Dietro le proteste in Senegal, le condizioni dei giovani che “ne hanno abbastanza”

Dietro le proteste in Senegal, le condizioni dei giovani che “ne hanno abbastanza”
Dal 3 marzo scorso il Senegal è in subbuglio. Quel giorno Ousmane Sonko, giovane parlamentare tra i principali oppositori del presidente Macky Sall, è stato arrestato con l’accusa di aver violentato una massaggiatrice. L’arresto ha suscitato le proteste dei suoi sostenitori, ma anche di tanti senegalesi – soprattutto giovani – frustrati dalle difficili condizioni di vita, spiega Abdou Khafor, tra i referenti nazionali del movimento senegalese “Y’en a marre” (“Ne abbiamo abbastanza”, ndr) che si batte per la difesa della democrazia.

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In che contesto sono nate le proteste?

Le contestazioni sono nate in un contesto socio-politico ed economico molto difficile per i senegalesi, in particolare tra i più giovani. C’è una povertà cronica, che i regimi che si sono succeduti non sono mai riusciti a risolvere, molto sentita tra i giovani in una popolazione dove i minori di 20 anni rappresentano il 55 per cento. Le misure adottate dal governo per rispondere alla pandemia hanno avuto un impatto negativo sull’economia della maggior parte dei senegalesi la cui attività professionale è informale. Anche sul piano politico molti sono delusi dal regime in carica, che si iscrive nella continuità dei suoi predecessori, cioè la sperequazione, una gestione scandalosa delle risorse del paese, una casta politica intoccabile quindi al riparo della giustizia e dall’altra parte degli oppositori politici sistematicamente messi fuori gara con la complicità della giustizia. Una quotidianità dura per la popolazione che ha accompagnato il secondo mandato del regime di Macky Sall e che perdura tuttora.

Che ruolo ha svolto la pandemia?

“Da quando il presidente Macky Sall guida il nostro paese, le manifestazioni sono sistematicamente vietate. Chi osa ignorare il divieto, per esercitare il proprio diritto costituzionale a manifestare, subisce una violenza inaudita”

Non solo ha accentuato la precarietà di molti senegalesi, ma ha anche sconvolto la vita quotidiana di molti giovani modificando profondamente le loro abitudini. C’è stata una repressione molto violenta da parte della polizia. Una repressione che non risale ai recenti avvenimenti. Durante il primo coprifuoco, nel marzo 2020, molti senegalesi, la maggior parte dei giovani che avevano appena sperimentato una tale misura eccezionale, hanno subito delle repressioni per aver osato uscire dopo le 20. Occorre ricordare che, da quando il presidente Macky Sall guida il nostro paese, le manifestazioni sono sistematicamente vietate. Chi osa ignorare il divieto, per esercitare il proprio diritto costituzionale a manifestare, subisce una violenza inaudita. È uno Stato di polizia con una spinta autocratica presente già prima delle manifestazioni attuali. In un primo momento le forze dell’ordine sorvegliavano e arrestavano i leader di movimenti cittadini sospettati di organizzare manifestazioni, come è successo a Guy Marius Sagna, di Assane Diouf e di Clédore Sène. La repressione si è vista anche il 3 marzo, giorno di inizio delle “Resistenze”, quando molti manifestanti hanno subito l’azione brutale da parte delle forze dell’ordine che hanno sparato proiettili sui civili uccidendo tredici persone e ferendone centinaia, mentre altre centinaia di manifestanti sono tuttora in arresto. E purtroppo, anche se le manifestazioni sono sospese, questa repressione continua sotto forma di una caccia ai manifestanti, spesso pedinati fino a casa.

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La protesta si differenzia dai movimenti spontanei scoppiati in altri paesi, che spesso dopo una fase di grandi manifestazioni, perdono forza e non raggiungono i grandi risultati di cui si facevano portatori. Dal canto vostro sembra invece esserci una testa, o più di una a guida del movimento. Quali sono gli argomenti che guidano la protesta e quale proposta portano? C’è unità?

