Mafie senza pietà: quei bambini vittime delle faide

Mafie senza pietà: quei bambini vittime delle faide
Nella prima parte di questo viaggio nella memoria, abbiamo raccontato storie di giovani vittime morte in agguati che avevano come obiettivo i genitori o, in altri casi, loro stessi, uccisi deliberatamente dalla criminalità organizzata per vendicare uno sgarro commesso dagli adulti. Nel lungo elenco figurano anche bambine e bambini, ragazze e ragazzi che hanno perso la vita mentre erano in compagnia dei loro parenti. Piccoli trucidati in faide sanguinarie e in regolamenti di conti, alcuni talmente brutali da turbare chi legge. Ci sono poi i suicidi di Rita Atria a Vittorio Maglione, che dimostrano quanto sia difficile nascere e vivere in una famiglia criminale per chi criminale non si è mai sentito. Infine, un ricordo di Emanuele Attardi e Simonetta Lamberti, vissuti in due epoche lontane ma accomunati dallo stesso destino: morti senza colpe accanto a padri che non si sono piegati al potere delle mafie.

Strage di Pizzolungo, Margherita Asta: “Dobbiamo impegnarci per tutte le vittime e i sopravvissuti”

Il 9 novembre 1982 a Caraffa del Bianco, in provincia di Reggio Calabria, fu ucciso Giovanni Canturi, 13 anni, che stava accudendo gli animali insieme allo zio, vittima designata degli assassini. Anche la piccola Carmela Pannone, 5 anni, era con lo zio Giuseppe quando, il 24 agosto 1989, fu raggiunta da alcuni colpi di pistola in un quartiere di Afragola, in provincia di Napoli. Domenico Calviello, 14 anni, fu ucciso il 20 ottobre del 1989 a Statte, in provincia di Taranto, forse scambiato per il fratello maggiore Antonio, che doveva essere eliminato per una vendetta trasversale legata alla guerra tra clan cittadini rivali. 

A Catona, in provincia di Reggio Calabria, il 2 gennaio 1990 perse la vita Andrea Bonfante, 15 anni, che quel giorno si trovava nel forno di famiglia insieme al padre Giuseppe, che morirà qualche giorno dopo, e al fratello Domenico, anche lui ucciso. Unico superstite il secondo fratello Giovanni, 22 anni, killer della cosca Imerti e vero obiettivo del commando. Gianfranco Madia, 15 anni, morì il 27 ottobre del 2000 a San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, insieme al nonno Francesco Talarico, imprenditore agricolo che i sicari avevano deciso di eliminare. Il 12 novembre del 2000 Pollena Trocchia, ai piedi del Vesuvio, fu scossa dalla morte di Valentina Terracciano, 2 anni, colpita dai proiettili destinati allo zio Fausto, proprietario di un negozio di fiori. 

La Calabria delle faide

Negli anni Settanta le faide in Calabria erano all’ordine del giorno e l’escalation di violenza non si arrestò neppure dinanzi ai bambini. Salvatore Feudale, 10 anni, figlio del boss Umberto, fu ucciso in piazza Mercato a Crotone, il 20 settembre del 1973, insieme al fratello Domenico, al culmine della faida che coinvolse la sua famiglia e quella dei Vrenna. Domenico, accortosi dei sicari, cercò di estrarre una pistola, ma non fece in tempo. I killer raggiunsero quindi Salvatore, che aveva cercato riparo tra le ceste e le bancarelle, e aprirono il fuoco. Stesso destino per Giuseppe Bruno, un bimbo di 1 anno e mezzo colpito alla testa durante un agguato a Seminara, in provincia di Reggio Calabria, da due pallettoni di lupara destinati al padre Alfonso, affiliato al clan dei Pellegrino, che stava passeggiando tenendo sulle spalle il figlioletto. Il 32enne se la cavò con qualche ferita, il bimbo morì sul colpo. 

Salvatore Feudale, 10 anni, figlio del boss Umberto, fu ucciso a Crotone dopo un inseguimento al mercato. Il bambino cercò invano di nascondersi tra le cassette

Sempre in provincia di Reggio Calabria, a Cittanova, il lunedì di Pasqua del 1975 cinque sicari ammazzarono a colpi di lupara Michele e Domenico Facchineri, 8 e 11 anni, guardiani di porci. Poco prima gli assassini avevano ucciso un loro zio, ferito il cuginetto Michele di appena 6 anni e la zia Carmela Guerrisi, moglie di Giuseppe Facchineri, incinta di sette mesi. Nessuna pietà nella faida che vedeva contrapposte la cosca dei Facchineri e quella dei Raso-Albanese. Anche la piccola Giuseppina Utano, 3 anni, morì al posto del padre Sebastiano, 25 anni, guardaspalle del boss di San Giovanni di Sambatello Mico Tripodo. Il 12 dicembre 1975 la piccola fu uccisa a Reggio Calabria dai pallettoni diretti al genitore, che si trovava in auto insieme alla figlia e alla moglie incinta, la ventenne Domenica Pangallo, rimasta gravemente ferita. Il 29 settembre 1976 a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, Rocco Corica, 7 anni, fu ucciso e sfigurato da una raffica proiettili insieme al padre Benito, epilogo della faida tra la famiglia delle vittime e i Raso-Versace-Avignone.

