Cenone di capodanno, quanto costa all’ambiente?

Il cenone di Capodanno è un appuntamento tradizionale per milioni di persone, che la sera del 31 dicembre si ritrovano attorno a una tavola imbandita, aspettando mezzanotte per brindare al nuovo anno. Ogni regione ha il suo menù ricco di specialità locali, ma ci sono pietanze che accomunano tutti, da nord a sud. È il caso, ad esempio, del cotechino con lenticchie, del panettone e del pandoro, immancabili al pari dello spumante. Il cenone è un pasto eccezionale così come il suo apporto calorico. Anche l’impatto ambientale del banchetto – vale a dire l’energia necessaria per produrre le pietanze che ne fanno parte – è più elevato del solito. 

Nulla di male a festeggiare, soprattutto dopo gli ultimi anni segnati dalla pandemia, che hanno strozzato, se non annullato, tutti gli spazi di socialità. Ma se guardiamo alle calorie e alla bilancia, perché non scoprire anche quanto costa all’ambiente un cenone “tipo” – fatto di antipasto, primo, secondo e dolce – e rendere consapevoli i consumatori, senza fare prediche a nessuno?

Per valutare l’impronta dei cibi sull’ambiente esiste una speciale analisi chiamata Life cycle assessment (Lca), che permette di misurare le prestazioni ambientali di un prodotto nel suo intero ciclo di vita. Sulla valutazione dell’Lca si basa la Pef (Product environmental footprint), una metodologia promossa dalla Commissione europea per calcolare l’impatto di un prodotto, a partire dalla produzione delle materie prime e passando attraverso trasporto, preparazione, confezionamento e distribuzione, tenendo infine conto dello smaltimento e del recupero energetico derivante dal riciclo.

Antipasti, il costo ambientale è elevato

Due degli antipasti più gettonati del cenone di fine anno sono il salmone e il tagliere di formaggi e salumi. Nulla da dire sulla loro bontà, ma entrambi possono nascondere un’impronta ecologica non indifferente, dovuta a molteplici fattori, che pesano su tutta la filiera di produzione e distribuzione. 

Prima di parlare di salmone, è necessario chiarire il concetto di acquacoltura, un sistema di produzione che prevede l’allevamento di pesci, crostacei e molluschi. Negli ultimi anni è in costante aumento rispetto alla pesca tradizionale e ciò è dovuto all’enorme domanda mondiale di pesce. Il 95,6 per cento della produzione si concentra in cinque paesi: Norvegia, Cile, Scozia, Canada e le Isole Faroe, un arcipelago al largo delle coste danesi. Nonostante la pandemia da Covid-19, nel 2021 il mercato del salmone ha registrato un boom: il report “Globefish highlights” dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha stimato che l’allevamento di questo pesce sia aumentato del 4,4 per cento, arrivando a 2,8 milioni di tonnellate, grazie alle favorevoli condizioni ambientali. Uno studio inglese del 2017 ha però evidenziato che tutto è connesso con lo stato di salute degli oceani: inquinamento, innalzamento della temperatura ed eventi estremi come gli uragani minacciano l’equilibrio naturale, con la possibilità che le quantità e la qualità del pescato diminuiscano. Quel che è certo è che per 100 grammi di pesce allevato occorrono poco meno di 200 litri d’acqua, con un consumo di anidride carbonica pari a 0,5 chili, come si evince dai dati dell’European data journalism.

Decisamente maggiore l’impatto sull’ecosistema del formaggio, anche se a oggi non vi sono dati a sufficienza per valutarne l’effettiva incidenza. Per questo motivo l’Unione europea ha finanziato l’iniziativa Life Tgtt (The tough get going, i duri cominciano a giocare, dove per “duri” si intendono i formaggi stagionati), il cui obiettivo è calcolare l’impronta ambientale del settore lattiero-caseario, che nel 2021 è stato richiamato anche dalla Corte dei conti comunitaria. 