Sì, questa “resistenza” è particolare. Non siamo tutti animati dallo stesso obiettivo. Certo, l’arresto di Ousmane Sonko è stato l’elemento scatenante, ma altri problemi di tipo economico e sociale sono alla base e questo spiega la diversità dei leader, delle rivendicazioni, ecc. Per quanto riguarda noi di “Y’en a marre”, la nostra posizione è la difesa della democrazia e dello Stato di diritto, e la lotta per una giustizia indipendente. Poiché ogni mobilitazione spontanea non era organizzata, ogni senegalese è uscito senza aspettare una parola d’ordine, per esercitare il suo diritto costituzionale di resistere, che è una buona strategia. In seguito è stato necessario creare una struttura unitaria, ovvero il Movimento di difesa della democrazia (M2D) composto da partiti di opposizione e movimenti sociali, per riportare con più forza le rivendicazioni delle proteste.

Quali sono le proposte?

M2d ha dieci richieste. Le prime tre sono le più urgenti: rilasciare subito e senza condizione tutti i prigionieri politici e annullare tutte le azioni penali contro di loro; istituire una commissione nazionale indipendente, inclusiva e aperta alla società civile, all’opposizione e ai leader religiosi per valutare le riparazioni e i risarcimenti da concedere alle famiglie delle vittime e valutarne la corretta esecuzione e infine porre immediatamente fine al complotto politico-giudiziario contro Ousmane Sonko astenendosi da qualsiasi nuova accusa contro di lui e restituendogli l’immunità parlamentare.

Poi vogliamo un’inchiesta indipendente per processare chi, nelle forze dell’ordine o tra i “teppisti” e miliziani reclutati dal potere, si sia reso colpevole di crimini; fermare la persecuzione degli oppositori; ripristinare i diritti degli attori politici illegittimamente a cui è stato impedito, ad esempio di candidarsi alle elezioni e vogliamo elezioni libere, democratiche e trasparenti. Infine chiediamo che sia impossibile arrivare al terzo mandato, ma anche un audit sulla gestione dei settori sociali strategici quali l’idraulica, in particolare rurale, la sanità e l’istruzione e lo stop immediato dell’accaparramento fondiario.

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Quali sono i rischi nel prossimo futuro se non vengono accettate?

“Ora il presidente ha capito che non ha la stessa libertà di prima. Ha compreso la difficoltà nel far fronte a una nuova ondata di manifestazioni”

A parte i primi tre punti alcune rivendicazioni non sono preoccupazioni rappresentative per l’intero movimento. E obiettivamente ci sono alcuni punti di cui non sono sicuro che il presidente Sall darà un seguito favorevole almeno nell’immediato, da un lato perché molto politico e dall’altro per non perdere la faccia, completamente. Una cosa però è certa: ora il presidente ha capito che non ha la stessa libertà di prima. Ha compreso la difficoltà nel far fronte a una nuova ondata di manifestazioni. Per esempio ci sono state pressioni da parte delle istituzioni religiose che, in quanto regolatori sociali, hanno contribuito alla pacificazione e alle relazioni con gli organismi internazionali. Questo gli ha insegnato la determinazione dei senegalesi e fino a che punto sono disposti a spingersi.

Il Senegal rimane anche un paese chiave per l’intera regione dell’Africa occidentale. Ci saranno le condizioni affinché rimanga un esempio per i paesi vicini? A partire da un cambiamento di rotta democratica nei suoi vertici, per esempio?

L’esemplarità democratica del Senegal nell’Africa occidentale, da anni tanto decantata, non è che un mito davanti al quale ci illudiamo. Le istituzioni democratiche esistono per rappresentare un necessario simbolismo democratico. Ci sono le condizioni per rifare del Senegal un esempio. Questo passerà attraverso un cambiamento di rotta democratica: procedendo a riforme fondamentali delle nostre istituzioni, soprattutto quelle che attualmente appaiono più inadeguate, come il sistema della giustizia e il parlamento.

Dal 2011 tutti gli attori si sono trovati d’accordo sulla necessità urgente di riformare in profondità le nostre istituzioni. Questa constatazione aveva motivato lo svolgimento delle Assise nazionali nel 2011, che il presidente aveva poi raggiunto per firmare le conclusioni. Fin dalla sua elezione nel 2012, di fronte alle pressioni delle varie parti interessate delle Assise per l’applicazione dei loro princìpi, ha deciso di istituire una Commissione nazionale per la riforma delle istituzioni (Cnri), ma la relazione di questa commissione dorme nei suoi cassetti. Questo ci indica il livello della volontà del regime attuale di occuparsi della nostra democrazia moribonda.

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