Paolo Setti Carraro: “Anche i mafiosi cambiano”

La storia continua con Pasqualino Perri, che aveva 12 anni quando i killer lo uccisero con un fucile caricato a pallettoni, nel tentativo di ammazzare il padre Gildo, titolare di un cantiere per la lavorazione del pietrisco, che quattro anni prima aveva assassinato Giuseppe Polimena, accusato del furto di un apparecchio radio. L’omicidio del ragazzino – un regolamento di conti – avvenne in un ristorante di Rende, in provincia di Cosenza, il 27 ottobre 1978. Sempre in Calabria, nelle campagne di Le Castelle, in provincia di Crotone, il 21 settembre 1982, nella faida tra i Maesano e i Lio, la ‘ndrangheta uccise Maria Maesano, 8 anni, e la cuginetta Graziella, di un anno più grande.. Le piccole furono colpite in pieno viso e nell’agguato morì anche Gaetano Maesano, padre di Graziella. Il 23 febbraio 1989, a Laureana di Borello, in provincia di Reggio Calabria, Marcella Tassone, 10 anni, fu uccisa insieme al fratello, colpita sette volte. Assurdo epilogo nella faida tra le famiglie Cutellé e Cindamo. Paolo Rodà, morto a 13 anni insieme al padre, il 2 novembre 2004 a Bruzzano Zeffirio, è una vittima della faida di Botticella. Paolo accorgendosi dei killer tentò la fuga, ma fu raggiunto e ferito a morte.

Maria e Graziella Maesano, 8 e 9 anni, morirono sotto i colpi esplosi in pieno viso dai killer della ‘ndrangheta, nell’ambito della guerra tra le famiglie Maesano e i Lio

Gli scontri tra famiglie rivali non hanno risparmiato le altre regioni del Sud. A Palermo, il 19 gennaio del 1962, a pagare con la vita per un cognome scomodo fu Paolino Riccobono, 13 anni. Anni prima, il padre e il fratello erano stati assassinati dalla mafia, che negli anni Settanta giustizierà un altro fratello, Natale, chiudendo la faida che vedeva contrapposte le famiglie dei rioni Tommaso Natale e Cardillo. Caterina Ciavarella fu uccisa a 5 anni il 28 marzo 1981, mentre si trovava insieme ai suoi parenti. Nello sterminio di San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia, il killer Giuseppe Tarantino cancellò un’intera famiglia: il capofamiglia Matteo Ciavarella, la moglie Incoronata Gualano, e i tre figli Nicola, Giuseppe e appunto Caterina. I corpi non sono mai stati ritrovati, forse dati in pasto ai maiali per eliminare qualsiasi traccia. 

L’assassinio di Salvatore Botta, 14 anni, risale invece al 27 agosto 1996 e avvenne al cimitero di Catania, dove il giovane aveva accompagnato la zia, Santa Puglisi, 22 anni. La donna aveva portato dei fiori sulla tomba del marito, Matteo Romano, ucciso un anno prima in un agguato di mafia. Santa e Salvatore erano figlia e nipote di Antonino Puglisi, capo della cosca dei Savasta. L’obiettivo dei killer era la 22enne, ma con tutta probabilità il ragazzo assistette all’esecuzione e quindi fu eliminato. Si salvò, invece, Santina, una cuginetta di 12 anni. Giovanni Gargiulo morì a Napoli il 18 febbraio 1998 all’età di 14 anni, ucciso dalla camorra con tre colpi a bruciapelo, dopo che il fratello aveva deciso di collaborare con la giustizia. Una vendetta trasversale, da inqiuadrare nella faida tra le bande Contini e Mazzarella.

Oltre la crudeltà

Scorrendo il lungo elenco delle giovani vittime, alcune storie rivelano quanto sia disumana la legge delle mafie. Saverio Purita, 11 anni, fu soffocato a Vibo Valentia il 23 febbraio del 1990. Fu ritrovato con la testa immersa nella sabbia e il corpo semicarbonizzato. Una fine simile a quella del padre, Nicola Purita, un imprenditore edile coinvolto in diverse inchieste di mafia, ucciso otto anni prima dalla ‘ndrangheta con un colpo di pistola alla testa e poi dato alle fiamme insieme alla sua auto. Michele Arcangelo Tripodi, 12 anni, fu rapito a Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, il 18 marzo 1990, mentre correva in bicicletta. Fu quindi ucciso e sotterrato. Otto mesi dopo suo padre, Rocco Tripodi, legato al clan dei La Malfa di Rosarno, venne eliminato a colpi di lupara.

