urla di aiuto”, dice a lavialibera don Rosario Morrone, parroco di Botricello. Commosso dai suoi parrocchiani: “Mi hanno chiesto di poter donare i loro loculi per queste persone, affinché riposassero vicini ai loro cari”.
Don Morrone si è voluto rivolgere a Piantedosi “come uomo e non come Ministro”, per chiedergli “Se quella bambina di due anni fosse tua figlia, te la sentiresti a dirle di non partire?”. “Non voglio addossare responsabilità a nessuno – aggiunge adesso – ma solo dire che a qualsiasi ora mi fosse arrivata una chiamata, sarei intervenuto. Prima si salvano le persone e poi, solo poi, si può fare demagogia”.
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