La salute in carcere è un diritto
Nessuno dei provvedimenti sulle carceri adottati a seguito della sentenza «Torreggiani» del 2013 ha sanato i «trattamenti disumani e degradanti» denunciati dalla Corte europea dei diritti umani. La decisione della Cedu era relativa al 2009, quando in Italia erano ristrette quasi 70mila persone a fronte di una capienza regolamentare nazionale di circa 45mila letti. Quella situazione illegale era principalmente dovuta al combinato disposto della legge ex-Cirielli sulla recidiva del 2005 e della Fini-Giovanardi sulle droghe del 2006.
Né i decreti «svuota-carceri», né la cancellazione di buona parte delle nuove proibizioni sugli stupefacenti avvenuta nel 2014 grazie alla Corte costituzionale hanno fatto sì che le carceri italiane rientrassero nella legalità. Anzi, negli anni, oltre ad aggravanti tipo l’omicidio stradale, si sono create nuove fattispecie di reato, norme anti-rave, deturpazione di patrimonio artistico ecc, e indurite pene anche per condotte senza vittima in onore a un’agenda politica basata sulla costruzione e proiezione di pericolosità percepite.
I dati del Ministero della Giustizia dicono che al 31 luglio 2024 c’erano 61.133 persone ristrette in strutture che ne possono contenere sì e no 45mila, con un’occupazione del 131%. A fronte di tutto ciò, l’ultimo decreto carceri ha creato l’ennesimo commissario all’edilizia carceraria, previsto l’assunzione di un paio di vertici apicali del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di mille agenti per i prossimi due anni e, forse, la scarcerazione anticipata per un centinaio di persone anziane. Non solo troppo poco e troppo tardi, ma anche non in linea con l’articolo 27 della Costituzione che prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
La mancanza di misure per garantire strutturalmente il diritto alla salute nelle carceri ha portato l’Associazione Luca Coscioni a diffidare 102 Asl affinché adempiano al proprio compito di provvedere a sopralluoghi presso le strutture penitenziarie di loro competenza al fine di «apprezzare obiettivamente le circostanze relative alle effettive condizioni di igiene e delle esigenze di profilassi, impegnandosi altresì ad informare, come è nelle proprie facoltà istituzionali, i competenti ministeri della Salute e della Giustizia, nonché a fornire tutti i servizi socio-sanitari ai detenuti e di attivarsi immediatamente qualora tali servizi non rispettino gli standard imposti dal legislatore e oggetto di plurime contestazioni da parte degli organi giurisdizionali» nazionali e internazionali.
È onere della Azienda sanitaria competente accertare, anche con visite ispettive agli istituti di pena, che le condizioni di igiene siano rispettate e, in caso contrario, intervenire per interrompere eventuali gravi mancanze. Se si mettono i sigilli ad un esercizio commerciale non a norma, perché non a un carcere?
Nell’anno in cui i suicidi in carcere hanno già raggiunto la tragica cifra di 67, a cui vanno aggiunti i sette agenti penitenziari che si sono tolti la vita, e in cui non passa giorno che non si leggano le denunce pubbliche dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà o notizie di stampa e resoconti di visite ispettive che fanno emergere una situazione di patente violazione strutturale del diritto alla salute delle persone ristrette in Italia, le istituzioni competenti non se ne interessano.
Dolersene non basta. Nel caso in cui le diffide dovessero cadere nel vuoto, le autorità competenti regionali e cittadine verranno interessate con altri strumenti perché la salute in carcere è un diritto e non adoperarsi neanche per verificare se e come sia fatto rispettare potrebbe configurarsi come una «omissione di atti di ufficio».
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