Hikikomori: la causa non è internet, ma la società violenta

Hikikomori: la causa non è internet, ma la società violenta

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In che cosa consiste il ritiro sociale di tanti adolescenti che scelgono, deliberatamente, di rinchiudersi in casa? Che cosa significa rifugiarsi nella propria stanza, interrompendo la scuola, rinunciando a qualsiasi attività esterna, autoprecludendosi tutti i rapporti sociali a cominciare da quelli più temuti con i propri compagni?

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Cosa vuol dire essere hikikomori

Nella necessità di proteggersi dalla sofferenza che origina dalle relazioni con i coetanei, il ritiro sociale volontario funge inizialmente da Pronto soccorso: fornisce sollievo e consente di tirare il fiato, di chiamarsi fuori da uno stress soverchiante, protratto, accerchiante, divenuto ormai insostenibile. Nel ritiro sociale paure e timori, continue svalorizzazioni e profondo senso di inadeguatezza, tensione cronica per un’esposizione sociale sempre critica, vergogna pervasiva, hanno raggiunto un livello di malessere per cui non rimane che la resa. Si rinuncia al rapporto con l’esterno. Si dà per fallito il compito di sviluppo dell’età: entrare in società, appartenere ad un gruppo di pari, essere riconosciuti al di fuori della propria famiglia.
Il sentimento di non farcela più e di aver esaurito ogni energia di resistenza nel battersi per un proprio posto nel mondo ha vinto. Si issa la bandiera bianca del rintanamento nel guscio regressivo, ma protettivo, della propria stanza. Fuori sono microaggressioni continue, reali o percepite, che costituiscono un trauma psichico, cumulativo  e costante. Giorno dopo giorno, come una goccia che implacabilmente batte sempre sullo stesso punto, l’esperienza crudele della quotidianità scava una ferita sempre più profonda, mina ogni autostima, restituisce un’immagine immeritevole di sé.

L’adolescenza è l’età dello specchio

Ritirarsi è una reazione di difesa, una legittima difesa. “Basta! Non sono gradito, non piaccio, non valgo, perché mai continuare a star male in interazioni da cui si ricava solo insoddisfazioni, frustrazioni, sofferenza acuta e cronica? Mi astengo, mi dimetto, preferisco di no”. Il ritiro volontario è la ricerca e il tentativo di stare meglio. E’ un’autocura per la violenza  di una competizione in cui ci si sente sempre perdenti; è l’unica exit strategy rimasta per non sentirsi ogni giorno annullato in una girandola di rapporti in cui non si è mai considerati, spesso direttamente scherniti, denigrati, a volte deliberatamente emarginati. A ciascuno il suo: può essere un corpo che non risponde agli standard prescritti, un comportamento ritenuto inadeguato, un modo d’essere non conforme, un’eccentricità comportamentale, un modo di abbigliarsi, una qualsiasi diversità di varia natura che fa gioco nelle dinamiche degli specchi e  dell’esclusione sociale.

Hikikomori e internet

Non ci si autorinchiude in casa per rimuginare. Altrimenti il sollievo del ritiro si trasforma nel luogo di un nuovo tormento, di un dialogo interiore tra sé e sé che riprodurrebbe le relazioni sociali di cui ci si vuole liberare. Non ci si rinchiude per pensare e meditare. L’obiettivo è proprio l’opposto: non pensare e rimuovere tutto. Il dolore è anestetizzato se si riesce a non rappresentarselo. Ecco perché il termine “eremita metropolitano” può essere fuorviante. Non c’è la finalità di trascendere la realtà esteriore e i  suoi rapporti mondani, praticando la meditazione. Lo stile di vita da autorecluso richiede dotarsi di un mondo a parte, virtuale, in cui continuare a vivere. Internet  e la tecnologia digitale sono la grande risorsa a disposizione in cui ci si immerge totalmente. Il consumismo digitale riempie le 24 ore: giorno e notte in una stanza in cui non entra quasi mai la luce, con le tapparelle funzionalmente abbassate perché ormai la finestra sul mondo è lo schermo del computer, con la pressoché inevitabile inversione dei ritmi circadiani del sonno e della veglia. Le sensazioni e le emozioni veicolate dal mondo virtuale alimentano (artificialmente?) la vita psichica. Videogiochi, simulazioni di ruolo, intere serie televisive viste e riviste in pochi giorni, interazioni comunicative con un altrove del mondo schermate e mediate dal proprio avatar, conducono a una vita virtuale frenetica, piena, senza vuoti che aprirebbero pericolosi varchi alla riflessione su di sé.

