Il Pnrr lo controlliamo dal basso

Il Pnrr lo controlliamo dal basso
È stato messo a punto quasi a porte chiuse il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il programma di investimenti che l’Italia ha dovuto presentare per poter ricevere gli oltre 230 miliardi di euro previsti dall’Unione europea per rispondere alla crisi provocata dal Covid-19. Avevamo chiesto che il controllo della società civile fosse previsto espressamente nel testo del documento, come strumento di vigilanza del Piano. 

Il governo Draghi non ha segnato una svolta nella trasparenza. Il Pnrr è stato definito quasi a porte chiuse e la società civile esclusa dal monitoraggio del Piano

Non solo l’appello è caduto nel vuoto, ma dal monitoraggio del Pnrr è stato escluso l’Open government forum, iniziativa attiva in tutto il mondo con l’obiettivo di mettere a confronto referenti di istituzioni e attivisti civici. Eppure, proprio questo tavolo, a cui l’Italia ha aderito nel 2011 per volontà dell’allora come dell’attuale ministro Renato Brunetta, serve a monitorare riforme sui temi della trasparenza e dell’anticorruzione, nonché programmi come il Pnrr. 

Recovery, le associazioni: “Si permetta alla società civile di monitorare i fondi”

Dato che la legge ci riconosce il diritto/dovere di controllare la pubblica amministrazione, abbiamo deciso di fare da noi, dando vita a LIBenter che sta per l’Italia bene comune nuova, trasparente, europea, responsabile. Un’iniziativa che ha l’obiettivo di mettere in piedi un sistema di monitoraggio del Pnrr da parte della società civile, e di cui fanno parte Università Cattolica del Sacro Cuore, Cnel, Fondazione etica e Libera, insieme a ASeS, openpolis, ISTeA, Osservatorio civico Pnrr e Gran Sasso Science Institute. 

Da Conte a Draghi, all’insegna dell’opacità

Come abbiamo raccontato nel sesto numero de lavialibera, il 2020 è stato un anno opaco. Il diritto alla trasparenza è stato sacrificato in nome dell’emergenza Covid-19. Per mesi, openpolis, fondazione che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, ha chiesto la pubblicazione di tutti i contratti stipulati dalla struttura commissariale per l’emergenza, diventata una delle amministrazioni più coinvolte nell’acquisizione delle forniture per il covid, insieme alla centrale acquisti della pubblica amministrazione (Consip) e alla protezione civile. Una parziale (e tardiva) risposta è arrivata a metà novembre, quando sono state rese disponibili alcune informazioni richieste, con molti limiti.

Il governo di Mario Draghi, in carica da febbraio 2021, non ha segnato una svolta in questo ambito. E l’ha dimostrato proprio la definizione del Pnrr. A dieci giorni dalla sua presentazione in Commissione europea, l’unica bozza disponibile online era quella prodotta dal precedente esecutivo: un’assenza che ha impedito il confronto pubblico sui contenuti del Piano, il monitoraggio degli interessi presi in considerazione e la partecipazione alla strategia che dovrebbe prevenire corruzione e opacità nello stanziamento dei fondi. Le audizioni dei rappresentanti di interessi collettivi sono state rare e marginali, così come marginale è stato il ruolo del Parlamento che di fatto si è limitato ad approvare un contenuto definito in altre sedi. Inoltre, il Piano approvato dal Parlamento è diverso da quello comunicato a Bruxelles, cioè il definitivo. 

Non abbiamo ancora visto una bozza del Pnrr 

Rispetto alle riforme che anticipano la messa in cantiere delle azioni del Pnrr, a pagina 69 si prevede la modifica proprio della norma di trasparenza e anticorruzione, calendarizzata per giugno. Anche su questo, come Open government Forum, abbiamo chiesto al ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta, di dare il nostro contributo. Al momento non abbiamo ricevuto risposte. 

Infine, rimangono preoccupazioni sulla proroga, per il momento fissata al 2023, delle deroghe al Codice degli appalti che regola i contratti della pubblica amministrazione per eseguire opere pubbliche. “Non possiamo immaginare una semplice sospensione, totale e immediata, del Codice degli appalti e il ricorso alle sole direttive europee per l’utilizzo dei fondi Next Generation EU. Questa scelta, lungi dal portare un’accelerazione, rischierebbe di bloccare le gare per l’improvvisa assenza di riferimenti certi”, ha detto Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac).

Come funzionerà LIBenter

Per monitorare l’effettiva e corretta messa in atto del Pnrr, LIBenter ha messo in piedi un gruppo di lavoro composto da accademici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, cui spetta il compito di capire come i progetti del Piano possano essere monitorati in termini di qualità, sostenibilità e risultati. A loro si affiancano anche referenti della società civile, a partire da Fondazione Etica e Libera, che faranno in modo di rendere quanto elaborato dal gruppo utilizzabile e utilizzato da più persone possibili. Gli inglesi lo chiamano “engagement”, traducibile come “coinvolgimento” ma sottendendo l’idea che chi è “ingaggiato” diventa protagonista diretto dell’azione di monitoraggio. Significa mettere in campo capacità di sviluppo di comunità monitoranti, presenza quotidiana e costante, accompagnamento e ascolto di chiunque vorrà accettare la sfida del monitoraggio del Piano: questa competenza, spesso poco valorizzata, potrà fare la differenza.

L’esempio delle Madonie

Quanto il controllo dei cittadini sia utile per monitorare l’attività della pubblica amministrazione lo dimostra una storia che arriva dalle Madonie, dove per la prima volta i cittadini hanno bloccato l’assegnazione di un appalto a causa della dubbia correttezza dell’azienda aggiudicatrice. Nel mirino, la progettazione di impianti per il trattamento delle biomasse che dovranno servire sei piccoli comuni montani. L’appalto, del valore di 147mila euro, era stato provvisoriamente affidato alla Delta Emme: uno studio d’ingegneria palermitano che aveva presentato un’offerta al ribasso del 35,50 per cento riuscendo a ottenere un punteggio alto sul piano tecnico. Sotto la lente degli osservatori cittadini, però, è finito l’organigramma della società e in particolare il profilo del direttore tecnico Giuseppe Di Martino, colpevole di avere violato più volte le norme in materia ambientale.

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