Drug Consumption Room. La salute, la mediazione sociale, il governo delle città

Drug Consumption Room. La salute, la mediazione sociale, il governo delle città
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Articolo di Susanna Ronconi (2019)

Tra gli interventi che bene rappresentano la complessità indicata dalle politiche europee – la RDD come politica e come intervento, come approccio al governo complessivo del fenomeno e, insieme, mirate misure di salute pubblica – le Drug Consumption Room (DCR), Stanze del consumo o Safe Injecting Facilities (SIF), rappresentano un caso emblematico. Significativo anche il “ponte” che rappresentano tra dimensione locale, quasi “sartoriale”, con cui sono state via via progettate e implementate a livello municipale, e dimensione generale, come modello operativo di intervento. Le DCR sono definite come “servizi sanitari con supervisione professionale in cui le persone che usano sostanze possono assumerle in maniera sicura e igienica” (EMCDDA, 2010; Stover 2002); definizione aggiornata dalla rete International Network of Drug Consumption Rooms, con l’inserimento della frase “in un contesto non giudicante”, a sottolinearne il significato, lo spostamento anche culturale e politico, nel solco per altro dello stesso approccio RDD (INDCR, 2018). Da subito, tuttavia, costitutivamente, a questa definizione, “stretta” su obiettivi di salute, e correlata alla più ampia definizione di servizi a bassa soglia di accesso, ne è andata affiancandosi una più ampia, secondo cui le DCR “mettono insieme obiettivi di salute pubblica e di ordine pubblico, e operano all’interno del triangolo obiettivi di salute individuali, finalità di salute pubblica e interessi di convivenza e ordine pubblico delle comunità locali” (Stover, 2002)[1]Tre i macro obiettivi delle DCR secondo EMCDDA: fornire un ambiente sicuro per l’assunzione di droghe; migliorare lo stato di salute di chi consuma; ridurre l’impatto sull’ordine pubblico … Continue reading. Efficaci nel contenere e limitare rischi e danni dell’assunzione di sostanze, in modo particolare, anche se non solo, per via iniettiva, contestualmente si prospettano come una modalità di limitazione e mediazione dell’impatto che il consumo a scena aperta può avere sulla convivenza sociale e la città.

Le DCR nascono come scelta di politica locale, cittadina, fortemente legata ai contesti specifici e progressivamente decollano come risposta nazionale e continentale, secondo quel trend “bottom up” e “step by step” che caratterizza lo sviluppo della RDD europea. La prima DCR data 1986, a Berna, in Svizzera; tutti gli anni novanta vedono il diffondersi delle Stanze nelle città dell’ Europa centro settentrionale – anche per questo aspetto tappa significativa fu la già citata Risoluzione di Francoforte, con cui le città europee sancirono l’approccio di RDD come guida per le politiche locali (Conferenza delle città europee al centro del traffico di droghe, 1990) – e negli anni 2000 fino ai giorni nostri questi servizi hanno sfidato resistenze ideologiche e politiche, affermandosi in tutto il continente in un trend in continuo sviluppo, mano a mano che si moltiplicavano studi di efficacia e valutazioni di impatto (Hedrich, 2004; Hedrich, Kerr, &Dubois-Arber, 2010; Stover, 2002; Woods, 2014 ). Le conclusioni di EMCDDA, già nel 2010 e poi nel 2018, a seguito di una analisi degli studi di valutazione disponibili a livello mondiale, dicono che “Nonostante alcuni limiti nelle evidenze disponibili, la valutazione complessiva è che le DCR sono efficaci in alcuni aspetti della salute individuale e pubblica e dell’ordine pubblico, senza comportare particolari rischi. Per ottenere dei risultati sono cruciali una copertura adeguata, il sostegno politico e il consenso tra gli attori del contesto” (EMCDDA 2010; 2018). Dal 2004, le DCR sono annoverate dal EMCDDA tra gli interventi base delle strategie europee di RDD: se ne contano 92 in 61 città europee in 11 Paesi, a cui aggiungere la Grecia e il progetto sperimentale del 2018 in Belgio (EMCDDA 2010; INDCR, 2019) [2]In Italia le DCR non sono operative, e nemmeno è mai stato avviato alcun protocollo sperimentale per la loro implementazione. L’unico percorso in questa direzione è stato tentato nella città di … Continue reading.

