Malato psichiatrico grave per 7 mesi in carcere: nei luoghi di cura non c’è posto

Malato psichiatrico grave per 7 mesi in carcere: nei luoghi di cura non c’è posto
S ha tentato il suicidio nel carcere di San Vittore almeno due volte. La prima ha ingoiato quattro viti. La seconda ha infilato in gola una lametta con cui poco prima si era ferito un braccio, incidendo dei tagli lunghi e profondi. S è un malato psichiatrico grave ed è rimasto sette mesi in cella con l’accusa di aver strappato un telefono di mano a un passante, anche se un giudice ne aveva chiesto il trasferimento in un luogo di cura: una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), strutture che dal 2014 hanno progressivamente sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari.

In cella ci si suicida 10 volte di più che nel mondo libero. L’approfondimento di Antigone per lavialibera 

7 mesi in attesa di un posto, in cui le condizioni dell’uomo sono peggiorate di giorno in giorno, e che ora sono al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che potrebbe condannare l’Italia per trattamento inumano e degradante

Sette mesi in attesa di un posto, in cui le condizioni dell’uomo sono peggiorate di giorno in giorno, e che ora sono al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che potrebbe condannare l’Italia per trattamento inumano e degradante, come già successo in passato per casi simili.

Giacomo, morto a San Vittore in attesa di Rems 

La storia di S non è un unicum: i dati aggiornati al 12 dicembre 2022 forniti a lavialibera dall’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale mostrano che ci sono 634 persone in attesa di entrare in Rems: 46 aspettano nelle carceri. Nel 2022 a San Vittore, lo stesso istituto di S, due uomini si sono tolti la vita a poche settimane di distanza uno dall’altro. Uno di loro, come S, non doveva stare in cella. Aveva 21 anni, si chiamava Giacomo Trimarchi, e soffriva di un disturbo borderline di personalità con conseguente certificato di “parziale infermità mentale”.

La follia aspetta in carcere

Aveva provato a suicidarsi varie volte prima del gesto definitivo, con un fornelletto a gas, una notte di agosto. “Forse S siamo solo riusciti a salvarlo in tempo”, commenta a lavialibera Benedetta Perego, avvocato di Strali, associazione no-profit di promozione dei diritti umani che sta seguendo il caso. Qualche giorno fa, l’uomo è stato trasferito in una Rems provvisoria, però la sua storia – prosegue Perego – “è rappresentativa di tanti. Lo Stato si è visto costretto a spostare S per via di imminenti pressioni da parte della Cedu e della corte di Cassazione, cui abbiamo fatto ricorso, ma che ne è degli altri?”.

“Dopo il passaggio in Rems è stato di nuovo trasferito in un reparto psichiatrico ospedaliero: segno che la sua condizione psicologica era grave. I mesi di detenzione possono solo averla esacerbata” Benedetta Perego – avvocato Strali

Inoltre, il caso è tutt’altro che concluso “la sua destinazione definitiva ancora non c’è e dopo il passaggio in Rems è stato di nuovo trasferito in un reparto psichiatrico ospedaliero: segno che la sua condizione psicologica era grave. I mesi di detenzione possono solo averla esacerbata”.

Il calvario di S nel carcere di San Vittore 

S è entrato nel carcere di Milano nell’ottobre del 2021, in attesa di essere giudicato per tentata rapina. Aveva alcuni precedenti e nel corso dei processi che l’avevano riguardato era stato ritenuto, come Giovanni, parzialmente incapace di intendere e di volere.

La causa è “un disturbo grave della personalità con organizzazione borderline e stati dissociativi”. Diagnosi confermata anche da una perizia fatta nel corso dell’ultimo procedimento. Avrebbe dovuto essere curato o in una struttura esterna al carcere o all’interno del carcere, se adeguatamente attrezzato. San Vittore non era il luogo giusto per lui. Lo crede la stessa area sanitaria dell’istituto che in una lettera indirizzata all’avvocato scrive: “Il paziente ha una vulnerabilità a sviluppare sintomi psicotici in contesto stressante come può essere quello del carcere”, quindi “avrebbe bisogno di un luogo di cura idoneo” e vista la “scarsa compliance” San Vittore non può esserlo. Il 13 maggio 2022 lo riconosce anche il giudice per le indagini preliminari di Milano, stabilendo tuttavia che S rimanga in carcere fino a quando “non vi sia la effettiva disponibilità di un posto nella Rems designata”.

