Il rapporto di Natalia Nikonorova, rappresentante della DNR, alla seduta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

Il rapporto di Natalia Nikonorova, rappresentante della DNR, alla seduta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

2 Dicembre 2020
“Egregi partecipanti all’incontro.
Prima di tutto, vorrei ringraziarvi per l’opportunità di parlare nel contesto della seduta odierna con una relazione sulla reale situazione nel Donbass e sul processo negoziale di Minsk. Nelle circostanze attuali, quando nel mondo gli eventi del Donbass, sono percepiti, praticamente, esclusivamente in base alla visione della situazione di Kiev, l’incontro di oggi è molto importante: ci dà l’opportunità di riferire il punto di vista della seconda componente del conflitto: le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. Inoltre, tutto ciò che andremo oggi a esporre, siamo pronti a confermarlo e lo confermeremo con fatti e argomenti concreti.

Ricordo brevemente le origini del conflitto: nel febbraio 2014 le forze nazionaliste effettuarono un colpo di stato a Kiev. E sebbene il popolo del Donbass fosse sdegnato da questa illegalità, ciò nondimeno, e attiro la vostra attenzione su un punto essenziale: nessuno esortò i residenti del Donbass a muovere guerra a Kiev o a separarsi dall’Ucraina. Al contrario, in numerose manifestazioni di quel periodo, gli stessi residenti della regione di Donetsk si rivolsero ai deputati del consiglio regionale locale con la proposta di agire come loro rappresentanti e di proteggere i loro diritti. Tuttavia, dopo che, alla fine di marzo 2014, tutti i deputati del consiglio locale erano già fuggiti dalla regione di Donetsk, mentre in Ucraina il caos e il sopruso proseguivano (il che vale almeno come un rifiuto della legge ucraina “Sulle basi della politica linguistica statale” votata il 23 febbraio 2014 dalla Verkhovna Rada, che concedeva alla lingua russa uno status regionale), ai residenti del Donbass non restò altra scelta se non quella di organizzare un analogo organo di rappresentanti locali (consiglio). Per di più, il 14 aprile 2014, le autorità ucraine annunciarono l’ATO (operazione antiterrorismo) e inviarono le Forze Armate dell’Ucraina nel Donbass, e questo viola tutti i diritti umani basilari sanciti da atti fondamentali del diritto internazionale, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Patto Internazionale sui Diritti civili e politici, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ecc.

Inoltre, le nuove autorità ucraine misero in atto non solo l’illegalità, ma anche una vera e propria strage, una “pulizia” di coloro che erano in disaccordo: soltanto in base ai dati ufficiali, il 2 maggio a Odessa 48 persone morirono per mano dei radicali e almeno 250 rimasero ferite; il 9 maggio, a Mariupol, i militanti del “Settore Destro” si mossero con armi e carri armati contro i residenti disarmati, in seguito a ciò più di 20 persone persero la vita e circa 50 rimasero ferite; l’assalto a Slavyansk da parte della Guardia nazionale ucraina del 3 – 5 maggio, dove morirono più di 30 civili.

Dopo tali orrende e sanguinose azioni dell’Ucraina, venne presa la decisione di chiedere agli abitanti della regione di Donetsk come valutavano gli eventi di Kiev e come vedevano il loro futuro. L’11 maggio 2014 si tenne un referendum, i cui risultati parlano da soli: i nostri residenti manifestarono il sostegno alla sovranità della Repubblica Popolare di Donetsk. L’affluenza alle urne raggiunse il 74,87%, la dichiarazione d’indipendenza fu sostenuta dall’89,7% dei votanti”.

Collegamento il teleconferenza del Ministro degli Esteri della DNR con in Consiglio di Sicurezza dell’ONU

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“Dal momento in cui Kiev scatenò la cosiddetta “Operazione Antiterrorismo” contro la popolazione del Donbass, poi ribattezzata “Operazione delle forze congiunte”, noi viviamo, per il settimo anno, in condizioni, appunto, di guerra civile. Nel territorio del Donbass sono morte non meno di 13mila persone, tra di loro 149 bambini, circa 30mila persone sono rimaste ferite. E su quante persone hanno perso un tetto sopra la testa e i loro mezzi di sostentamento è persino difficile fare un computo. Tuttavia, in queste condizioni ci hanno chiamato terroristi, non l’Ucraina.