Gli obiettivi di salute

Sul piano della promozione della salute, le DCR entrano in scena a contrasto e contenimento dei rischi e danni correlati soprattutto al consumo per via iniettiva, che negli anni ‘80 e ’90 espone i consumatori al rischio overdose, HIV e HCV, nonché a una serie di altri danni correlati alle modalità rischiose dal punto di vista igienico del consumo nelle scene aperte metropolitane (EMCDDA, 2018).

Le DCR concorrono ad alcuni obiettivi di salute, che l’EMCDDA così sistematizza: offrire un setting di uso sicuro, che include raggiungere i destinatari, rendere il servizio per loro accettabile e accessibile, predisporre le condizioni   per un uso sicuro e igienico; migliorare lo stato di salute dei frequentatori, articolato in sviluppare comportamenti di limitazione del rischio, ridurre morbilità (patologie correlate all’iniezione, malattie trasmissibili) e mortalità (prevenzione dell’overdose), facilitare l’accesso a servizi e trattamenti (Hedrich, Kerr, &Dubois-Arber, 2010).

Oltre a prestazioni specifiche, come fornire materiale sterile, intervenire in caso di overdose, facilitare il contatto con servizi socio sanitari – già caratteristiche dei servizi a bassa soglia in generale – le DCR presentano due innovazioni che sono, nella prospettiva dello sviluppo della RDD, particolarmente cruciali. La prima, l’intervento diretto, “in presenza”, di operatori (professionali e/o pari) nel momento dell’assunzione: momento che, anche nelle pratiche più avanzate, fino ad allora era rimasto nel cono d’ombra dell’esperienza individuale, sempre in parte nascosto e rimosso agli occhi professionali, con interventi di supporto “prima e dopo” (preventivi o riparativi). Le DCR fanno dell’atto del consumare un atto visibile, in un setting non più ai margini o clandestino, come quello delle “scene aperte”, ma “pubblico” e formale; fondamentalmente si verifica uno spostamento, materiale e simbolico, verso una accettazione del consumo e una sua inclusione, non più ipocritamente velata, nella relazione con obiettivi e interventi di salute pubblica. Non a caso, e di contro, una delle resistenze alle DCR è stata, da parte di alcuni, proprio quella di una contraddizione con una pratica professionale (medica e infermieristica soprattutto) che avrebbe “supportato” un gesto illegale e, agli occhi di questi critici, per definizione dannoso. Questo passaggio, dunque, assume un valore che diventa da solamente pragmatico (essere in presenza vuol dire educare a un uso sicuro, fornire materiale sicuro, intervenire in caso di overdose o altri danni), anche paradigmatico: le pratiche professionali si relazionano con un “gesto” non più ambivalente, noto ma lasciato nell’ombra della dimensione individuale, che è ora incluso tra quei comportamenti umani a cui dare il proprio contributo professionale in termini di pratiche di salute.

In secondo luogo, le DCR spostano con forza l’attenzione sul fattore setting: le ricerche condotte sia presso gli operatori che con i clienti, mettono bene in evidenza come le DCR non siano percepite solo come una somma di prestazioni funzionali all’uso sicuro, ma siano prima di tutto descritte come un luogo, un setting d’uso che crea le precondizioni non solo per prevenire rischi e danni, ma per ri-orientare le stesse pratiche di uso, attraverso la qualità dell’ambiente (l’igiene), ma anche il contenimento dell’ansia, dell’esposizione, del rischio del controllo (Percey, 2014; Woods, 2014). Come tutte le politiche innovative delle città dagli anni ’90 in poi, è progressivamente sempre più evidente come sia la creazione di setting adeguati a minimizzare il rischio e il danno la strategia più vincente, e come questo implichi, da subito, un lavoro sulla percezione sociale mirato al consenso a favore di luoghi per il consumo accettati dalla società locale.

