Meloni si schiera con Cl e riapre un’antica ferita
Rosy Bindi: “Il governo non accetta il confronto e sminuisce il parlamento”
“Voi, che siete rimasti fedeli al carisma del vostro fondatore, non avete mai disprezzato la politica. Anzi. Non vi siete rinchiusi nelle sacrestie nelle quali avrebbero voluto confinarvi, ma vi siete sempre ‘sporcati le mani’. Declinando nella realtà quella ‘scelta religiosa’ alla quale mezzo secolo fa altri volevano ridurre il mondo cattolico italiano”, ha detto in un passaggio la premier, raccogliendo applausi scroscianti. Per chiarezza e per ristabilire la verità storica, penso sia necessario fare un passo indietro e fornire elementi per capire quale componente del mondo cattolico Meloni ha tentato di liquidare con pochi ma precisi passaggi del suo discorso.
I credenti al bivio
Negli anni Settanta, nel cattolicesimo italiano, emerse una forte tensione attorno al modo in cui i credenti dovevano collocarsi nella vita politica e sociale. L’alternativa si giocava su due registri distinti. Da una parte, l’istanza della “presenza” (Comunione e liberazione), che poneva l’accento sulla visibilità e l’identità del cristiano nella società. Cl, nata dal carisma di don Luigi Giussani, insisteva sull’urgenza di non diluire la fede nelle dinamiche politiche, ma di affermarla come fattore originale e irriducibile.
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La priorità non era la mediazione partitica, ma la testimonianza comunitaria capace di generare opere, aggregazioni e una cultura che interloquisse con la società civile e politica senza “appiattirsi”. Il rischio di questa impostazione era e resta che l’impegno diretto del movimento finisca per strumentalizzare il messaggio cristiano per logiche di potere o di schieramento, anziché proporlo come fermento evangelico.
Dall’altra, l’istanza della “mediazione” (Azione cattolica e del cattolicesimo democratico) che, forte della sua tradizione di accompagnamento ecclesiale e formazione dei laici, privilegiava la via del discernimento e del dialogo, favorendo la capacità di mediare valori evangelici e istanze civili dentro il sistema democratico. Ciò implicava lavorare per obiettivi politici, capaci di articolare proposte legislative e cercare un equilibrio tra ispirazione cristiana e pluralismo democratico.
In quest’ottica, la “scelta religiosa” dell’Ac mise fine all’esperienza del collateralismo con il partito dei cattolici, rafforzando l’autonomia dell’agire della Chiesa
In quest’ottica, la “scelta religiosa” dell’Ac mise fine all’esperienza del collateralismo con il partito dei cattolici, rafforzando l’autonomia dell’agire della Chiesa, puntando a formare laici maturi nella fede, capaci di discernere e assumersi responsabilità civili e politiche in autonomia, secondo la loro coscienza (cf. Gaudium et spes, nn. 74-76).
Nel discorso della premier, sul banco degli imputati è finita proprio l’Azione cattolica italiana, storica associazione del laicato del nostro Paese che, nella scia del Concilio vaticano II rinnovò il suo statuto nel 1969. Il presidente in quella stagione di rinnovamento era Vittorio Bachelet, professore universitario barbaramente giustiziato dalle Brigate rosse quando era vicepresidente del Csm, quella svolta fu ispirata e approvata da Paolo VI, oggi Santo.
Dobbiamo essere ribelli per amore della democrazia e della Costituzione
In tempi storici di grande cambiamento, l’Ac non fece una scelta intimistica, non si rifugiò nelle sacrestie, ma con la Chiesa del Concilio volle riscoprire la centralità del Vangelo, da cui tutto il resto prende significato. Come diceva Bachelet: quando l’aratro della storia scava a fondo è necessario gettare seme buono. Quel seme è il Vangelo dal quale tutto il resto prende significato, anche l’impegno culturale, sociale, politico.
Per l’Ac, il servizio al mondo passa attraverso la formazione alla responsabilità personale e civile. L’impegno è vissuto nella comunità civile e politica, nelle istituzioni, nella cultura, secondo criteri di laicità e discernimento. L’impegno politico è assunto dal singolo che si assume la responsabilità delle sue scelte senza chiamare in causa l’Associazione e soprattutto la Chiesa, che devono restare libere di annunciare il Vangelo a tutti, anche a chi fa scelte politiche diverse.
Vorrei che la presidente Meloni avesse più rispetto del pluralismo che caratterizza il movimento cattolico italiano e, soprattutto, non coltivi il seme della divisione
È vero, l’Ac non ha dato vita ad opere visibili, non gestisce scuole o alberghi, la sua presenza associativa è nella chiesa locale, ma i suoi aderenti sono ovunque, in ogni ambiente di vita, di lavoro, di volontariato, di impegno culturale. In questi anni non si contano gli amministratori locali che si sono formati in azione cattolica, alcuni di loro sono consiglieri e assessori regionali, altri hanno rappresentato il Paese in parlamento e lo hanno servito con incarichi di governo.
Vorrei che la presidente Meloni avesse più rispetto del pluralismo che caratterizza il movimento cattolico italiano e, soprattutto, non coltivi il seme della divisione emettendo giudizi sommari su l’una o l’altra delle sue componenti per ricevere un applauso più lungo. Vorrei che lei e la platea di Rimini ricordassero il contributo che i cattolici hanno offerto, prima alla Resistenza e dopo alla stesura della nostra Costituzione sia sui principi fondamentali che sull’impianto istituzionale, a partire dalla centralità del parlamento, l’autonomia della magistratura e l’unità della Repubblica.
Rosy Bindi: “Una nuova Liberazione è possibile”
Il cardinale Martini definì quello di Bachelet un martirio laico, perché non fu ucciso mentre proclamava la fede, ma quando serviva i valori di democrazia, di libertà, di pace. Quando serviva la Costituzione. Forse questo è il modo giusto di sporcarsi le mani. Espressione da usare sempre con prudenza, quando si parla di politica.
Da lavialibera N° 35
