In Puglia un teatro “fatto in casa” è spazio per la comunità

Giuseppe D’Oria, 43 anni, pugliese di Sava (Taranto), dieci anni vissuti a Torino e studi in Filosofia, ha tatuato sul braccio una celebre frase di Arthur Rimbaud, l’àmour est à réinventer (l’amore è da reinventare), manifesto della visione rivoluzionaria del poeta francese che immaginava una società fondata su rapporti umani più autentici, meno dominati dal denaro e dai modelli borghesi.

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Nel tentativo di applicare l’utopia di Rimbaud, una volta tornato a Sava, D’Oria ha ristrutturato la vecchia casa dei nonni e costruito un teatrino chiamato Casa131 (come il numero civico), ricavando in fondo alla sala un piccolo alloggio che divide con il gatto bianco Franz. Oggi la sua vita è qui, in un terratetto di via Carlo Poerio diventato avamposto culturale.

Senza denari

D’Oria non ha una famiglia facoltosa che sovvenziona le sue velleità artistiche. In questa storia non ci sono eredità, rendite o colpi di fortuna, ma l’ostinazione di dare forma a un’idea e vederla danzare. Nessuna ambizione o desidero di arricchirsi, solo la convinzione di voler fare ciò che piace. “Con pochi soldi a disposizione ho fatto quasi tutto da solo – racconta a lavialibera –, pezzo dopo pezzo, ascoltando i suggerimenti di mio padre che prima di ammalarsi faceva il muratore”.

Dietro al progetto non c’è nessuna ambizione o desidero di arricchirsi, solo la convinzione di voler fare ciò che piace

La ristrutturazione è durata quattro anni, un’eternità. “Per trovare il denaro ho lavorato in campagna, ho fatto il tecnico del suono per gli artisti della zona e ristrutturato mobili d’epoca. Mi pagavano e subito spendevo: impianto elettrico, idraulico, palco, tinta alle pareti e così via. I lavori sono iniziati nel 2016 e terminati nel 2020, quando è cominciata la pandemia. Ero pronto a partire, ma il covid ha bloccato tutto e il primo spettacolo è andato in scena soltanto nel 2022”.

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Casa131 si sviluppa su un centinaio di metri quadrati: ingresso, palco con luci di scena e una sala rettangolare con vecchie sedie recuperate da parenti, amici e conoscenti. Sul muro del camerino riservato agli artisti è appeso un antico specchio da teatro acquistato da un rigattiere. Il tavolo dove pranzavano i nonni completa l’arredo. È tutto qui.

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Gli spettacoli si tengono ogni venerdì alle 21, la tessera per i soci (Casa131 è un’associazione di promozione sociale) costa 10 euro e dura un’anno. L’ingresso è gratuito, a fine esibizione un cappello passa tra gli spettatori e ognuno può lasciare un’offerta libera. “Il cappello è accogliente, non respingente. E apre a un pubblico che magari non potrebbe permettersi altri teatri. Per ciascun spettacolo riusciamo a raccogliere circa 300 euro, il 70 per cento va all’artista e il resto a me. Con quei soldi pago le bollette, la Siae e faccio la spesa”.

L’ingresso è gratuito, a fine esibizione un cappello passa tra gli spettatori e ognuno lascia un’offerta libera

Non serve un esperto in economia per capire che Casa131 non è un modello vincente di business, ma a D’Oria non importa. Negli anni ha imparato a vivere con poco: le offerte a cappello sono sufficienti per tenere in piedi il teatrino e garantire la programmazione, il resto dei soldi arriva da lavori saltuari.

Cultura per tutti

“Casa131 è nata da un’esigenza personale: vedere teatro. A Sava e dintorni non ci sono spazi che propongono stagioni stabili. Qui in paese non ho mai visto un teatro aperto e nella vicina Manduria l’ultimo ha chiuso più di vent’anni fa. Chi vuole assistere a uno spettacolo deve andare a Taranto o a Martina Franca, che sono distanti”.

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L’esigenza personale sembra però avere intercettato quella della comunità. Grazie al passaparola, al tempo e all’ostinazione gli spettacoli sono quasi sempre sold out e attorno al teatrino è nata una piccola cerchia di spettatori e artisti. “Mi piace pensare che Casa131 sia un luogo di resistenza culturale e umana in un territorio che oltre a bar, pizzerie e slot machine non offre molto. Vedere artisti che hanno calcato palchi più importanti accettare il cappello senza la garanzia di un cachet adeguato mi riempie d’orgoglio. Molti di loro credono all’etica che sta dietro al progetto e sono affascinati dall’idea di portare il teatro dove non c’è. È un grande regalo che fanno a me e alla comunità”.

“Mi piace pensare che qusto sia un luogo di resistenza culturale e umana in un territorio che oltre a bar, pizzerie e slot machine non offre molto”

Casa131 è anche un modo singolare di intendere la vita, per molti incomprensibile. “Un po’ romanticamente è la realizzazione fisica della mia idea di stare al mondo, senza rincorrere forsennatamente gli obiettivi. Le ambizioni di vent’anni fa non sono andate via, si sono solo trasformate; continuo a scrivere i miei spettacoli, ma senza ossessioni. Non ho mai pensato di diventare ricco, altrimenti avrei preso strade diverse. E poi, a pensarci bene, il successo è anche vivere una vita che non ti è insopportabile”.

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