Ciò che è risultato nel tempo interessante del modello DCR, come si dice anche più avanti, è che, avendo un doppio obiettivo, la salute di chi consuma e il governo della città, cioè l’interesse degli “altri” cittadini, esse incarnano e suggeriscono la fine di una contrapposizione tipica del modello proibizionista, quella tra interessi dei primi e interessi dei secondi, ricucendo una prospettiva non più a “somma zero”, ma di incremento del benessere collettivo.

Efficacia delle DCR e combination intervention

Gli studi di efficacia delle DCR rispetto agli obiettivi di salute dichiarati sono ormai numerosi (Belackova&Salmon, 2017; EMCDDA, 2018; Hedrich, 2004; Hedrich, Kerr, &Dubois-Arber, 2010; Kimber, Palmateer, Hutchinson, Hickman, Goldberg, &Rhodes, 2010; Stover, 2002). Maggiori evidenze vi sono per quanto concerne l’uso sicuro delle sostanze, soprattutto rispetto a comportamenti adeguati nelle pratiche di assunzione, uso di materiali sterili (inclusi quelli per inalazione), e cessazione dello scambio di siringhe tra consumatori, dati che riguardano non solo, come ovvio, le assunzioni nell’ambito delle DCR, ma i comportamenti che i consumatori adottano sempre, anche nel loro consumo in altro contesto (Dubois-Arber, Benninghoff, &Jeannin, 2008). Secondo l’EMCDDA, questo risultato è in funzione del lavoro educativo, della durata e della frequenza dell’accesso a una DCR e dell’agire in sintonia degli altri servizi frequentati (EMCDDA, 2004). Più incerte e difficili da rilevare sono le evidenze circa la prevenzione delle sieroconversioni da HIV e HCV dovuta alle DCR, anche se gli studi sull’uso sicuro sono una variabile proxy significativa (Stoltz, Wood, Small, Li, Tyndall, Montaner, & Kerr, 2007; Milloy& Wood, 2009).Un recente studio del International Network of Drug Consumption Rooms, mirato ad analizzare l’intervento delle DCR sulla trasmissione dell’HCV, ne rileva la funzione positiva in termini non solo di educazione all’uso sicuro, ma anche di effettuazione di test, consulenza, facilitazione al trattamento, invio a servizi specialistici, con la prospettiva dichiarata dagli operatori di ampliare e sviluppare queste attività (INDCR, 2018). Per quanto concerne la prevenzione delle morti per overdose, alcuni studi condotti in Europa ne verificano l’efficacia (EMCDDA, 2004; Kerr, Tyndall, Lai, Montaner, &Wood, 2006). Uno studio sulle DCR tedesche stima che ogni anno queste prevengano dieci morti per overdose (EMCDDA, 2010). E, naturalmente, su milioni di atti di consumo effettuati ogni anno nelle DCR europee, non si è verificato un solo caso di morte per overdose, mentre “dati clinici ed epidemiologici mostrano che è realistico che una quota delle overdose trattate nelle DCR sarebbe stata fatale se fosse avvenuta in altro ambiente” (Hedrich, Kerr, &Dubois-Arber, 2010, p. 315). Non secondario poi, un obiettivo di secondo livello, il contatto e l’ingresso in trattamento dei clienti delle DCR, grazie all’azione ponte svolta dagli operatori.

