Mario Paciolla, due anni senza verità. La mamma: “Non crederemo mai alla tesi del suicidio”

Mario Paciolla, due anni senza verità. La mamma: “Non crederemo mai alla tesi del suicidio”
“Non crederemo mai alla tesi del suicidio. Mi aveva persino già chiesto di fargli trovare in frigo le freselle col pomodoro per il suo rientro, programmato cinque giorni dopo”, dice a lavialibera Anna Paciolla, la mamma di Mario: il cooperante italiano al lavoro per le Nazioni unite in Colombia che è stato trovato morto nel suo appartamento a San Vincente del Caguán il 15 luglio del 2020. Due anni di lotta per i genitori del 33enne napoletano che lanciano un appello a chi lavorava insieme al ragazzo: “Non vi chiedo di fare gli eroi ma, anche per vie riservate e prendendo tutte le cautele necessarie, di restituirci la verità sulle ultime ore di nostro figlio”. La famiglia raccomanda anche di seguire la commemorazione prevista oggi alle 18 nel convento di San Domenico Maggiore, a Napoli, per “aggiornamenti sulla vicenda”.

“Ai colleghi di Mario faccio un appello: non chiediamo atti eroici ma, anche per vie riservate e prendendo tutte le cautele necessarie, di restituirci la verità sulle ultime ore di nostro figlio” Anna Paciolla

Perché la tesi del suicidio non convince

Per le autorità colombiane e per l’Onu il giovane si sarebbe impiccato con un lenzuolo. Ma sono tanti i punti ancora non chiari della vicenda mentre le indagini della procura di Roma, date quasi per concluse un anno fa, sembrano essersi arenate. Tra gli elementi che rendono poco convincente l’ipotesi del suicidio, con cui è stato derubricato il caso oltreoceano, c’è la quantità di sangue trovata nella stanza di Mario, sproporzionata rispetto ai tagli presenti sui suoi polsi, e soprattutto la pulizia della casa coordinata dall’allora responsabile sicurezza della missione Onu, Christian Leonardo Thompson, oggi a capo del Centro operazioni di sicurezza dell’organizzazione.

“La sua stanza è stato completamente ripulita dopo 24 ore, facendo sparire tutto ciò che sarebbe stato utile alle indagini. I protocolli Onu richiedono il rispetto di norme molto rigide in queste circostanze e non riusciamo a capire come mai sia stato commesso un errore così grossolano, se vogliamo chiamarlo errore” Anna Paciolla

Proprio con Thompson Mario avrebbe parlato al telefono poche ore prima di morire. “L’ambiente – prosegue Anna Paciolla – è stato completamente ripulito dopo 24 ore, facendo sparire tutto ciò che sarebbe stato utile alle indagini. I protocolli Onu richiedono il rispetto di norme molto rigide in queste circostanze e non riusciamo a capire come mai sia stato commesso un errore così grossolano, se vogliamo chiamarlo errore”.

La morte del 33enne collaboratore dell’Onu, avvenuta il 15 luglio scorso, resta ancora un mistero. Familiari e amici chiedono sia fatta luce. Sullo sfondo, le ombre del processo di pace in Colombia

E poi c’è quel biglietto che Mario aveva in tasca: il biglietto del volo di ritorno nella sua città, Napoli. Sarebbe dovuto partire da Bogotà il 20 luglio, cinque giorni dopo la morte, e – racconta Anna –  “mi aveva persino già chiesto cosa fargli trovare in frigo. Voleva le freselle, quelle al finocchietto, con il pomodoro”. Causa pandemia, avrebbe viaggiato su un volo umanitario, per cui “solo le Nazioni unite hanno potuto preparargli i documenti necessari al viaggio”.

Dalle Brigate internazionali di pace all’Onu: la vita di Paciolla in Colombia

La mamma di Mario racconta di un ragazzo “pieno di vita, con tanti interessi: dal giornalismo, su cui aveva fondato la propria personalità, al cinema. Amava il Napoli, ballare i latino americani, ed era un salutista che si curava molto”. Attivo fin dai tempi dell’università, l’Orientale, per “dare voce agli ultimi”, aveva iniziato a interessarsi della Colombia nel 2015, quando aveva seguito un corso delle Brigate internazionali di Pace (Pbi), organizzazione non violenta canadese che offre protezione ai difensori dei diritti umani nelle zone a rischio del pianeta.