Le differenze tra i produttori sono sostanziali. Ci sono le grandi aziende intensive, dall’altro realtà locali e più sostenibili. Come riporta l’Istituto per l’agricoltura e la politica commerciale “solo venti aziende europee di carne e latticini insieme producono l’equivalente di oltre la metà delle emissioni di Regno Unito, Francia e Italia”. Di queste, solo sette aziende lattiero-casearie (Arla, Nestlé, Danone, FrieslandCampina, Glanbia, Sodiaal e Bongrain/Savencia) e tre trasformatori di carne (Abp, Danish Crown e Dawn Meats) si sono prefissati degli obiettivi per ridurre l’impatto sull’ambiente, che spesso però si riducono a compensare un danno che è già stato prodotto. Sempre secondo l’European data journalism, un chilo di formaggio produce emissioni di Co2 che superano i 21 chili, mentre il consumo d’acqua è pari addirittura a 5.000 litri.

Non esistono dati esatti sulle emissioni prodotte dai salumi, che in questo caso sono equiparati alla carne di maiale: per un chilo di prodotto servono 4.800 litri d’acqua, con una quantità di Co2 immessa nell’ambiente di oltre 7 chili.

Primo, un impatto tollerabile

Tortellini, lasagne, cannelloni: qualunque tipo di pasta si scelga, l’importante è sapere che, senza contare il ripieno, questo tipo di pietanza ha un’impronta sull’ambiente “leggera”: una porzione da 100 grammi pesa produce poco più di 150 grammi di Co2 equivalente (che esprimere in modo uniforme l’impatto sul clima dei diversi gas serra) nell’ambiente. 

Se si può tirare un sospiro di sollievo, serve tenere controllata tutta la filiera, perché l’impronta del cibo in sé non venga aggravata dai trasporti. Essendo un Paese gran consumatore di questo prodotto, l’Italia deve importare una percentuale del grano, materia prima essenziale: il 30 per cento, con i maggiori partner che sono la Francia, l’Ungheria e il Canada. 

Nel 2020 più del 30 per cento degli italiana sperimentava nuovi metodi di cottura, dallo spegnimento dei fornelli in anticipo all’utilizzo della pentola a pressione

Importante rimane sempre fare una scelta consapevole sul packaging – che sempre più aziende rendono pronto per la raccolta differenziata – e controllare la provenienza degli ingredienti. Un’attenzione che può arrivare sino ai fornelli: una ricerca Doxa-Unione Italiana Food ha messo in luce quanto già nel 2020 più del 30 per cento degli italiana sperimentava nuovi metodi di cottura, dallo spegnimento dei fornelli in anticipo all’utilizzo della pentola a pressione.

Arrosto o spezzatino?

L’arrosto con patate è un piatto forte del cenone, consumato in più regioni d’Italia. Se il contorno ha un impatto ambientale davvero minimo – per un chilo di patate si immettono in atmosfera 0,3 kg di Co2eq – lo stesso non si può dire della carne bovina, considerata fra gli alimenti maggiormente inquinanti. Uno dei dati più eclatanti – per produrre un chilo di carne occorrono oltre 15.000 litri d’acqua – è stato oggetto di numerose critiche, sebbene l’informazione sia stata pubblicata sul report The green, blue and grey water footprint of farm animals and animal products realizzato dall’Unesco. Nessun dubbio quindi sull’attendibilità della fonte, che fotografa una situazione globale, non tenendo conto delle differenze sostanziali tra i differenti paesi. Come si legge in una nota redatta dal Dipartimento di medicina veterinaria dell’università Federico II di Napoli “si tratta di una stima che media condizioni di allevamento molto differenziate probabilmente non adatta al contesto di allevamento italiano, dove la carne bovina si ottiene per il 70-75 per cento da vitelloni allevati con sistemi specializzati ed efficienti. Recenti valutazioni riportano, infatti, consumi di acqua per produrre carne bovina nel nostro Paese inferiori del 25 per cento rispetto ai valori medi mondiali”.

A tavola con il maiale 

Il cotechino, che nel cenone di Capodanno è accompagnato dalle immancabili lenticchie, è un insaccato di maiale, contenuto in un “sacco” ricavato dal budello dell’animale. L’impasto contiene all’incirca in parti uguali muscoli di spalla, estensori e flessori della gamba, cotenna macinata e parti carnose e ghiandolari del guanciale. Per completare la ricetta, si aggiungono sali, aromi e spezie. Come per i salumi, non esistono dati che si riferiscono direttamente al cotechino bensì alla carne di maiale.