Michele Arcangelo Tripodi, 12 anni, fu rapito a Gioia Tauro, ucciso e sotterrato. Otto mesi dopo suo padre Rocco, legato al clan dei La Malfa di Rosarno, venne eliminato a colpi di lupara

La violenza della camorra si manifestò in tutto il suo orrore la sera del 18 maggio 1990, quando in una casa popolare nel rione Sanità di Napoli furono uccisi Nunzio Pandolfi, di neppure 2 anni, e suo padre Gennaro, autista del boss di Forcella Luigi Giuliano, che teneva in braccio il bambino. Nella carneficina i killer spararono contro tutti gli altri parenti presenti, che rimasero feriti. Quando fu trasportato d’urgenza in ospedale Nunzio respirava ancora, ma morì durante un disperato intervento chirurgico. Elisabetta Gagliardi perse la vita a 9 anni insieme alla madre, Maria Marcella, mentre si trovavano nella loro casa a Palermiti, in provincia di Catanzaro, il 7 settembre del 1990. Erano moglie e figlia di Mario Gagliardi, un pluripregiudicato per rapina. Alla donna i sicari scaricano mezzo caricatore, la piccola fu colpita senza remore alla nuca da due proiettili esplosi a bruciapelo.

21 marzo: “La riconciliazione è importante per la democrazia”

La morte di Angelica Pirtoli, 2 anni, uccisa il 20 marzo 1991 insieme alla mamma Paola Rizzello, 27 anni, a Parabita, in provincia di Lecce, è un manifesto dell’atrocità della Sacra corona unita. A ordinare il duplice delitto fu Anna De Matteis, moglie del boss Luigi Giannelli, con cui Paola aveva avuto una relazione. La madre della piccola fu giustiziata in un casolare mentre teneva in braccio la figlioletta, rimasta lievemente ferita a un piedino. I sicari lasciarono la piccola da sola al buio insieme al cadavere della donna, quindi raggiunsero il paese per cambiarsi e bruciare gli abiti sporchi. Ore dopo tornarono sul luogo del delitto, dove trovarono la bimba in lacrime. Angelica fu afferrata per il piedino e sbattuta ripetutamente contro un muro, fino a quando smise di respirare. Il corpo di Paola fu gettato in una cisterna, quello della piccola seppellito sotto un pino, dove venne ritrovato otto anni dopo. Ciro Zirpoli, 16 anni, fu ucciso a Ercolano, in provincia di Napoli, il 26 gennaio del 1997, per vendetta contro il padre Leonardo, un ex narcotrafficante che si era pentito. Come se non bastasse, qualche mese dopo il delitto la tomba del ragazzo venne profanata da alcuni vandali.

Una storia sbagliata

Rita Atria e Vittorio Maglione non sono morti per un colpo di pistola esploso per vendetta. Entrambi si sono uccisi perché il peso delle loro vite, segnate fin dalla nascita dalla violenza, era diventato insostenibile. Quando morì il 26 luglio del 1992, Rita aveva 17 anni. Suo padre Vito e il fratello Nicola, entrambi legati a Cosa Nostra, erano già stati ammazzati e, seguendo l’esempio della cognata Piera Aiello, decise di collaborare con la giustizia. Ad ascoltarla fu Paolo Borsellino, che instaurò con la ragazza un rapporto molto profondo. Dopo la strage di via d’Amelio e la morte del giudice, presa dallo sconforto Rita si gettò dal settimo piano di un palazzo di Roma, dove viveva in segretezza. Il 10 aprile del 2009 Vittorio Maglione, 13 anni, salì su una sedia e si impiccò. Suo padre Francesco era un personaggio di spicco del clan camorristico dei Ferrara, legato ai Mallardo e ai Casalesi, e suo fratello Sebastiano aveva seguito le orme del genitore, rimanendo ucciso a 14 anni per aver tentato di rubare il motorino a chi non doveva. Per sottrarsi al destino familiare Vittorio si tolse la vita, affidando al web un ultimo messaggio diretto al padre: “Adesso sei contento. Non ti rompo più”.

Rita Atria, 30 anni dalla morte della “picciridda”

Il sacrificio di Emanuele e Simonetta

Le giovani vittime delle mafie non sono sempre legate a parenti invischiati negli affari sporchi della criminalità organizzata. È il caso di Emanuele Attardi e Simonetta Lamberti, entrambi 11 anni, il primo ucciso a Bagheria, in provincia di Palermo, nel lontano novembre 1874, la seconda più di cento anni dopo, il 29 maggio del 1982, a Cava de Tirreni, in provincia di Salerno. Emanuele era il figlio di Gaspare Attardi, cancelliere della pretura di Bagheria, fermo oppositore della criminalità locale – l’associazione dei Fratuzzi – nel mirino dei sicari perché aveva contribuito a fare arrestare un mafioso. Quel giorno stava passeggiando per le vie del centro mano nella mano insieme al figlio, quando dei pallettoni di fucile raggiunsero il ragazzo uccidendolo sul colpo. Simonetta era invece la figlia del magistrato Alfonso Lamberti, obiettivo della camorra. La bambina e il padre stavano rientrando a casa dopo una passeggiata in spiaggia, quando la loro auto fu affiancata da un’altra vettura. Il commando esplose numerosi colpi di pistola, alcuni ferirono in modo lieve il procuratore mentre Simonetta, che dormiva sul sedile posteriore con la testa appoggiata al finestrino, fu colpita a morte.

Crediamo in un giornalismo di servizio ai cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un’informazione di qualità, sostieni lavialibera

veronulla

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com