“Mario aveva in tasca il biglietto del volo di ritorno a Napoli: sarebbe dovuto partire da Bogotà il 20 luglio, cinque giorni dopo la morte, e mi aveva persino già chiesto cosa fargli trovare in frigo. Voleva le freselle, quelle al finocchietto, con il pomodoro”.Anna Paciolla

Dal 2016 si era stabilito a Bogotà e tornava in Italia solo per le vacanze. “Non siamo mai andati a trovarlo – dice Anna –, non ne abbiamo avuto le possibilità, e poi Mario ce l’ha sempre sconsigliato”. Per le Pbi, Paciolla coordinava l’ufficio di Bogotà e faceva da scorta di interposizione ai leader sociali minacciati, come la giornalista Claudia Julieta Duque. Un’attività che l’aveva fatto diventare un profondo conoscitore del territorio. Nel 2018 era iniziata la sua collaborazione con l’Onu, sulla “quale in casa manteneva il più assoluto riserbo”.

Le indagini su un bombardamento e i timori di Mario

Grazie alle indagini del giornale El Espectador sappiamo che il 33enne napoletano aveva fatto ricerche su un drammatico avvenimento successo nel Paese sudamericano il 29 agosto del 2019. Quel giorno l’esercito colombiano ha bombardato l’accampamento di Rogelio Bolivar Cordova, comandante di una cellula di dissidenti delle Farc, che non aveva accettato il disarmo stabilito con un accordo di pace firmato nel 2016 tra il governo e i vertici dell’organizzazione guerrigliera comunista. Mario aveva scoperto che nell’attacco erano morti anche sette minorenni. Una tragedia che ha determinato un terremoto politico, portando alle dimissioni dell’ex ministro della difesa Guillermo Botero, accusato di aver omesso la presenza di non maggiorenni tra le vittime.

“Negli ultimi tempi era sempre più preoccupato, mi aveva confidato che lo volevano fregare. Ma era un cooperante a progetto e pensavamo a problemi di lavoro”Anna Paciolla

La vicenda avrebbe generato delle tensioni anche all’interno delle stesse Nazioni Unite tra chi festeggiava la caduta del ministro e chi temeva possibili ritorsioni da parte delle forze armate colombiane. Inoltre, a informare il senatore dell’opposizione Roy Barreras, che ha denunciato pubblicamente il massacro, di quanto accertato dalle verifiche Onu sarebbe stato il responsabile Onu regionale, Raul Rosende: una decisione non concordata con Ruiz Massieu, capo di tutte le missioni di verifica dell’Onu in Colombia, a causa della sua presunta vicinanza con il governo di Ivan Duque Marquez.

L’inviato del Tg3 Valerio Cataldi ricorda Mario Paciolla, professionista della pace

Di certo, Mario negli ultimi tempi era sempre più preoccupato e i suoi rapporti con l’organizzazione si erano incrinati tanto che – racconta nel suo ricordo scritto per lavialibera Valerio Cataldi, inviato del Tg3 che Paciolla aveva accompagnato in parte del suo viaggio in Colombia – gli unici posti in cui il cooperante non era riuscito a farlo entrare erano quelli gestiti dalle Nazioni Unite. Le preoccupazioni erano diventate visibili anche a mamma Anna, cui aveva confidato che “lo volevano fregare”. “Ma – spiega – pensavamo che il problema riguardasse la possibilità di proseguire il lavoro e che, essendo un cooperante a progetto, magari temesse una recensione negativa da parte dei superiori”.

L’inchiesta della procura di Roma a un punto fermo

L’avvocato Emanuela Motta, che sta seguendo il caso insieme alla collega Alessandra Ballerini, fa sapere di non avere alcuna novità sul corso delle indagini della procura di Roma, che sembravano quasi concluse un anno fa. Stando a quanto riporta Domani, sono state fatte sette rogatorie per ottenere la collaborazione delle autorità colombiane, ma al lavoro mancano ancora dei pezzi. Contattata da lavialibera, la procuratrice Lucia Lotti, che sta coordinando l’inchiesta, si trincera dietro un “no comment”. Anna Paciolla dice di aver piena fiducia nella procura italiana che “si sta impegnando per raggiungere la verità”.

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