Le fonti, la stampa italiana e la pandemia

Ci sono testate che hanno un passato glorioso, una di queste è La Stampa, quotidiano torinese fondato nel 1867. Questa testata merita di diritto un posto di rilievo nella storia del giornalismo. Nel 2016, La Stampa ha assunto una giornalista di talento, Anna Masera, per un ruolo innovativo, quello di garante dei lettori e degli utenti web. Tuttavia, nel 2021, questo ruolo è stato abolito, segnando un cambiamento significativo nella politica editoriale del giornale. Masera aveva il compito di gestire i rapporti tra i lettori e il quotidiano, come ha dichiarato nel 2016:

Il mio ruolo sarà duplice.

Da una parte sarò ombudswoman (il termine ombudsman deriva da un ufficio di garanzia costituzionale istituito in Svezia nel 1809 e che significa letteralmente «uomo che funge da tramite»). Quindi sono benvenuti commenti e critiche che riguardano le notizie e gli approfondimenti che il giornale pubblica su carta e su Internet.

Quindi se avete correzioni da segnalare potete farlo presto qui…

Una figura simile non esiste più. E ieri La Stampa ha pubblicato un articolo con questo titolo:

“Il Covid? Scappò davvero da un laboratorio”. Fu la Cia a pagare sei analisti per insabbiare la verità

Nelle prime righe dello stesso leggiamo:

La notizia arriva dal NY Post: gli esperti avrebbero ricevuto denaro per diffondere la «contro-verità» dello «spillover» cioè il famoso salto di specie dall’animale all’uomo

Quindi la fonte è il New York Post, che aveva titolato:

CIA tried to pay off analysts to bury findings that COVID lab leak was likely: whistleblower

Due cose vogliamo segnalare:

  1. Il New York Post afferma che la CIA ha cercato di pagare degli analisti, mentre La Stampa omette il termine “cercato” e afferma categoricamente che la CIA ha pagato. Questa differenza tra “tried to pay off” e “fu la CIA a pagare” è significativa e dovrebbe essere trattata con maggiore precisione nel testo.
  2. È noto che il New York Post è un tabloid con una tendenza filo-Trump che ha diffuso disinformazione durante la pandemia, ed è stato sbugiardato più volte. Tuttavia, nell’articolo di La Stampa, non vi è menzione di altre fonti verificate o una discussione sulla scarsa affidabilità della fonte. Inoltre, l’articolo utilizza il termine “prove inoppugnabili”, che potrebbe non essere appropriato dati i dubbi sulla fonte.

In passato, La Stampa aveva dimostrato una maggiore attenzione alla verifica delle fonti e alla gestione dell’Information Disorder. È importante riflettere su come sia avvenuto un cambiamento nella politica editoriale del giornale, che ora sembra meno attento a questi aspetti. Tuttavia, questo non riguarda solo La Stampa, ma anche altre testate che hanno ripreso la notizia senza adeguata critica. La stessa notizia è stata data anche dal Corriere, che oltre a riportarla, sempre senza specificare la fonte scandalistica e scarsamente affidabile, ha rimandato a una precedente intervista  con “l’esperto” dott. Palù, oncologo e presidente di AIFA, soggetto che già mesi fa aveva espresso il suo parere sulla materia.

Il collega Juanne Pili era intervenuto sul suo profilo Facebook in maniera esauriente su questa storia già ieri:

Non è possibile che continuiamo a cascarci ogni volta, sulla stampa ritenuta più autorevole poi. Passi il fatto che la fonte al solito è un tabloid, in questo caso il New York Post (da non confondere col New York TIMES). Ma diverse testate citano ancora il presidente AIFA Palù, ed è questa la cosa più controversa. Basta chiedere agli esperti che di genetica magari ne capiscono di più rispetto a un oncologo (con tutto rispetto per chi ha queste competenze). Non chiedete a me che sono un geometra che manco si sa inventare una laurea nel CV.

Il giornalismo  dovrebbe avere il dovere di presentare notizie verificate e affidabili, specialmente su questioni complesse come la pandemia da COVID-19, e di coinvolgere esperti competenti per garantire una copertura informativa accurata.

Sì, lo so che sono un sognatore…

maicolengel at butac punto it

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