Roccella Ionica, sbarchi da record. Chiesto lo stato di emergenza

Roccella Ionica, sbarchi da record. Chiesto lo stato di emergenza
Sbarchi da record e operatori in difficoltà a garantire dignità ai migranti in arrivo. Succede sulle coste calabresi e in particolare a Roccella Ionica, cittadina di poco più di 6mila abitanti lungo la costa della Locride, dove nelle scorse settimane il sindaco ha chiesto lo stato di emergenza. Negli ultimi quattro mesi, secondo le stime offerte dalla prefettura di Reggio Calabria, sono stati in tutto 55. Quaranta nel solo Porto delle Grazie di Roccella Ionica. Nel mese di ottobre, come specifica lo stesso comune, “sono stati 11 gli sbarchi che hanno richiesto assistenza per 1.254 migranti. Più del totale di quelli giunti nel 2020”. Numeri che sommati agli arrivi registrati da inizio anno portano a un totale di 3.250 (oltre quattromila in tutta la regione): “quasi nove volte il numero di migranti del 2019 e più del doppio di quelli giunti nel 2020”.

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Il maltempo degli ultimi giorni ha determinato una tregua, tanto che l’ultima operazione risale allo scorso 26 ottobre. Cinquanta persone, in prevalenza di origine afghana, dopo aver viaggiato a bordo di un’imbarcazione a vela sono state soccorse dalle motovedette della Guardia costiera e dirottate al porto di Reggio Calabria dopo una delicata operazione di trasbordo complicata da un mare forza sette.

Roccella Ionica, un unicum nazionale

Al molo di Roccella Ionica i volontari di Croce Rossa e Protezione Civile si occupano della prima accoglienza rispondendo alle esigenze primarie, fornendo acqua e vestiti. “Tra gli ultimi arrivati abbiamo avuto anche un bambino di pochi mesi che non mangiava da giorni o una donna che ha accusato un malore a causa di una ipotermia, sbarcata coi vestiti completamente zuppi d’acqua”, racconta Concetta Gioffrè, presidente del comitato Riviera dei Gelsomini della Croce Rossa e da anni impegnata, insieme agli altri volontari, nelle operazioni primo soccorso per le persone che sbarcano a Roccella Ionica. Appena le motovedette giungono al punto di attracco le autorità provvedono al fotosegnalamento e all’identificazione delle persone soccorse. Ai migranti viene asseggnato un numero e man mano si dispongono in fila per essere sottoposti al tampone per il Covid 19 da parte degli operatori di Usca e Usmaf. Subito dopo vengono fatti sedere sul pontile in attesa di trasferimento o ricollocazione. “Mentre prima vedevamo una bella sinergia da parte della rete di supporto alle persone che arrivavano, nell’ultimo periodo facciamo fatica a coordinare il tutto. Alle condizioni attuali non c’è più possibilità di dare la massima dignità dell’accoglienza”.

“Le operazioni erano gestibili finché arrivavano in pochi, ma coi numeri recenti è diventato difficile anche separare le aree per isolare i positivi” Concetta Gioffrè – presidente del comitato Riviera dei Gelsomini della Croce Rossa 

In assenza di strutture ministeriali, le persone sbarcate venivano fatte transitare in un immobile poco distante dal porto, messo a disposizione dal Comune con una capienza di circa 120 posti. La struttura si compone di due piani ed è munita di bagni chimici e tende nel cortile esterno per separare i Covid-positivi. Il tempo medio di permanenza non superava le 48 ore e il successivo smistamento avveniva nei centri di accoglienza – come ad esempio il Cara di Crotone, tra i più vicini – o sulle navi quarantena a largo delle coste siciliane. Operazioni “gestibili finché arrivavano in pochi, ma coi numeri recenti è diventato difficile anche separare le aree per isolare i positivi”.

“Negli ultimi giorni, complice anche il maltempo – dice Antonella Ierace, volontaria della Protezione Civile di Caulonia – la struttura non è più agibile”. Gli sbarchi devono ora essere “gestiti in giornata direttamente alla banchina del porto, alla tensostruttura allestita per l’evenienza, per poi essere smistati entro la sera in base alla destinazione assegnatagli dalla prefettura”. Il 20 ottobre, il sindaco Vittorio Zito ha scritto alla prefettura chiedendo venisse dichiarato lo “stato di emergenza”: “Da tempo segnaliamo che questa situazione costituisce un unicum nazionale nella gestione dei flussi di migranti che giungono sulle nostre coste (…) Solo per la distribuzione del cibo affrontiamo una spesa complessiva di 160mila euro” a cui si aggiungono le spese ulteriori per acqua, medicine e kit vestiario. “Abbiamo modo di ritenere che nel corso del 2021 le spese impegnate dal Comune per la gestione degli sbarchi supereranno la cifra di 300mila euro”. Il Viminale ha già annunciato nuovi finanziamenti oltre all’attivazione di un hotspot entro il prossimo anno. “Le tempistiche esatte dipendono dal progetto che verrà presentato e dai lavori che dovranno essere eseguiti per l’adeguamento della struttura”, dice il prefetto Massimo Mariani.