Ripercorrendo gli obiettivi di salute pubblica delle DCR, ciò che emergecon evidenza è come sia limitante valutarne l’efficacia fuori da uno sguardo di approccio e di sistema. Uso sicuro, prevenzione delle malattie trasmissibili, prevenzione delle overdosi e delle morti per overdose, contatto con i servizi per il trattamento e inclusione sociale sono obiettivi tanto più raggiungibili quanto più le politiche locali di RDD operano in ottica di ciò che l’EMCDDA definisce combination intervention, cioè “un sistema di interventi integrati realizzati sulla base dei setting locali e degli specifici bisogni della popolazione dei consumatori” e dei loro modelli di consumo. L’EMCDDA porta ad esempio virtuoso di limitazione di rischi e danni un sistema locale che possa contare su programmi di scambio siringhe, drug checking, terapie metadoniche a bassa soglia di accesso, distribuzione di naloxone, risk assessement, outreach per il contatto con le popolazioni più sommerse, peer support per l’attivazione delle risorse dei consumatori, interventi con le persone detenute o ex detenute; interventi che interagiscono e si potenziano, arrivando anche a popolazioni differenti. Un sistema locale che, poi, si avvalga di politiche in grado di attivare le comunità locali, integrare e coinvolgere gli attori locali, sociali e istituzionali, creare setting a minor rischio (Rhodes&Hedrich, 2010). Combination intervention, in sintesi, significa uscire dalla logica della “prestazione” o della singola tecnostruttura sanitaria, per abbracciare una politica integrata e multisettoriale.

Le DCR e la mitigazione dell’approccio securitario nelle città

Già nel 1996, JuergenWeimer, coordinatore dei servizi tossicodipendenze della municipalità di Francoforte, una delle città che già negli anni novanta più investiva sulle DCR, coniugava con chiarezza questo doppio obiettivo, osservando che “Le safe injection rooms sono un naturale sviluppo dei servizi a bassa soglia. […] Il primo obbiettivo è la salute dei tossicodipendenti, ma c’è anche l’esigenza di rendere accettabile all’intera popolazione il fenomeno della droga di strada. Agli inizi degli anni ‘90 i parchi erano diventati le “scene della droga”, e non era piacevole camminare fra le persone che si iniettavano l’eroina” (Zuffa, 2003, p. 5). “Accettare la droga di strada” a livello sociale diventa un obiettivo di mediazione sociale, propone uno sguardo altro rispetto a quella ciclica “dispersione della scena aperta” con continue e iatrogene azioni di polizia su cui l’approccio law and order andava già allora registrando i suoi fallimenti (Bless, Korff, & Freeman,1995), senza contare gli effetti perversi sui consumatori in termini di invisibilità, etichettamento e maggior rischio sociale e sanitario (Decorte, 2004).

Alla citata Conferenza delle Città, a Francoforte, l’allora assessore alla Sanità della città tedesca, Margarethe Nimisch, commentando i limiti delle rituali azioni di controllo da parte della polizia, affermava: “E’ necessario creare zone non sottoposte al controllo di polizia in modo che le droghe non debbano essere consumate nella toilette di una stazione o dietro un cespuglio e nell’androne di un condominio ma in luoghi igienici e protetti” (Brandoli& Ronconi, 2007, 113-114). Nella prospettiva di Nimisch, poi via via adottata da molte altre città, le DCR da un lato dichiarano il loro intento di controllo sociale – limitando la scena aperta del consumo e il suo impatto visivo o di nuisance – ma dall’altro evidenziano come un controllo sociale possa limitare o sostituire il ricorso al controllo penale.

