La serie tv Dopesick racconta i crimini di impresa che hanno provocato l’epidemia da oppiacei negli Usa

La notizia è di giovedì scorso ed è finita sulle prime pagine dei principali quotidiani statunitensi: New York Times, Washington Post, Boston Globe, Los Angeles Times. La Corte suprema degli Usa ha bloccato un patteggiamento che metteva la potente famiglia Sackler, tra le più ricche del Nord America, proprietaria del colosso dei farmaci Purdue Pharma e produttrice dell’OxyContin, un farmaco a base di ossicodone, un oppioide di sintesi (tipo il fentanyl, ma diverso nella composizione). In base all’accordo che era stato raggiunto coi tribunali, i Sackler avrebbero dovuto versare la somma di 6 miliardi di dollari alle famiglie delle vittime di overdose, in cambio di un completo esonero da qualsiasi responsabilità sui casi futuri.

Ora, per chi non avesse visto la serie tv Dopesick – Dichiarazione di dipendenza, sulla piattaforma Disney+, questa breve di cronaca potrebbe essere difficile da capire. Dopesick è il racconto perfetto di come funziona il crimine d’impresa legato alla diffusione incontrollata dell’ossicodone. “L’introduzione di OxyContin è ora vista come l’inizio dell’epidemia di oppioidi, che ha ucciso più di 500.000 persone a livello nazionale e creato dipendenza in altri milioni”, scriveva il New York Times recensendo la serie.

Luci sul fentanyl, ombre sul resto 

La trama di Dopesick

Nel corso delle otto puntate, si intrecciano storie diverse, ma collegate, alcune realmente accadute, altre fittizie, ma esemplari. Ci sono gli episodi che avvengono in un villaggio sui monti Appalachi, con il medico di base Samuel Finnix (interpretato da Michael Keaton, che ha prodotto il film anche per ragioni personali: suo nipote è morto per un’overdose di fentanyl) alle prese con i minatori della zona, i loro dolori e gli incidenti sul lavoro. A lui si rivolge il giovane rappresentante farmaceutico della Purdue Pharma Billy Cutler (Willy Poulter) per presentare i miracoli dell’OxyContin. Il medico, convinto, inizierà a prescriverlo a molti dei suoi pazienti, tra cui una giovane minatrice, e inizierà a farne uso personalmente, non conoscendo le conseguenze.

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Nel frattempo, in un continuo avanti e indietro temporale, torniamo agli anni Novanta e assistiamo agli sforzi di Richard Sackler (Michael Stuhlbarg) e della sua famiglia per entrare nel mercato e aumentare i loro profitti, per ottenere le autorizzazioni della Federal drug administration (Fda, l’equivalente statunitense dell’Agenzia italiana per il farmaco) non curanti dei rischi di dipendenza provocata dal farmaco. Una dipendenza che diventa evidente, nei primi anni Duemila, agli occhi di Bridget Meyer (Rosario Dawson), agguerrita agente della Drug enforcement administration (Dea, l’agenzia antidroga) e a quelli degli investigatori della procura federale della Virginia. Saranno loro a condurre le inchieste per rivelare quanto compiuto dai vertici della Purdue Pharma.

Nuove dipendenze: 24 ore in un Centro crisi

La ricetta di Dopesick

Gli ingredienti che rendono questa serie avvincente come un thriller legale sono molti. In alcuni passaggi viene messo in evidenza il rapporto tra “big pharma”, cioè le grandi aziende dell’industria farmaceutica, con la ricerca e la divulgazione manipolate a favore degli affari, utile a negare le proprie responsabilità. È il caso, veramente accaduto, di una lettera di due medici di Boston pubblicata sulla New England Journal of Medicine, a lungo spacciata dai Sackler come una ricerca approfondita e verificata sull’assenza di rischi legati all’uso di oppiacei. Affermando falsamente che il rischio di cadere in una dipendenza era quasi dell’1 per cento, la Perdue convinceva i medici attraverso il marketing diretto dei suoi rappresentanti commerciali e le agenzie nazionali di controllo.

C’erano altre maniera per oliare i meccanismi di queste ultime. Gli episodi mostrano anche un complesso sistema di conflitti di interessi, con le “porte scorrevoli” che permettono a un ex funzionario dell’agenzia del farmaco di assumere un incarico ben remunerato in una società su cui aveva vigilato fino a poco tempo prima. O ancora, rimanendo in tema, c’è il caso di Rudy Giuliani, l’ex procuratore di New York passato poi alla politica, assoldato come lobbista e avvocato per perorare la causa della Purdue e dell’Oxycontin, facendo anche leva sui benefici tratti durante la sua malattia. Tutti episodi veri che evidenziano la rete di protezione dei crimini dei potenti.

Ci hanno insegnato che il crimine nasce dalla povertà e dall’esclusione. Invece esiste quello dei ricchi, frutto di privilegi e ben più dannoso

C’è quindi il fallimento dei controlli e delle agenzie regolatorie. Ma c’è anche il racconto del tentativo degli inquirenti di trovare un whistleblower, una persona inserita nel sistema della Perdue Pharma che possa segnalare e portare prove utili all’indagine: molti ex dipendenti dell’azienda, licenziati, temono le conseguenze economiche nel caso di violazione di clausole di riservatezza firmate e accettate per avere la liquidazione. Qualcuno, però, supererà questi timori.

C’è poi un’altra parte, più umana, che racconta come il farmaco diventa una droga (in inglese, d’altronde, si usa la stessa parola, drug), rivela la difficoltà dell’uscire dalla tossicodipendenza da oppiacei, il dolore e gli sforzi delle famiglie, ma anche l’utile opera dei peer supporter, cioè di quelle persone che – essendo passate nella stessa situazione – possono affiancare e supportare meglio chi la sta ancora vivendo (leggi qui un articolo sul tema) e possono ridurre il danno. E c’è, ancora, la riscossa della società civile affiancata da esperti e leader di comunità (anche religiosi, come una combattiva suora) e delle famiglie delle vittime di overdose per ottenere giustizia e verità, risarcimenti, ma anche condanne e prevenzione.

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