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Ci si chiede: questa criminalità di gruppo ha legami con la mafia, è già mafia o tende a diventarlo? Ma cos’è la mafia oggi? Cosa nostra non riesce a darsi una direzione, non è “più forte di prima”, come si dice, ma non è neppure scomparsa, e non è da escludere che abbia dato il via libera a gruppi, più o meno collegati, per dimostrare che senza di essa non c’è il governo della criminalità e la città diventa un campo di esercitazione per professionisti o apprendisti della violenza.
Una mostra di armi da guerra
Ma quello che accade a Palermo è una specificità isolata o isolabile, o si inscrive in un quadro più ampio? Qualche settimana fa in piazza Politeama c’è stata una mostra di armi da guerra, e c’erano bambini che provavano a imbracciare armamenti, sotto l’occhio compiacente di militari e genitori. Se il messaggio è quello dell’assuefazione alla guerra, del potere fondato sulla forza, e l’uomo più potente del mondo, Donald Trump, rigetta ogni forma di controllo e archivia il diritto come un orpello inutile e fastidioso, questo clima può generare, o ha già generato, un senso comune, una mentalità e un modello di comportamento. E con la storia che ha una città come Palermo, con una illegalità diffusa, la pratica dell’aggressione e della violenza fa presto ad attecchire e a diffondersi.
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Giustamente viene ricordato che ci sono note positive: giovani che hanno partecipato alle manifestazioni contro il genocidio dei palestinesi e adesso dicono basta alla violenza dei loro coetanei e si riconoscono nel gesto di Paolo di far cessare una lite e sottrarre un altro giovane al pestaggio. Diventerà o è già un esempio.
Perché, assieme ai servizi sociali, come asili nido, centri di aggregazione, scuole aperte tutto il giorno, che non ci sono, non si creano gruppi musicali in ogni quartiere, facendo di giovani, che rischiano di essere arruolati nel branco, i protagonisti di una rinascita culturale?
Il 14 scorso c’è stata la commemorazione dell’assassinio di Giovanni Orcel, il sindacalista ucciso dalla mafia nel 1920, e partecipavano all’iniziativa gli studenti musicisti del Liceo Margherita. Negli anni ’70 in Venezuela il maestro José Antonio Abreu fondò orchestre formate da ragazzi “disagiati”, che divennero note ed apprezzate in tutto il mondo. Perché, assieme ai servizi sociali, come asili nido, centri di aggregazione, scuole aperte tutto il giorno, che non ci sono, non si creano gruppi musicali in ogni quartiere, facendo di giovani, che rischiano di essere arruolati nel branco, o di finire come spacciatori e consumatori di droga, i protagonisti di una rinascita culturale? Padre Puglisi toglieva i ragazzi dal vivaio della mafia, dando loro un pallone per giocare a calcio. Perché non si fa una squadra di calcio in ogni quartiere, avendo come esempio la scuola per calciatori di Totò Schillaci? Perché non si fanno scuole di teatro, di pittura, laboratori di artigianato? Ovviamente dentro un quadro che ponga al centro i problemi del lavoro, che non c’è, o è nero, precario e non tutelato.
Come si parla di mafia
L’antimafia ha al suo attivo l’impegno con le scuole, l’antiracket, l’uso sociale dei beni confiscati. Con problemi, ma anche con risultati da non sottovalutare. Allo Zen operano da anni associazioni meritorie, ma c’è troppa frammentazione e una radicata vocazione all’appartenenza. E con una situazione come quella che viviamo, è necessario incontrarsi, elaborare un progetto di mutamento, individuando i percorsi per realizzarlo.
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Un’ultima nota: si è detto che i giovani replicano quello che vedono nelle serie televisive. E Maranzano, in un video postato poco prima di essere arrestato, compariva, questa volta senza collane d’oro, avendo come sottofondo un brano de “Il capo dei capi”, in cui Totò Riina sfotteva il poliziotto che lo arrestava, e il suo post ha raccolto migliaia di like. Il racconto e la rappresentazione del crimine spesso sono recepiti come un’eroicizzazione dei boss. Esempi da imitare. È avvenuto con il “Padrino”, ora avviene con le miniserie dedicate a mafiosi e camorristi. Quando andò in onda “Il capo dei capi”, in una scuola palermitana, tra le più attive per iniziative antimafia, mi è stato raccontato che gli studenti erano affascinati da Riina e consideravano Buscetta un “muffutu” e un traditore. “Parlate di mafia”, diceva Paolo Borsellino, bisogna vedere come se ne parla.
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