Non avevamo altra scelta se non difenderci, difendere la nostra terra e gli abitanti del Donbass, e quindi rispondere in modo appropriato a questa guerra non dichiarata, ma di fatto esistente. Eravamo a casa nostra, non avevamo dove scappare, e abbiamo risposto in modo tale che nel giro di qualche mese l’esercito ucraino fu costretto a ritirarsi, sconfitto nelle sacche di Ilovajsk, Debaltsevo e Izvarino. Ma in questo scontro caldo, hanno perso la vita migliaia di persone. Pertanto, secondo un rapporto del UNHCHR del 15 febbraio 2015, nel periodo precedente la firma del Pacchetto di misure (da metà aprile 2014 al 12 febbraio 2015), nel territorio della Repubblica Popolare di Donetsk non meno di 2.420 persone furono uccise e almeno 4.919 rimasero ferite. La firma del Pacchetto di misure ha contribuito a ridurre le dinamiche di sviluppo della fase calda del confronto, ma, purtroppo, non l’ha interrotta completamente.

Passerò al tema principale del nostro incontro: sono trascorsi quasi sei anni dalla firma del Pacchetto di misure per l’attuazione degli Accordi di Minsk, approvato con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 2202 del 15 febbraio 2015, ma fino ad ora non una singola clausola di queste misure è mai stata pienamente realizzata. Lo stesso vale per l’attuazione dei risultati congiuntamente concordati al vertice di Parigi dai leader dei paesi del “Quartetto di Normandia”, tenutosi il 9 dicembre 2019: nessuno dei tre blocchi di impegni registrati in questi accordi è mai stato pienamente realizzato. Poiché il nostro incontro è dedicato specificamente all’anniversario del vertice dei leader del “Quartetto di Normandia”, consentitemi di soffermarmi su questa questione in modo più dettagliato e di fornire alcuni esempi che illustrino più chiaramente lo stato attuale delle cose sulla piattaforma di Minsk.

Cominciamo dal punto 1 dei risultati congiuntamente concordati nel vertice di Parigi denominato “Misure immediate per stabilizzare la situazione nella zona di conflitto”. Pertanto, l’attuazione “completa e globale” del cessate il fuoco come previsto dal primo capoverso di questa clausola non è stata eseguita entro il periodo di tempo indicato – entro la fine del 2019. Solo il 22 luglio 2020, nell’ambito del Gruppo di contatto, entrambe le parti in conflitto – Kiev e le Repubbliche – hanno concordato e firmato le “Misure per il controllo e il rafforzamento del regime di cessate il fuoco”.

Vorrei sottolineare che la concordanza su queste misure è stata davvero un grande successo: per un anno intero le Repubbliche hanno cercato di ottenere da Kiev la firma ufficiale su tali misure, le quali, nonostante fossero state precedentemente concordate nel luglio 2019, in sostanza non sono state attuate dalla parte ucraina”.

Il Ministro Esteri Natalia Nikonorova mentre parla in teleconferenza con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU

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“Vorrei anche rilevare una curiosa conclusione, a cui siamo giunti in base alle nostre osservazioni sul comportamento della parte ucraina nei negoziati: in pratica, la parte ucraina si è accordata, su tutti i progressi e cambiamenti costruttivi, senza eccezioni, solo alla vigilia di certe date ed eventi importanti per l’élite politica ucraina e il suo rating. Ecco alcuni esempi:
• Una tregua a tempo indeterminato è stata concordata con Kiev il 21 luglio 2019 – in particolare il 21 luglio in Ucraina si sono svolte le elezioni parlamentari;
• La “Formula Steinmeier” è stata parafata da Kiev il 1° ottobre 2019, esclusivamente a favore del vertice del “Quartetto di Normandia” tanto ambito da Zelensky, previsto per il 9 dicembre 2019;
• Le Misure aggiuntive sono state firmate il 22 luglio 2020, alla vigilia dell’inizio delle campagne elettorali per le elezioni locali in Ucraina”.   

 
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Consiglio di Sicurezza ONU

“Quindi, proprio per colpa dell’Ucraina il processo di pace per risolvere il conflitto nel Donbass rimane estremamente difficoltoso, al momento, in sostanza, in generale, è bloccato. Ma Kiev, anche qui, sta cercando di travisare e modificare fatti assolutamente ovvi, e d’intraprende attivamente attraverso i mass-media tentativi per spostare sulle Repubbliche la responsabilità del mancato rispetto degli accordi di Minsk.

Possiamo citare un gran numero di esempi sulla preoccupazione fittizia di Kiev verso i nostri cittadini, che presenta, infatti, o completa indifferenza dell’Ucraina verso gli abitanti del Donbass e un interesse solo per i territori, o intenzioni apertamente aggressive. In ogni caso, tutte queste azioni testimoniano un solo fatto: tra il Donbass e l’Ucraina passa già un abisso enorme, e il nuovo leader ucraino Zelensky, che in campagna elettorale si era attivamente posizionato come “presidente della pace”, davvero non sta puntando verso nessuna pace.