“Il paziente ha una vulnerabilità a sviluppare sintomi psicotici in contesto stressante come può essere quello del carcere”, quindi “avrebbe bisogno di un luogo di cura idoneo” e vista la “scarsa compliance” San Vittore non è il luogo giusto L’area sanitaria di San Vittore

Di fatto S resta a San Vittore e spesso, visto che dà problemi e gli agenti non hanno gli strumenti per far fronte alle sue necessità, viene messo in isolamento in una cella liscia: una stanza dotata, quando va bene, solo di un letto e di un armadio senza ante. Arriva la sentenza di primo grado che lo condanna a due anni, e l’assurdità della burocrazia vuole che nessun giudice si dica più competente a risolvere la sua situazione perché formalmente risulta destinato a una Rems. Nel frattempo i giorni in cella si susseguono e lo stato psicologico di S peggiora sotto gli occhi di tutti. S, che ha perso il fratello per suicidio, “soffre la deriva esistenziale – attesta chi lo visita –. Aveva tutto, casa, lavoro, famiglia, poi ha perso tutto, non se ne capacita, si vergogna e si preoccupa per il proprio futuro”.

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Per lui la vita nel penitenziario è un calvario. Il 3 febbraio alterna momenti in cui fornisce risposte adeguate a momenti disorganizzati. Il 9 marzo viene definito come persecutorio e paranoico. Il 16 aprile dice di non farcela più a stare chiuso in camera. Il 9 giugno appare “apatico, dimagrito, e chiuso”. Il rischio che si suicidi si fa più alto: passa da uno a due. Il 29 agosto è sempre più irrequieto e aggressivo. Il 3 settembre dal carcere scrivono che il paziente più volte “ha aggredito verbalmente operatori sanitari e fisicamente altri detenuti, tali episodi sono stati segnalati più volte, ma senza che venisse preso alcun provvedimento. Mi chiedo cos’altro debba succedere ancora?”.

Il precedente: l’Italia condannata per trattamento inumano e degradante dalla Corte europea

Il caso di S ricorda quello di Giacomo Sy per cui l’Italia è stata condannata in via definitiva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a inizio 2022, considerando un trattamento umano e degradante quello a cui Sy era stato sottoposto cioè due anni di detenzione in un carcere, in cattive condizioni e senza un piano terapeutico appropriato.

Come S, anche Sy soffre di disturbo bipolare ed è stato dichiarato parzialmente incapace di intendere e di volere. Il tribunale di Roma aveva disposto che scontasse la propria pena per furto e aggressione in una Rems ma, a causa della mancanza di posti, per mesi era rimasto al Regina Coeli. Le condizioni mentali di Sy erano “incompatibili con la detenzione in carcere”, ha concluso la Cedu precisando che la “mancanza non era una giustificazione valida” per mantenere Sy in cella e che spettava al governo “trovare un’altra soluzione appropriata”.

Dagli Opg alle Rems

Le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) sono nate nel 2014 con la riforma che sancì la fine degli ospedali psichiatrici giudiziari, a loro volta subentrati ai manicomi criminali. La realtà dei manicomi è stata raccontata in La fabbrica della follia, edito da Einaudi nel 1971: un libro che ha fatto la storia documentando la vita nel manicomio di Collegno, a Torino, dove lo psichiatria Giorgio Coda praticava l’elettroshock per punire “i malati”, definiti “apatici, abulici, inerti”: “a seconda del tipo di infrazione faceva il massaggio elettrico alla testa o ai genitali”. Condannato a cinque anni in primo grado, Coda non ha scontato alcuna pena per la prescrizione dei reati quando il caso finì alla corte di appello. A mostrare in tv l’orrore degli ospedali psichiatrici giudiziari fu invece una troupe che, al seguito di un visita a sorpresa dell’ex senatore Ignazio Mario, filmò un uomo nudo legato al letto, celle di contenzione, e sporcizia ovunque.

A quel blitz sarebbe seguita la riforma e l’istituzione delle Rems che, a differenza degli opg, avrebbero dovuto essere strutture di carattere sanitario. Oggi se ne contano 32 in tutto il Paese e possono ospitare massimo 700 persone: l’intento è di evitare il sovraffollamento, però da anni si creano delle liste di attesa. In media il tempo per entrare è di 304 giorni, ma ci sono regioni come Puglia, Campania, Calabria, Lazio e Sicilia dove si arriva anche a 458.