Social: condividere è un affare di famiglia

Quando va bene si ascolta molta musica, si acquisisce un buon livello di listening della lingua inglese, si diventa abili nelle tecnologie digitali, si compete ad alti livelli nei videogiochi e negli sparatutto entrando nei team, si padroneggia il software. Quando va male ci si rivolge di più al cibo e al cibo-spazzatura, si ricorre di più all’alcol e alla cannabis, ci si passivizza davanti allo schermo senza benefici secondari. Tutti i ritirati sociali sono inevitabilmente sedentari; nel ristretto perimetro della loro stanza i movimenti  si riducono dal letto alla poltroncina del computer, e viceversa. E’ il corpo a pagarne il prezzo più alto: sovrappeso e obesità vanno di pari passo con i mesi e gli anni della durata del ritiro sociale.

Perché si diventa hikikomori?

Non ci sono spazi per equivoci: Internet non può essere additata come la causa del ritiro sociale. E’ piuttosto il suo palliativo, la risorsa che consente la sopravvivenza psichica dei ragazzi che si sono autoreclusi. Sottrarre loro lo strumento telematico, pur nelle buone intenzioni di tentare di dar loro una scossa, sarebbe come togliere al naufrago il legno a cui si è aggrappato. L’equivoco è anche quello del ricorso a facili capri espiatori, la tecnologia come nuova dipendenza, che ha la funzione di rimuovere, in questo caso per la società adulta, una più complicata e sofferta riflessione su cosa sono diventati i rapporti sociali, su quali modelli relazionali si sono imposti. Il tema è quello dell’indebolimento delle difese di troppi ragazzi e ragazze, e del divario tra le richieste di prestazioni alta a tutti livelli e ambiti e la capacità effettiva di riuscire ad adeguarsi.

Picchio, dunque sono: il numero speciale de lavialibera dedicato alla violenza e al disagio giovanile

Senza chiamare in causa gli apporti di analisi psico-sociologica che insistono sulla società dell’apparenza e del narcisismo e addentrarsi nelle ripercussioni sul fenomeno del ritiro, ci si limita a ricordare che le determinanti della salute non sono mai individuali, ma affondano in dinamiche sociali che ne sono in parte concausa. L’ approccio scientifico promosso dall’Oms  non disgiunge le dimensioni biologiche da quelle psicologiche e sociali, per cui la scorciatoia di ricondurre il fenomeno del ritiro sociale volontario all’esclusiva dimensione della psicopatologia del singolo individuo risulta riduttiva e fuorviante. La scappatoia è diffusa in quanto sottende una comoda delega agli “specialisti” della gestione di una sofferenza personale e familiare che, per essere  prevenuta e affrontata, richiede invece il coinvolgimento del corpo sociale e delle comunità territoriali, in cui la problematica si esprime e può essere diversamente trattata.

Le trappole del bonus psicologico

Hikikomori in Italia e nel mondo

Il fenomeno hikikomori, codificato in Giappone dove si è manifestata inizialmente la problematica, ritenuta strettamente connessa alle caratteristiche culturali del Paese, è oggi in crescita ovunque, pur con caratteristiche parzialmente diverse. La ricerca condotta da Gruppo Abele e CNR ha cercato di cogliere una dimensione quantitativa che non fosse solo presunta e impressionistica. Realizzata in tempo di Covid, ha sicuramente risentito del ritiro sociale forzato imposto dalla pandemia che, “normalizzando” il comportamento, ha contribuito a una sua accelerazione. Il luogo topico, per un’intercettazione precoce della problematica, è la scuola.

Le parole di Carlo Lucarelli: maestra/maestro

L’attuale assunzione della problematica da parte delle Regioni è a geometria variabile. La certificazione di ritirato sociale, di competenza delle Asl, rimane lo snodo tramite cui è possibile mantenere un rapporto con l’istituzione e la continuità degli studi, superando la rigidità della frequenza scolastica obbligatoria, condizione preliminare per la promozione. Mantenere un ruolo di studente, senza la “prigionia” dell’aula (come viene vissuta dai loro fuggitivi), consentirebbe di non spezzare tutti i fili che collegano la propria esistenza sociale con la propria identità personale: i percorsi di reintegrazione ne avrebbero un  sicuro giovamento.

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