Le DCR entrano dunque in scena come una delle risposte alternative possibili per consentire- come efficacemente scrive Rhodes – “in quanto interventi pragmatici verso un contesto di uso più sicuro, di minimizzare l’intervento della polizia e rendere il contesto, a livello di singoli e comunità, competente nelle pratiche di riduzione dei rischi” (Rhodes, Kimber, Small, Fitzgerald, Kerr, Hickman, &Holloway, 2006). Questa sottolineatura sullo slittamento dal controllo poliziesco alle competenze sociali di governo del fenomeno da parte di tutti gli attori, a cominciare dai consumatori stessi, (anche) grazie a un modello operativo di intervento, è importante, perché se le DCR vengono viste come “contenitore per svuotare le strade e le piazze”, in una sorta di cortocircuito tra medicalizzazione e controllo, il rischio è elevato, sia in termini culturali e sociali, sia di efficacia. Culturali e sociali, perché si contraddice e depotenzia la capacità delle politiche di RDD di “ricucire” legame sociale, adottando le DCR come “luogo sociale” e socialmente riconosciuto, un cambio di passo verso la normalizzazione del consumo e non, di contro, come una sua nuova istituzionalizzazione. Il tema è controverso e cruciale, e sta alla base del confronto tra diverse prospettive adottate tra i tanti modelli di DCR, che miscelano, in diverse soluzioni operative, i differenti ingredienti tra offerta socio sanitaria, promozione di inclusione e controllo (Haemig&Fromberg, 2000). Come per altro è vero sempre per le politiche di RDD, per le DCR è particolarmente emblematico che un sistema di interventi sia guidato da una politica e da un approccio che ne informino il più ampio modello operativo, non relegandolo ai contenuti da sola “tecnostruttura”.

Ma “quale “modello delle DCR è cruciale anche in termini di efficacia: le stanze non cancellano il consumo nei setting naturali, lo limitano e mitigano e lo governano in parte (EMCDDA, 2004), e lo fanno tanto più quanto più sono accessibili, hanno alta copertura, sono adattate ai bisogni e ai tempi dei frequentatori, sono accettabili dai consumatori in termini di regole e relazioni. Senza questa centralità del consumatore nel dettare organizzazione e gestione, gli esiti sono fallimentari, come bene evidenziano gli studi di valutazione effettuati nel tempo: «Il grado in cui si riesce a ridurre o contenere una scena aperta dipende dalla sufficiente capacità delle DCR a rispondere alla domanda dell’utenza» (Kemmesis, 1999; Stover, 2002). E non dalle restrizioni di polizia sul consumo a scena aperta che invocano le DCR come “luogo deputato e unico” per il consumo. Proprio la città di Francoforte ha fornito già negli anni ’90 questa evidenza: tra il 1994 e il 1995, le tre DCR allora operanti, con una copertura complessiva di 100 ore a settimana, erano del tutto insufficienti sia a rispondere alle esigenze degli utenti, che ad avere un impatto significativo sulla scena aperta; dal 1996, una quarta DCR ha portato la copertura a 300 ore alla settimana, e insieme al potenziamento di servizi come dormitori e drop in, ha incluso un numero elevato di clienti e reso visibile la riduzione dell’uso nei luoghi pubblici (Kemmesies, 1999; EMCDDA, 2004; Brandoli&Ronconi 2007). Questa riflessione sul potenziale “di normalizzazione” dei consumi e inclusione dei consumatori della RDD è del resto sempre aperta: essa centra il nodo della direzione empowering delle politiche e dei sistemi di RDD, direzione che può essere garantita solo “tenendo a bada” la deriva medicalizzante e centrando su un paradigma socio culturale che metta i sistemi di intervento al servizio di una strategia di governo sociale dei fenomeni, che appunto significa, con Rodhes, abilitare gli attori e le loro competenze (Zuffa &Ronconi, 2017).