Michele Miravalle, referente dell’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, spiega che al loro interno devono essere destinate le persone dichiarate socialmente pericolose e in tutto o in parte incapaci di intendere e di volere quando hanno commesso il reato, i cosiddetti folli rei. La loro istituzione ha avuto il pregio di superare il sistema degli opg, che – prosegue Miravalle – erano “così scandalosi perché diventati una valvola di sfogo degli istituti penitenziari, dove venivano destinati tutti i detenuti difficili da gestire”.

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I nodi delle Rems

Tuttavia, al momento le Rems hanno diversi problemi. “I giudici dovrebbero essere più cauti nel decidere l’invio nelle residenze, soprattutto per le persone che sono state valutate incapaci di intendere e di volere solo momentaneamente, invece i dati mostrano una tendenza a usarle troppo, ingolfandole”, spiega Daniela De Robert, componente del collegio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Agli inizi del 2022 gli ospiti di Rems con diagnosi definitiva erano 305, quelli con diagnosi provvisoria 237.

“I giudici dovrebbero essere più cauti nel decidere l’invio in Rems, soprattutto per le persone che sono state valutate incapaci di intendere e di volere solo momentaneamente, invece i dati mostrano una tendenza a usarle troppo in questi casi, ingolfandole” Daniela De Robert – Collegio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale

Inoltre la residenza all’interno delle strutture dovrebbe essere temporanea e preparare il paziente al reinserimento nel proprio territorio. Ma non tutte le regioni svolgono il compito in modo adeguato. E alcune regioni non le hanno nemmeno volute, scelta che De Robert definisce sconcertante. Nel 2021 il tempo medio complessivo di permanenza in Rems è stato di 708 giorni, però la Calabria ne ha registrati 1.156, il Veneto 942 e la Lombardia 844.

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Sulla necessità di una complessiva riforma delle Rems nel 2022 è intervenuta anche la Corte costituzionale che individua gravi problemi su cui non è “tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa”.

Un tema sono le lunghe liste di attesa che – a parere della Corte – non garantiscono “né la tutela effettiva dei diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni, che il soggetto affetto da patologie psichiche potrebbe nuovamente realizzare” né “il diritto alla salute del malato, al quale nell’attesa non vengono praticati i trattamenti che dovrebbero essergli invece assicurati”.

Nessuno si prende cura della sofferenza psichica nelle carceri

La soluzione però, secondo Miravalle, non è la costruzione di altre strutture che “creerebbero solo nuova  domanda”, e la nuova Rems aperta in Liguria per accogliere persone provenienti da altri territori (dove è stato trasferito S) preoccupa il Garante perché “rischia di essere un parcheggio”, ammonisce De Robert. Il nodo è evitare che le Rems siano occupate da soggetti che potrebbero usufruire di misure alternative, come l’invio in comunità, o essere trattati nelle carceri.

“Nelle carceri la terapia consiste nel mettere il detenuto in isolamento e annichilirlo con gli psicofarmaci. Anche da quando la sanità delle carceri è gestita a livello regionale, la presa in carico dei sofferenti psichici negli istituti di pena manca del tutto” Michele Miravalle – Antigone

Qui, secondo Miravalle, si scoperchia “il vero problema” e che riguarda chi matura un disturbo psichico tra le mura degli istituti penitenziari (i rei folli). Persone che andrebbero seguite nelle articolazioni per la tutela della salute mentale: sezioni a gestione prevalentemente sanitaria, a oggi concentrate in pochi istituti. Eppure, tutto ciò non avviene: “Spesso – prosegue Miravalle – la terapia consiste nel mettere il detenuto in isolamento e annichilirlo con gli psicofarmaci. Il Sestante, l’articolazione per la salute mentale del carcere di Torino, e una delle più grandi d’Italia, è stata chiusa dopo la scoperta delle condizioni inumane riservate ai reclusi. Anche da quando la sanità delle carceri è gestita a livello regionale, la presa in carico dei sofferenti psichici negli istituti di pena è assente e a essere insufficienti sono prima di tutto gli psichiatri”.

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