Nel frattempo ci si prepara per i prossimi approdi: “Basta assistere a uno sbarco per capire cosa affrontiamo quotidianamente – aggiunge Gioffrè –. Non possiamo non diventare affabili quando quei bimbi già dalla barca cominciano a salutarci. È naturale, è impossibile non farsi coinvolgere emotivamente”. Tra le storie che colpiscono di più quelle delle persone che portano addosso i segni delle torture libiche. Ci sono madri che affrontano la traversata insieme ai figli, ma anche tanti minori non accompagnati. “Nessuno si avventurerebbe a rischiare la vita in mare, specie le donne coi propri figli. Nessuno rischierebbe la vita di suo figlio lanciandolo su una nave, affidandolo a persone sconosciute, se nei paesi d’origine non ci fossero situazioni così difficili”, conclude Ierace. 

Dietro l’aumento, più crisi internazionali

La crisi in Afghanistan e il conseguente incremento di partenze dalla Turchia hanno avuto un forte impatto sugli sbarchi. Su queste rotte si muovono gli scartati di altri territori e traiettorie, come testimonia la composizione mista dei passeggeri delle imbarcazioni. Per la maggior parte arrivano in Calabria migranti di origine afghana, irachena, iraniana, siriana e (soprattutto nell’ultimo mese) egiziana. Un quadro più chiaro del tipo di arrivi che seguono le principali rotte, due, che puntano le coste calabresi, si ricava dal report Dal mare al carcere pubblicato lo scorso 15 ottobre da Alarm Phone in collaborazione con Arci Porco Rosso di Palermo. Qui viene raccontato “il percorso dei cosiddetti scafisti analizzando e quindi denunciando la criminalizzazione della migrazione”.

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“Se la rotta libica – si legge – è stata oggetto di moltissima attenzione e analisi in questi anni, è nostra convinzione che lo sia stata a discapito della rotta orientale, quella che concerne le coste adriatiche e ioniche”. Da un lato, dunque, la “rotta orientale”, “attiva fin dai primi anni 90”, che comprende, tra gli altri, gli arrivi con partenza dalla Turchia. “È caratterizzata da diversi fattori geopolitici e storici” che la rendono “la porta più costante per l’accesso marittimo dei migranti provenienti dal Medio-Oriente e dall’Asia centrale all’Italia”.

Dalla rotta ionica si registra un aumento degli arrivi: si tratta di barche a vela, di fibreglass, ad alto costo e con pochi passeggeri

La rotta ionica con partenza dalla Turchia ha visto registrare, in particolare negli ultimi mesi, “l’arrivo di persone su barche di vario tipo, soprattutto in seguito alla guerra siriana”. A fronte delle particolarità della rotta, in prevalenza “si tratta di barche a vela, di fibreglass, ad alto costo e con pochi passeggeri”. Caratteristiche che corrispondono ai dati. Il giorno nero degli sbarchi al porto di Roccella Ionica è stato lo scorso 21 ottobre quando “si sono registrati 6 sbarchi per un totale di 672 persone”. Intorno alle 9.15 del mattino sono sbarcati in 28 di nazionalità afgana, irachena e iraniana che avevano viaggiato in un’imbarcazione a vela intercettata circa 60 miglia a largo della costa. “Quello in barca a vela si potrebbe definire un viaggio di serie A – racconta Gioffrè –. Questo non toglie che ci sia capitato anche di trovare imbarcazioni a vela dove le persone venivano sistemate a strati, gli uni sugli altri”. Il costo del viaggio è di diverse migliaia di euro. Alcuni esempi si possono trovare nelle testimonianze rese agli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria dai passeggeri di un’imbarcazione partita dalla Turchia e intercettata a largo di Brancaleone il 20 settembre 2019. “Dopo aver preso contatti con un trafficante di nome Sazdar – racconta Mohammad, giunto in Turchia dall’Iran insieme alla moglie e due figli nel 2014 – questo mi chiedeva 7mila dollari per raggiungere un paese europeo”, per un viaggio che vedrà una durata di sei giorni. Stessa cifra pagata da Kamaran, che in Turchia era arrivato dall’Iraq per via aerea, allo stesso modo di Zrar che afferma di aver “reperito il contatto del trafficante attraverso un account Facebook”.

Dall’altro lato c’è la rotta egiziana. Il 19 ottobre a Roccella Ionica si registra lo sbarco più consistente dell’ultimo periodo: 298 persone di cui oltre 100 provenienti dall’Egitto. “La rotta egiziana – si legge sempre nel report – collega l’Egitto alla Grecia e all’Italia meridionale”. È molto lunga e “richiede barche più grandi per sopravvivere alla traversata”. Su questo tratto vengono intercettati perlopiù pescherecci, enormi carcasse di legno mangiate dal tempo e dall’uso. Molte di queste si trovano sotto sequestro nel cosiddetto “cimitero delle imbarcazioni” al porto di Reggio Calabria dove aspettano di essere demolite. 

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