Anche su questo secondo obiettivo delle DCR la letteratura dimostra evidenze significative (EMCDDA, 2004; MSIC Evaluation Committee, 2001). L’avvio di molte DCR è stato accompagnato dalla resistenza degli abitanti, ma ciò che si osserva nel medio periodo è, di contro, un alto livello di accettazione, qualora vi sia un attento lavoro sul consenso, sul monitoraggio, sulla valutazione e comunicazione dei risultati e, importante, un adeguato e esplicito sostegno politico da parte delle amministrazioni locali (Kemmesis, 1999; Stover, 2002; Hedrich, Kerr, &Dubois-Arber, 2010; EMCDDA, 2018). Riduzione del numero di episodi di consumo a scena aperta e del numero di siringhe disperse sul territorio; diminuzione di episodi di nuisance e disturbo ai residenti; la verifica dell’assenza di un incremento di furti o altri danni nei dintorni di una DCR: sono questi i fattori che fanno registrare una crescente accettazione sociale. L’esperienza insegna che risultati limitati o alcuni effetti indesiderati sono correlati a una bassa efficienza del modello o dell’organizzazione adottati, e dunque sono modificabili: la giusta ubicazione, orari sufficientemente variati, ampia copertura, regole di accesso facilitanti, che limitano l’attesa, tutti questi sono fattori che aumentano l’efficacia anche dal punto di vista del controllo. La vicinanza al mercato illegale non può fare delle DCR una soluzione definitiva dei problemi di urban nuisance, ma certo ne limitano l’ampiezza.

Come già osservato per gli obiettivi di salute pubblica, anche per gli obiettivi di governo urbano l’approccio di combination intervention è cruciale: le DCR sono potenziate nei loro effetti o viceversa depotenziate se portano con sé quello slittamento enfatizzato da Rhodes, per cui le azioni di dispersione delle scene aperte, concentrate o frammentate che siano, da parte della polizia si “ritirano” (diventano estrema ratio) a favore di un controllo sociale formale che con i consumatori interagisce e media.

Dalle città alle politiche globali

La natura locale delle DCR, se permane tale, sartoriale, anche negli attuali percorsi di progettazione e implementazione, non ha tuttavia impedito un processo di accreditamento delle DCR sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Si è trattato di un processo bottom up (dalle città alle politiche globali) e step by step (dai protocolli sperimentali alle linee guida dell’EMCDDA). Come già osservato, la rete delle città europee ne ha prima sperimentato il modello, per poi mandarlo a regime e proporlo in ambito di politiche nazionali. Con la rete delle città della Conferenza di Francoforte, nel 1990, e poi con l’ampliamento e rafforzamento del correlato network European Cities for Drug Policy (ECDP) [3]Lo ECDP includeva, oltre alla città fondatrici della Conferenza di Francoforte, anche ad Arnhem, Basilea, Hannover, Lucerna, Rotterdam, Zagabria. Il congresso annuale richiamava rappresentanti di 58 … Continue reading. Questa rete lavorò fino all’anno 2000, consegnando al nuovo secolo l’avvio di politiche ‘ordinarie’ di governo del fenomeno all’insegna della riduzione mirata di danni specifici. “Nel tentativo di mantenere un paradigma della complessità e di non chiudere “crimes and nuisance” in un paradigma seccamente securitario, le città dell’ECDP si sono collocate nell’ambito di un paradigma di riduzione del danno, vedendo in esso tanto un approccio multidimensionale, quanto pragmatico, quanto – ancora – ‘building bridges’ (Buning, 1993), cioè capace di gettare ponti tra gruppi sociali diversi, tra istituzioni diverse, tra diverse percezioni del fenomeno. Le DCR sono state protagoniste importanti di questo processo, proprio per quel building bridges tra le dimensioni diverse del fenomeno e delle relative risposte, e per la promozione di uno slittamento verso la salute pubblica e un indebolimento dell’approccio law and order. Le città inquadrano i loro interventi sperimentali in un paradigma, in una politica, non si limitano a pensare una serie di “servizi innovativi”: le affermazioni sui limiti e gli effetti iatrogeni della predominanza del penale e sull’inadeguatezza delle politiche abstinence oriented fondano la prospettiva di una politica radicalmente diversa (“La politica sulla droga che assume esclusivamente a strumento di intervento il codice penale e l’obbligo all’astinenza è fallimentare, a fronte di una domanda crescente [di droghe ndr], di condizioni di salute precarie, di morti e infezioni, dello sviluppo esponenziale del mercato illegale e del crescente malessere delle popolazioni delle città, a causa del traffico locale di droghe e dei reati correlati” (Conferenza delle città europee al centro del traffico di droghe 1990, 1). Un sistema di servizi avrebbe potuto non travalicare i confini municipali, un approccio diverso alla politica locale sulle droghe finisce con l’interrogare pressantemente i governi nazionali: già nel 1993 le città chiedono ai governi tre interventi, a sostegno delle loro politiche: supporto legale, finanziario e organizzativo dagli stati centrali per l’attuazione delle misure innovative di RDD; decriminalizzazione dell’acquisto possesso e consumo di cannabis e controllo legalizzato del commercio; depenalizzazione del consumo, possesso e acquisto di modiche quantità di tutte le sostanze. Sul ruolo delle città, del resto, già nel 1990 le idee erano chiare: si legge negli atti della Conferenza di Francoforte che “E’ difficile pensare a una politica delle droghe vincente senza un coordinamento tra le città europee. Dobbiamo lavorare insieme. E siccome le droghe illegali non sono diffuse in modo omogeneo sul territorio ma si concentrano nelle grandi città, possiamo parlare con grande autorevolezza e competenza anche per una formulazione delle politiche nazionali e internazionali”. Peter Cohen sottolinea che “La riforma delle politiche sulle droghe è locale (…), è indissolubilmente legata alle culture e alle politiche locali. Non ci sono al mondo due sistemi di politiche di limitazione del danno che siano uguali. La riforma della politica sulle droghe prima sperimenta e poi differenzia e si articola progressivamente a livello locale. C’è riforma solo laddove i cambiamenti si confrontano con le originali specificità dei contesti e dei vincoli locali. Persino sotto il più brutale dei regimi proibizionisti, a livello locale i riformatori possono essere la voce di quanti chiedono un cambiamento. Dai quartieri, dalle città, dalle comunità locali e dalle regioni, la riforma può, poi e forse, arrivare alle capitali nazionali e internazionali” (Cohen 2003, p. 213).

