Elezioni Usa, solo la cannabis resiste alla valanga

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La recente tornata elettorale nel Stati Uniti prevedeva, oltre all’elezione del Presidente e al parziale rinnovo del Congresso e del Senato, una serie di “ballot” locali sul fronte droga. Pur se di segno alterno, i risultati confermano il taglio antiproibizionista, riguardo soprattutto alla cannabis. A cominciare dal successo pieno in Kentucky, con l’OK a tutte le 106 ordinanze atte a consentire l’apertura di dispensari in altrettante contee e città: passo necessario onde superare i divieti locali scattati dopo l’approvazione statale, lo scorso anno, della marijuana terapeutica. Oltre 340.000 i voti favorevoli complessivi in giurisdizioni di taglio soprattutto repubblicano, a conferma del sostegno ormai bi-partisan alla riforma delle persistenti restrizioni federali. Queste ordinanze vanno ad aggiungersi alle oltre 40 città che avevano già approvato l’avvio dei dispensari, che inizieranno ad operare nel gennaio 2025, dopo la cernita delle circa 4.000 domande già presentate.

Anche in Nebraska gli elettori hanno detto Sì a due referendum similari (con un netto 70% e 67%), la cui applicazione resta tuttavia in attesa della decisione finale dei giudici per il ricorso presentato dal fronte oppositore. Questo è il terzo tentativo dei promotori per superare simili intoppi, dopo aver presentato in estate quasi 115.000 firme ciascuno a sostegno delle due normative. In Texas, la depenalizzazione per uso personale è passata ad ampia maggioranza nelle città di Dallas, Bastrop e Lockart, nonostante l’opposizione del governatore e del procuratore generale statali. In Oregon il 55% degli elettori ha approvato il “ballot” a sostegno di lavoratori e addetti della cannabis a formare sindacati e concordare contratti di lavoro collettivi. Una misura importante a ulteriore consolidamento di un settore in rapida ascesa, dopo la piena regolamentazione approvata nel lontano 2014.

Niente da fare invece per la legalizzazione della marijuana ricreativa in Florida. Nonostante l’aperto appoggio di Trump e una rigorosa campagna d’informazione, l’Amendment 3 si è fermato al 57%, al di sotto della soglia del 60% necessaria per approvare l’emendamento costituzionale. Pur se diversi poll ne avevano previsto il successo, è risultata decisiva l’opposizione del governatore Ron DeSantis e della maggioranza repubblicana nel parlamento statale. Analogo risultato sia nel South che nel North Dakota: rispettivamente, il 55% e il 52% degli elettori ha detto No alla regolamentazione della cannabis per gli adulti, dopo un identico esito negativo registrato già nel referendum del 2022. Invece in Massachusetts è stata bocciata la Question 4 (58%), mirata a depenalizzare uso, coltivazione e consumo personale di piccole quantità di sostanze quali psilocibina (nei funghi), ibogaina, mescalina e Dimetiltriptammina (DMT). Nonostante il forte impegno degli attivisti e il ritorno di fiamma degli psichedelici in ambito terapeutico, il dato risente della decisione estiva della Food and Drug Administration (FDA) di negare l’approvazione dell’MDMA come coadiuvante della psicoterapia nel trattamento del Disturbo da stress post-traumatico (PTSD), suggerendo maggior cautela e ulteriori studi scientifici.

In California è passata la Proposition 36, misura sostenuta da pubblici ministeri, colossi aziendali e strutture carcerarie che, pur promettendo di offrire terapie per i tossicodipendenti dopo l’arresto, in realtà finirà per sottrarre risorse a prevenzione, reinserimento e riduzione del danno. Come chiarisce la Drug Policy Alliance, “questa sorta di guerra alla droga 2.0 apparentemente offre soluzioni rapide a problemi creati da decisioni politiche sbagliate e dal disinvestimento dai sistemi di supporto sociale. Occorrono invece soluzioni concrete, tra cui servizi d’assistenza, trattamenti basati sull’evidenza e prevenzione diffusa, onde salvare la vita e migliorare le condizioni dei consumatori”.

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