Allo stesso tempo, è del tutto chiaro verso che cosa, Zelensky e il suo team, si stanno effettivamente dirigendo: il conflitto nel Donbass serve all’Ucraina come pretesto per rimanere sull’agenda e nel focus dei suoi “partner occidentali”. È proprio per questo motivo che le autorità ucraine insistono così tanto sulla priorità e necessità di incontri a cadenza regolare nel “Formato Normandia”. Ma il Formato Normandia è solo un meccanismo di controllo che non aiuterà a risolvere quelle cause per le quali, in sostanza, è sorto il conflitto – ossia, il rifiuto e l’impreparazione di Kiev nel tenere conto dell’opinione del Donbass. Questo aspetto può essere risolto esclusivamente mediante la piattaforma di Minsk, nel processo di dialogo aperto tra le due parti dirette del conflitto: Kiev e le Repubbliche.

A conclusione del mio intervento, voglio ricordarvi che a livello mondiale la storia annovera molti precedenti di risoluzione dei conflitti e tutti attestano la necessità di un dialogo diretto tra le parti in tali conflitti. Su questo aspetto, durante i negoziati, noi abbiamo ripetutamente dimostrato la nostra disponibilità. Ma la leadership ucraina, riguardo a ciò non ha la medesima celerità e volontà politica. Pertanto, siamo pronti allo scenario opposto – le Repubbliche hanno imparato a difendersi e a proteggere i propri cittadini ancor meglio che nel 2014 e 2015. Con regolarità, da Zelensky e il suo team, sentiamo di certi “piani B”, “piani C” e altre idee e, a giudicare dalla retorica aggressiva con cui vengono esposte queste dichiarazioni, chiaramente non si tratta d’intenzioni pacifiche da parte di Kiev. Il 9 dicembre 2020 scade il termine che Zelensky aveva disposto per il percorso degli accordi di Minsk. L’Ucraina si trova già sul punto di un rigetto ufficiale verso l’adempimento dei documenti approvati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

In tal caso abbiamo una domanda specifica per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come istituzione che ha approvato il Pacchetto di misure e il piano di pace per la risoluzione del conflitto nel Donbass in esso racchiuso: quale sarà la vostra reazione e se sarà adeguata ad un tal rifiuto ufficiale dell’Ucraina, che è membro dell’ONU, verso l’adempimento degli obblighi previsti nel documento approvato dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU? Permetterete una situazione in cui l’Ucraina inciterà il suo esercito, i carri armati, gli aerei, i suoi miliziani ispirati ai metodi dei terroristi dell’ISIS contro 4,5 milioni di abitanti del Donbass? Oppure resterete osservatori impassibili?

Oggi il nostro incontro è dedicato ai risultati dopo un anno dal vertice dei leader del “Formato Normandia” a Parigi. Dal nostro punto di vista, è palese, l’Ucraina non ha attuato nessuna clausola sia degli accordi di Minsk che dei risultati congiuntamente concordati nella riunione dei leader. Nonostante tutte le nostre proposte per la loro realizzazione, i rappresentanti di Kiev, semplicemente, si rifiutano di accettarle, di lavorarci sopra e persino di commentarle. Se viene ignorato l’altro lato – il dialogo è impossibile, è come battere le mani con un palmo. Considerando tutto quanto esposto, la situazione nel processo di negoziazione della pace è critica. A noi pare che sia proprio il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad avere il diritto e a possedere tutte le leve d’influenza necessarie per esortare l’Ucraina alla risposta e alla responsabilità.
         
Sappiamo come difenderci, ma non vogliamo la guerra. Non vogliamo un’escalation. Vogliamo pace e prosperità per il Donbass, lo sviluppo del suo potenziale socio-economico, l’uguaglianza, l’osservanza di tutti i diritti e delle libertà della persona, l’osservanza e il riconoscimento dei nostri diritti civili e politici, tenendo conto di quei valori universali che sono sanciti dagli atti fondamentali del diritto internazionale”.

      Fonte:  https://mid-dnr.su/ru/pages/docs/doklad-natali-nikonorovoj-na-zasedanii-sb-oon-po-formule-arrii/

Nota del redattore: vista l’ampiezza del testo si è optato per una cernita dei passi più salienti.

Traduzione di Eliseo Bertolasi

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