#StoryKillers: IrpiMedia racconta l’industria globale della disinformazione

Nel mondo iperconnesso dell’informazione digitale, decisamente non è più solo la verità a fare notizia, anzi. La capacità di manipolare ciò che circola online è diventata un’arma potente, venduta al miglior offerente. L’inchiesta internazionale #StoryKillers, coordinata da Forbidden Stories e pubblicata in Italia da IrpiMedia, svela i meccanismi e i protagonisti dell’industria della disinformazione: una rete globale fatta di agenzie occulte, bot, campagne coordinate e strategie legali per cancellare o alterare la memoria pubblica. Il progetto coinvolge oltre cento giornalisti da trenta testate di tutto il mondo, ed è nato per continuare – e onorare – il lavoro della giornalista indiana Gauri Lankesh, assassinata nel 2017 per le sue inchieste su disinformazione e campagne d’odio. Riassumiamo i punti chiave dell’inchiesta e invitiamo tutti quelli che volessero approfondire a consultare la pagina “Assassini di storie” sul sito di IrpiMedia.
L’idra della disinformazione
La disinformazione, secondo il paragone con cui si apre l’inchiesta, è un’idra moderna: ogni testa è una strategia diversa, ma tutte mirano a distorcere la realtà.
La disinformazione è un’idra contemporanea di cui ancora non si conosce il modo per evitare che ricrescano le sue teste. In tanti cercano di sconfiggerla, ma sembra che sia sempre capace di moltiplicare le fake news.
Dai troll online alle notizie false, dalla manipolazione degli algoritmi fino alla censura attraverso le vie legali, le forme sono molteplici e in continua evoluzione. Il problema non è solo la falsità delle informazioni, ma la loro capacità di circolare indisturbate, generando sfiducia, odio e polarizzazione. L’idra si nutre dell’opacità e della velocità con cui le informazioni viaggiano: mentre il giornalismo fa verifiche, approfondisce e investiga, la disinformazione corre e si moltiplica, potendosi permettere di diffondere esattamente il contenuto adatto allo scopo che vuole raggiungere perché non è in alcun modo vincolata all’aderenza alla realtà o alla correttezza delle informazioni.
Eliminalia, la lavanderia della reputazione online
Tra i casi più eclatanti dell’inchiesta c’è quello di Eliminalia, società spagnola che offre un servizio apparentemente legale: ripulire la reputazione online dei propri clienti. In realtà, secondo quanto documentato da IrpiMedia, i metodi utilizzati sono tutt’altro che trasparenti. Eliminalia invia richieste (false) per violazioni di copyright, manipola documenti e simula identità per spingere Google e altri motori di ricerca a rimuovere articoli veritieri ma scomodi. Una pratica che, seppure mascherata da tutela della privacy, diventa nei fatti un sistema per censurare la libera informazione.
Team Jorge: disinformazione su commissione
Tra le rivelazioni più inquietanti c’è quella di Team Jorge, un’organizzazione che vende servizi di manipolazione dell’informazione e influenza delle elezioni. Giornalisti sotto copertura sono riusciti a parlare direttamente con l’ideatore del gruppo, che ha mostrato strumenti digitali capaci di gestire migliaia di account falsi in simultanea. Questi profili vengono usati per diffondere narrazioni fuorvianti e mirate, attaccare avversari politici e spostare il consenso pubblico. Il tutto, dietro compensi che possono arrivare a centinaia di migliaia di dollari. Non si tratta più di “semplice” disinformazione, ma di un’industria strutturata e remunerativa.
Il diritto all’oblio come arma contro l’informazione
Nato per proteggere le persone da contenuti obsoleti o dannosi, il diritto all’oblio viene sempre più spesso strumentalizzato per cancellare notizie legittime. L’inchiesta mostra come individui e società ricorrano a vie legali per rimuovere articoli scomodi, anche quando sono veri e di interesse pubblico. Così, una norma pensata per tutelare la privacy diventa un mezzo per riscrivere la propria immagine e mettere a tacere le voci critiche. Il confine tra tutela dei diritti e censura si fa sempre più sottile, così sottile che spesso viene oltrepassato senza che nessuno batta ciglio.
In conclusione
L’inchiesta #StoryKillers non solo espone un sistema sofisticato e pervasivo di disinformazione globale, ma ci invita a riflettere sul ruolo del giornalismo, sull’etica della comunicazione e sulla fragilità della verità nell’era digitale. Ci troviamo di fronte a un contesto in cui la realtà può essere comprata, cancellata o distorta con pochi clic, con strumenti sempre più sofisticati, che non si fermano nemmeno quando a rischio c’è la vita delle persone o la tenuta delle nostre democrazie; il tutto per un giro di denaro sempre più consistente. il diritto a un’informazione libera e verificabile diventa più che mai una questione democratica. Sapere chi manipola i fatti è il primo passo per difendere noi, i fatti e la nostra società.
redazione at butac punto it
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