Altro che Oscar, No Other Land è da Nobel
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Resistere nella valle del Giordano: la nostra fotoinchiesta
Perché raccontare se non cambia nulla?
No Other Land non è solo il racconto di ciò che succede, ma anche una metanarrazione su informazione, giornalismo e attivismo capace di parlare anche oltre i (calpestati) confini della Cisgiordania
“Ho cominciato a filmare quando è iniziata la nostra fine”, esordisce l’attivista palestinese Basel Adra, nella doppia veste, insieme al giornalista israeliano Yuval Abraham, di protagonista e regista. Sono proprio i dialoghi tra i due, alternati alle scene delle demolizioni e della resistenza nonviolenta della popolazione palestinese locale, a fare di questo film qualcosa di più di un documentario. Perché No Other Land non è solo il racconto di ciò che succede, ma anche una riflessione disincantata e irrisolta sul senso di raccontarlo, una metanarrazione su informazione, giornalismo, attivismo online e offline capace di parlare anche oltre i (calpestati) confini della Cisgiordania occupata. Sullo sfondo, una domanda, che interroga chiunque abbia a che fare con qualsiasi ingiustizia, e in particolar modo chi con l’autore di questo articolo condivide la professione: che senso ha raccontare se poi non cambia nulla?
Abituarsi al fallimento
“Se documentiamo, gli Stati Uniti faranno pressione su Israele perché smetta”, dice Basel quando, armato di una videocamera amatoriale, inizia a riprendere i bulldozer israeliani che radono al suolo case, scuole, pollai, recinti per le pecore, i soldati che sequestrano gli attrezzi da lavoro e i camion betoniera che sversano cemento nei pozzi. Non passerà molto tempo prima che realizzi che agli Stati Uniti, come anche al resto del mondo, importa poco della sorte di qualche centinaia di palestinesi, perlopiù pastori, sparsi tra una decina di villaggi nelle colline semidesertiche a ovest del Giordano. Così, l’eccitazione tipica di chi pensa che qualche migliaio di visualizzazioni possa cambiare il corso degli eventi lascia presto spazio a un rassegnato realismo, quando non alla frustrazione. E sarà lo stesso Basel a rimproverare a Yuval il “troppo entusiasmo”: “Devi abituarti al fallimento”, gli dice il giovane palestinese di ritorno dall’ennesima giornata passata a filmare i soprusi dell’esercito israeliano.
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Attivismo e resistenza
Anche quello di Yuval è un progressivo risveglio alla realtà: se all’inizio misura il successo del lavoro di documentazione guardando alle visualizzazioni che gli articoli e i filmati delle demolizioni raccolgono online e sui social, presto arriva a chiedersi: “Magari vedono il video e si commuovono, e poi?”. L’esperienza del giovane giornalista parla anche della difficoltà dell’essere “alleato”: disconosciuto a casa propria perché solidale con i palestinesi, ma guardato con diffidenza anche dagli abitanti di Masafer Yatta, che continuano a chiedergli conto delle azioni del “suo” esercito e ricordargli che non potrà mai condividere fino in fondo la loro lotta, perché “tu sei sicuro di poter tornare a casa la sera”, forte della targa gialla che permette agli israeliani di muoversi liberamente dentro e fuori la “linea verde”. È la differenza che passa tra attivismo e resistenza, tra l’impegno (pur necessario) di chi decide di mettere in gioco il proprio privilegio per battersi per le ingiustizie patite dagli altri e la lotta per la sopravvivenza di chi invece non ha altra scelta, tolta quella di arrendersi.
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Più dell’Oscar, ci vorrebbe il Nobel
No Other Land è la storia fatta e raccontata dal basso, dai “piccoli”: le donne e gli uomini di Masafer Yatta, ma anche i soldati israeliani che sfrattano e demoliscono seguendo gli ordini dell’onnipresente e misterioso Ilan, a sua volta passivo esecutore di decisioni prese altrove, fuori dalla portata delle telecamere. L’unico “grande” a comparire, attraverso filmati d’archivio, è Tony Blair, protagonista di una visita a Masafer Yatta nel 2009, quando era inviato speciale per conto del Quartetto per il Medio Oriente, formato da Onu, Stati Uniti, Unione Europea e Russia. Basteranno sette minuti di passeggiata dell’ex primo ministro britannico, con giornali e televisioni internazionali al seguito, per fare ciò che la resistenza nonviolenta dei palestinesi tentava da anni: bloccare la demolizione della scuola del villaggio.
“Non vogliamo suscitare pena o pietà, ma invitare all’azione, esortare tutti a unirsi alla nostra lotta contro l’occupazione”Basel Adra
Allora, mentre la violenza dell’esercito israeliano e dei coloni continua a scandire le giornate di Masafer Yatta, anzi si fa sempre più intensa, c’è da sperare che la presenza agli Oscar abbia lo stesso effetto: spostare, anche solo per un attimo, l’attenzione del grande pubblico verso quell’angolo di mondo e spingere chi può a fare qualcosa, fosse anche solo parlarne. Lo ha scritto lo stesso Basel in un editoriale sul giornale israeliano indipendente +972 Magazine: “Non vogliamo suscitare pena o pietà, ma invitare all’azione, esortare tutti a unirsi alla nostra lotta contro l’occupazione”. Eppure, la statuetta dorata non renderebbe giustizia all’esperienza di resistenza nonviolenta che No Other Land racconta e rappresenta in sé. Più che l’Oscar, forse, Basel meriterebbe il Nobel per la pace.
Da lavialibera n° 31, È tempo di muoversi