Annegare in un mare di input superflui

Annegare in un mare di input superflui
Siamo assediati, siamo invasi, siamo fatti da e di informazioni. Curiosamente nel linguaggio di tutti i giorni la parola informazione ha subìto una riduzione semantica: significa semplicemente dare o ricevere notizie, le quali, beninteso, possono essere più o meno importanti, ma si tratta pur sempre soltanto di notizie che sui più diversi argomenti fluttuano, vengono trasmesse o vengono captate nei media di ogni tipo. I media stanno in mezzo, tra i diversi soggetti: sono appunto mezzi di comunicazione. Se però si riflette un po’ di più sulla parola e si risale al suo uso antico (per esempio in Dante), ci si accorge che essa contiene un significato più profondo, che è quello di in-formare, dare forma. Non si tratta dunque soltanto di notizie, ma di qualcosa che ha il potere di plasmare, di modellare. 

Quando i biologi ci dicono che nel Dna sono contenute le informazioni genetiche che guidano, per esempio, lo sviluppo dall’embrione al feto e dunque la messa in forma di un organismo, conferiscono al concetto di informazione il suo significato originario. E quando gli antropologi tirano fuori il concetto di cultura per sostenere che nel caso di Homo sapiens siano altrettanto importanti per la sopravvivenza di questa specie le informazioni culturali, conferiscono anch’essi al concetto di informazione un significato poietico, costruttivo. 

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L’essere umano è fatto di informazioni genetiche e culturali. Anzi, a quanto pare, è fatto di informazioni culturali ancor più che di informazioni genetiche: senza le prime – quelle che ci insegnano a camminare, a nutrirci, a parlare, a socializzare e così via – non saremmo in grado di sopravvivere. 

Ancor più che di dati genetici, per sopravvivere gli esseri umani hanno bisogno di informazioni culturali

Le informazioni genetiche sono selezionate e collaudate dall’evoluzione. E quelle culturali? Potremmo dire che sono collaudate dall’esperienza, dalle situazioni e dagli eventi che gli esseri umani debbono affrontare. Ma la rapidità con cui esse vengono generate e socialmente trasmesse ci induce a prendere in considerazione certi loro aspetti peculiari: da un lato la loro relativa precarietà o volubilità, dall’altro la loro sovrabbondanza. Le informazioni culturali sono infatti trasmesse attraverso i rapporti sociali mediante l’imitazione e attraverso il medium comunicativo per eccellenza di cui dispone Homo sapiens, vale a dire il linguaggio, il quale di solito non si limita a trasmettere le informazioni culturali come se fossero comandi secchi, diretti, essenziali, ma le ammanta di approfondimenti, motivazioni, suggestioni.

Pure le informazioni culturali più importanti sono, per così dire, trascinate da una corrente ininterrotta di conversazioni, di racconti più o meno fantasiosi (quali sono i miti), persino da pettegolezzi. Un secolo fa, Bronislaw Malinowski raccomandava ai suoi allievi in procinto di compiere le loro ricerche sul campo di prestare molta attenzione ai pettegolezzi della gente del villaggio, perché da lì si ricavano indizi sui valori vigenti in una determinata cultura. Se poi si tiene conto che il linguaggio umano – a differenza dei sistemi comunicativi delle altre specie animali – è un sistema aperto, caratterizzato da un’inesauribile creatività – quale si manifesta anche nella produzione di mezze verità, oltre che di bugie e menzogne – comprendiamo il senso di questa frase di un altro grande antropologo, Clifford Geertz: noi, esseri umani, dobbiamo porre rimedio al vuoto parziale lasciato dalle informazioni genetiche, riempiendolo «con le informazioni (o disinformazioni) fornite dalla nostra cultura». 

La produzione di dati nel mondo globalizzato è potenzialmente infinita e fuori controllo

A lungo, gli antropologi hanno elaborato le loro teorie, avendo come punto d’appoggio le loro esperienze sul campo in società di piccole dimensioni: già a livello di villaggio è possibile però cogliere il carattere equivoco che possono avere le informazioni culturali. Che dire quando prendiamo in considerazione il villaggio globale (Marshall McLuhan) dove la quantità, la rapidità e la diffusività delle comunicazioni hanno raggiunto livelli mai conosciuti prima? L’antropologo norvegese Thomas Hylland Eriksen parla di un “sovraccarico di informazioni”, il quale si aggiunge ai “processi di surriscaldamento che stanno soffocando il nostro pianeta” (l’uso dei combustibili fossili, l’urbanizzazione incontrollata, la smisurata produzione di rifiuti). Vi è un “eccesso di informazioni” che mette pericolosamente fuori causa le capacità di controllo da parte degli esseri umani, i quali perciò rischiano di “annegare in un mare di informazioni superflue”. Non solo: mentre altri fattori del surriscaldamento globale conoscono dei limiti naturali, la crescita di dati nel mondo globalizzato è “potenzialmente infinita”. 

Ben più di altre specie, ci siamo affidati alla produzione di informazioni culturali: da queste abbiamo fatto dipendere la nostra sopravvivenza e le nostre forme di umanità. Che ne è allora del senso della nostra umanità, dal momento che tale produzione – come afferma Eriksen – è andata decisamente “fuori controllo”? 

Da lavialibera n°8 2021

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