L’ECDP nel 1998 fornisce l’agenda aggiornata dell’evoluzione locale delle politiche in sedici città, spingendo per una messa a regime degli interventi che si vanno dimostrando efficaci: le DCR sono tra questi (ECDP, 1998). La novità è che questo studio è sostenuto dalla Commissione Europea, e attraverso esso le DCR – che entrano nella scena europea, citate in buona parte delle politiche municipali, sia come attive che come studi di sperimentazione.

Nel confronto-scontro con i governi nazionali, il tema dello spazio legale entro cui inscrivere le DCR è tema cruciale, dati i vincoli posti dalle legislazioni nazionali, che sanzionano la propaganda o la facilitazione al consumo di sostanze illegali. Maggiore spazio hanno le città di paesi in cui non vige l’obbligatorietà dell’azione penale, e in cui una mediazione a livello locale, con accordi municipali con polizia e magistratura, offrono grande flessibilità. Ma anche tutti i paesi, la maggioranza, dove l’obbligatorietà vige, trovano la loro strada: la priorità della tutela della salute individuale e pubblica sopra ogni altro obiettivo è l’appiglio utile a uscire dall’impasse normativa. È qui, in questa necessità, che le DCR si connotano fortemente come “servizi professionali” e sanitari, un’enfasi non scevra dai rischi di un eccesso di medicalizzazione, che detta anche le caratteristiche del loro modello operativo e organizzativo (Woods, 2014) [4]Per una disamina delle strategie adottate dalle città europee per superare i vincoli legislativi, vedi in Brandoli& Ronconi (2007), cit..