Un chilo di carne di maiale genera la stessa quantità di Co2 di 80 chili di patate

Sebbene questo tipo di lavorazione sia molto meno inquinante rispetto alla carne bovina, come spiega il Wwf un chilo di carne di maiale genera la stessa quantità di Co2 di 80 chili di patate. Anche in questo caso, come per tutti gli altri tipi di alimenti, bisogna ovviamente distinguere tra allevamenti intensivi e sostenibili, con i primi che producono danni nettamente superiori rispetto ai secondi. Come evidenziato dal rapporto realizzato nel 2017 dall’associazione ambientalista Terra!, ogni anno nel mondo vengono allevati 1,5 miliardi di suini e più del 70 per cento vivono rinchiusi negli allevamenti intensivi, senza mai assaporare l’aria aperta. Il ciclo di vita di questi animali, costretti in piccole gabbie e imbottiti di antibiotici, è breve (appena qualche mese) e in molti casi segnato da dolorose mutilazioni (coda e denti). L’obiettivo dell’industriale di turno è ridurre i costi di produzione e vendere al minor prezzo possibile. A farne le spese, oltre agli animali, sono i consumatori, che mangiano suini non in salute e nutriti con cereali di dubbia origine. L’Unione europea prevede l’obbligo di etichettare le confezioni, attraverso cui è possibile risalire al luogo di allevamento e macellazione, mentre non vi è traccia di informazioni riguardanti  metodo di allevamento e costi ambientali.

Lievitati da ricorrenza

Il panettone e il pandoro, al pari della colomba pasquale, sono definiti “lievitati da ricorrenza” e il loro consumo è pressoché limitato alle festività. Nel 2005 il ministero delle Attività produttive e quello delle Politiche agricole, per tutelare questi capisaldi del made in Italy, hanno emanato un decreto che, fra le altre cose, descrive i requisiti affinché i due dolci da forno possano fregiarsi del loro nome, definendo requisiti inerenti, ad esempio, forma, crosta superiore e composizione dell’impasto. 

Per ogni fetta di panettone si consumano 0,11 metri cubi d’acqua e 0,37 ch di Co2

Secondo la norma, un panettone a regola d’arte contiene farina di frumento, zucchero, uova di gallina di categoria A o tuorlo d’uovo, o entrambi (in quantità tali da garantire non meno del 4 per cento in tuorlo); materia grassa butirrica (non inferiore al 16 per cento; uvetta e scorze di agrumi canditi (non inferiore al 20 per cento), lievito naturale costituito da pasta acida e sale. Il produttore è poi libero di aggiungere latte e derivati, miele, malto, burro di cacao, zuccheri e, seppure entro certi limiti, lievito, aromi naturali, emulsionanti e conservanti. Un dolce all’apparenza semplice, che Altroconsumo ha analizzato ai raggi X per scoprire che impatto ambientale produce. Per ogni fetta da 100 grammi di panettone si consumano 0,11 metri cubi d’acqua e 0,37 ch di Co2, mentre per la stessa dose di pandoro sono necessari 0,54 metri cubi di acqua, con un’impronta di carbonio pari a 0,40 kg. 

Consumo di acqua e Co2 nel menù di capodanno (a persona):

Antipasto

salmone (50 gr)

formaggi (50 gr)

salumi

Primo

tortellini (100 gr, di cui 60% pasta e 40% ripieno)

Secondo e contorno

arrosto (100 gr)

patate (50 gr)

Il portafortuna

cotechino (50 gr)

lenticchie (25 gr)

Dolce, vino e spumante

una fetta di panettone (100 gr)

un bicchiere di vino (150 ml)

un calice di spumante (100 ml)

Totale

Consumo d’acqua (a persona): 4.000 litri

Consumo di anidride carbonica (a persona): 11,2 kg

Crediamo in un giornalismo di servizio ai cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un’informazione di qualità, sostieni lavialibera

veronulla

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com