Cannabis, l’esempio di Praga e Berlino
L’articolo di Leonardo Fiorentini su l’Unità del 31 luglio 2025.
Con la firma, nei giorni scorsi, del Presidente Petr Pavel sulla riforma del Codice penale, la Repubblica Ceca è diventata il quarto paese dell’Unione Europea a depenalizzare la coltivazione e l’uso personale di cannabis.
A partire dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore la piena decriminalizzazione delle condotte legate all’uso personale di cannabis, inclusa la coltivazione domestica. Sarà consentito coltivare fino a 3 piante e detenere fino a 100 grammi di cannabis in casa e 25 grammi in pubblico. Quantità superiori – fino a 5 piante o 200 grammi – saranno considerate reati minori, mentre oltre queste soglie scatteranno sanzioni più severe. La riforma introduce inoltre importanti novità in ambito medico: viene legalizzato l’uso terapeutico della psilocibina, in linea con le più recenti tendenze cliniche.
Il governo di Praga aveva già depenalizzato, fin dal 2010, il possesso di piccole quantità di cannabis. Ma oggi la Repubblica Ceca si unisce ufficialmente a Malta, Lussemburgo e Germania nel gruppo dei paesi UE con leggi avanzate in materia, aprendo anche alla prospettiva di un futuro mercato regolamentato, con negozi specializzati e coltivazioni autorizzate. Per ora, tuttavia, il paese rimane nei limiti consentiti dal diritto comunitario: le normative europee, almeno nelle interpretazioni più restrittive, non autorizzano un sistema legale di produzione e vendita, ma consentono la non punibilità dell’uso personale.
La Germania, ultima in ordine cronologico ad affrontare una riforma in questo ambito, si è anch’essa fermata al primo pilastro del progetto del precedente governo (SPD, Verdi e Liberali), che aveva ipotizzato anche la sperimentazione di una piena regolamentazione legale. Con il ritorno della Große Koalition tra CDU e SPD, nonostante le richieste di un dietrofront da parte dei conservatori durante la campagna elettorale, per ora si parla solo di una possibile revisione della legge da avviare in autunno. Intanto, la nuova Ministra della Salute Nina Warken (CDU) ha invece annunciato l’intenzione di restringere l’accesso alla cannabis terapeutica, escludendo la prescrizione da remoto e la consegna a domicilio.
Anche i cannabis social club tedeschi stentano a decollare. La legge prevede un massimo di 500 soci per club, con obbligo di distribuzione fuori da logiche commerciali. A fronte di 293 club autorizzati, solo 106 sarebbero effettivamente attivi, frenati da burocrazia e requisiti restrittivi variabili tra i Länder. Nella conservatrice Baviera, ad esempio, nonostante le numerose richieste, nessuna autorizzazione è stata ancora concessa. Così, chi non può, non vuole o non sa coltivare resta ostaggio del mercato illegale – che, al contrario, non ha bisogno di particolari autorizzazioni per prosperare.
Negli Stati Uniti cominciano ad addensarsi nubi scure all’orizzonte. Dell’ordine esecutivo firmato da Trump contro le sale del consumo e a favore dei trattamenti coercitivi per chi fa uso di droghe si è già scritto su queste pagine. È invece ancora sospeso il processo di riclassificazione della cannabis dalla tabella I alla III della legge federale sulle droghe, avviato da Biden due anni fa ma ancora bloccato dalla burocrazia. Ora la decisione spetta alla nuova amministrazione Trump. Durante le audizioni per la sua conferma al Senato, Terrance Cole – candidato di Trump alla guida della DEA – non ha fornito indicazioni chiare, nonostante il parere favorevole già espresso dal Ministero della Salute. Evasiva la sua risposta: “esaminerei i fatti e le circostanze e seguirei la legge e le politiche del dipartimento”. In altre parole, deciderà Trump. Pur in passato dimostratosi favorevole alla riclassificazione, come sappiamo il suo pensiero sulla questione potrebbe cambiare da un giorno all’altro.
Mentre nel mondo, con gli alti e bassi del caso, continuano quindi le spinte verso modelli più razionali e scientificamente fondati in materia di politiche sulle droghe, l’Italia sembra restare indietro, imprigionata in un approccio repressivo anacronistico. Le speranze si aggrappano per il momento all’Europa, in particolare nel settore della canapa industriale, messo sotto pressione dal decreto sicurezza.
Non ci sono solo le 10 pagine che l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha dedicato nella sua relazione alle criticità della norma del decreto sicurezza che vieta le infiorescenze non psicoattive. Uno spiraglio importante sembra arrivare da Bruxelles. In Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo è stato approvato un testo di compromesso sulla nuova PAC, in cui si afferma che “coltivazione, raccolta, trasformazione e commercializzazione dell’intera pianta di canapa per fini industriali devono essere legali in tutta l’UE”. L’accordo, che entrerà comunque in vigore nel 2028, dovrebbe prevedere anche l’innalzamento del limite massimo di THC nelle piante di canapa legale finanziabili dall’UE dallo 0,3% allo 0,5%.
Le esperienze di riforma in Repubblica Ceca e Germania, seppur con limiti e contraddizioni, mostrano che un’altra strada è possibile. Una via che riconosce i diritti, promuove la salute pubblica e sottrae spazio al mercato illegale. È tempo che anche il nostro Paese apra finalmente un dibattito serio, laico e informato sulla regolamentazione della cannabis e delle sostanze, guardando all’Europa non solo come vincolo, ma come opportunità.
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