Nel 2004, esce il primo studio dell’EMCDDA nel merito, con poche evidenze, ancora, ma con una attenzione specifica e un’intenzione dichiarata verso una ricerca più approfondita, cosa che avverrà fino a portare all’attuale inclusione delle Stanze tra gli interventi più significativi delle politiche europee di RDD. La cornice politica di questo primo studio è fornita dalla Strategia europea (in quella 2005-2012 si cita esplicitamente la riduzione dei danni correlati), mentre bisogna arrivare al 2008 per trovare un Piano d’azione che esplicitamente include la RDD come “pilastro delle politiche” comunitarie, con un significativo divario temporale tra città e comunità scientifica da un lato, politica dall’altro. E tuttavia va ricordato che altre istituzioni comunitarie avevano precocemente dialogato con le città, con la società civile e con la comunità scientifica: il Consiglio d’Europa, già nel 2003 aveva incluso la RDD in una sua Risoluzione e aveva impresso una svolta significativa verso quelle mildes policies che hanno caratterizzato l’Europa nello scenario internazionale (Consiglio d’Europa, 2003.) E il Parlamento Europeo aveva invitato a ripensare le politiche comunitarie nel 2004, dopo aver registrato il fallimento del Piano d’azione 2000-2004 (Parlamento Europeo, 2004).

Intanto, le DCR escono dall’Europa. Approdano in Australia e Canada, dove si sviluppano esperienze che diventeranno punto di riferimento virtuoso a livello globale (Hedrich, Kerr, &Dubois-Arber, 2010) e, soprattutto, impatteranno il dibattito globale in sede ONU, dove il fronte della war on drugs contesta all’Europa proprio le politiche di RDD, e le DCR in modo particolare, arrivando in alcuni momenti a contestare una contraddizione con le Convenzioni internazionali. Ad esempio, alla fine degli anni novanta, nel momento della dichiarazione dell’obiettivo di “un mondo libero dalla droga”, lo International Narcotics Control Board-INCB (l’organismo che sovrintende all’applicazione delle Convenzioni ONU sulle droghe) critica radicalmente Olanda e Svizzera (ma anche alcuni Lander tedeschi) per i programmi di trattamento con eroina e, appunto, le DCR, che diventano emblema dello scontro tra politiche globali proibizioniste e modello europeo per politiche bilanciate a favore della salute pubblica (Brandoli&Ronconi, 2007).

Uno scontro che non farà arretrare l’Europa, e che non fermerà l’implementazione delle DCR anche fuori dai confini europei.

Solo nel 2016 lo INCB, nel suo Report annuale, cede almeno in parte alle evidenze, grazie al dialogo con il governo danese, e dichiara le DCR ammissibili, a patto che siano ponte verso il trattamento e non siano considerate una alternativa ai programmi di riduzione della domanda (INCB, 2016).

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Note

Note
1 Tre i macro obiettivi delle DCR secondo EMCDDA: fornire un ambiente sicuro per l’assunzione di droghe; migliorare lo stato di salute di chi consuma; ridurre l’impatto sull’ordine pubblico (EMCDDA, 2010).
2 In Italia le DCR non sono operative, e nemmeno è mai stato avviato alcun protocollo sperimentale per la loro implementazione. L’unico percorso in questa direzione è stato tentato nella città di Torino, su spinta delle associazioni per la riduzione del danno, approdando a una commissione municipale nel merito, che però non ha approvato la sperimentazione (Comune di Torino, 2003; Ronconi 2002, 2004, 2007). Sempre in Piemonte, una proposta di DCR elaborata dalla ASL 5 di Torino e presentata alla Regione Piemonte nel 2004 non ha avuto esito (Brandoli & Ronconi, 2007).
3 Lo ECDP includeva, oltre alla città fondatrici della Conferenza di Francoforte, anche ad Arnhem, Basilea, Hannover, Lucerna, Rotterdam, Zagabria. Il congresso annuale richiamava rappresentanti di 58 città di 14 paesi. Nessuna città italiana ha mai aderito formalmente all’ECDP, anche se le città di Catania e Empoli e le province di Teramo, Roma e Forlì hanno, nel tempo, partecipato come osservatori. L’ECDP è stata attiva come rete transcomunale fino al 2000, quando le politiche di RDD sono entrate “a regime”.
4 Per una disamina delle strategie adottate dalle città europee per superare i vincoli legislativi, vedi in Brandoli& Ronconi (2007), cit.

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