Alec Trenta: “Così sono nato due volte”

Alec Trenta: “Così sono nato due volte”
Si può nascere due volte? Sì, e Alex Trenta lo racconta nella sua graphic novel Barba (Laterza, 2022), un libro che parla della sua transizione, più che da donna a uomo “da disforia a euforia”. Il passaggio da uno stato di inquietudine, in cui non si riconosce, a una dimensione in cui mente e corpo sono invece a loro agio. “Quando ti senti bene – dice l’autore a lavialibera – inizi ad ascoltare gli altri e a vivere meglio. Ho avuto la fortuna di avere una transizione luminosa”. Alec ha 23 anni, è nato a Roma e vive a Urbino, dove studia grafica applicata all’editoria, “un corso dove ti forniscono degli strumenti e tu decidi come utilizzarli. Prima ho frequentato il liceo classico e tre anni di videomaking, ma mi ritrovavo sempre a tenere il “gatto” (lo strumento per ridurre i suoni dei microfoni, ndr) o a montare le strumentazioni. È stato allora che ho deciso di cambiare strada”.

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E così si arriva a Barba, la tua prima graphic novel. È un libro di formazione?

Non saprei. Racconto del raggiungimento di una delle tante consapevolezze. Una volta che il vuoto si è riempito, la mia vita all’improvviso è diventata vuotissima. Senza quel problema non c’era nulla a cui pensare, ho dovuto ricostruire tutto da capo. Sarebbe figo se tutta la vita fosse un’esperienza di formazione. Se Barba rientrasse in questo campo, sarebbe davvero super. Spero che a qualcuno serva, e non solo alle persone che hanno vissuto una storia simile alla mia. Alla fine tutti si ritrovano a fare i conti con quello che sono e con chi vorrebbero essere.

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Parli di cambiamento, della voglia di passare “dalla disforia all’euforia”, anche attraverso delle riflessioni sul concetto di genere. Quanto è complicato affrontare argomenti così delicati?

Lo spiegone sul genere è stato il più difficile da scrivere, è impossibile condensare tanti concetti in una sola facciata. Poi ho pensato ai lettori, volevo che questa storia fosse per tutti, anche per chi non sa nulla dell’argomento. Parlo di identità di genere, orientamento sessuale, sesso assegnato alla nascita e chi è interessato può approfondire. La paura più grande è non dire tutto, utilizzare dei simboli.

Alla fine tutti si ritrovano a fare i conti con quello che sono e con chi vorrebbero essere

Quali?

La comunità trans ha un simbolo specifico e dei colori identificativi (rosa, celeste e bianco, ndr), ma ho voluto utilizzare altri segni: una pesca, una lampadina e un cuore. Alla fine è sempre una questione di curiosità, chi vuole cerca. Non volevo escludere nessuno.

La pagina più semplice da scrivere?

Quella dei ricordi con i miei nonni. Mi sarebbe piaciuto dedicare l’intero libro a quegli aneddoti, ma mi hanno detto che avrei dovuto raccontare una storia e così ho fatto.

Quando hai iniziato a scrivere Barba?

Non ricordo il momento esatto, è come se avessi cucito un maglione. Ho sempre avuto una serie di immagini nella mente, come il vuoto nella pancia, le sfere, ma non capivo a cosa rimandassero. Poi ho iniziato un percorso dallo psicologo e ho capito molte cose. Poco prima di iniziare la terapia ormonale, ho iniziato a scrivere, a ordinare le idee. Il pezzo tosto, quello della “porta blu” (la porta dello studio del suo psicologo, ndr) era già passato.

Mentre ti trovi davanti alla porta blu, ti assale quella che definisci “la bolla dello stereotipo”. Quali sono i luoghi comuni che ti hanno fatto più soffrire?

Questa domanda è tostissima, ho paura di dire cose brutte. Mi chiedevo perché non stessi male, come mai non soffrissi, tutte le persone trans sono tristissime. Solo dopo ho capito che non è così, ognuno compie il proprio percorso. Le difficoltà si incontrano sempre e non tutti hanno avuto la mia stessa fortuna. Conosco storie di grande dolore, come quelle donne transgender che sono costrette a fare le sex worker. Sono pensieri che ti rimangono in testa. Prima di incontrare lo psicologo, mi ripetevo: “Ecco qua, adesso dovrò fare la sex worker”.

Come mai?

Era quello che sentivo intorno a me. Poi ho capito che non esiste una vera definizione di trans, è una condizione umana come tantissime altre, senza schemi fissi. Ci sono persone che non affrontano la terapia ormonale, che non fanno alcun intervento. Non c’è un percorso standard e uguale per tutti. La questione non è come sei fatto, ma chi sei. 

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Pensi ci sia una rappresentazione sbagliata delle persone transgender?

Sì, è una caricatura nociva. Per capire meglio mi racconto spesso una storia. Facciamo finta di avere dentro di noi un mandarino. L’identità di genere è solo uno spicchio, gli altri sono il modo di vestire, la musica che ascolti, ecc. Essere trans non significa indossare qualcosa in particolare o comportarsi in un certo modo, preferisco parlare delle persone e di quello che sono.

Scrivi che “essere non è una scelta, migliorare le proprie condizioni sì”. Cosa significa?

L’invito è cercare qualcosa che ci faccia stare bene, che ci avvicini alla felicità. Da quando ho iniziato la terapia ormonale, capisco molto di più cosa mi piace e cosa no.

L’invito è cercare qualcosa che ci faccia stare bene, che ci avvicini alla felicità. Da quando ho iniziato la terapia ormonale, capisco molto di più cosa mi piace e cosa no

Quanto è stata importante la musica durante il tuo percorso?

Ho inserito quattro cantanti (Giovanni Truppi, Ghemon, i Camillas, La rappresentante di lista, ndr), perché mentre scrivevo li ascoltavo nelle cuffiette. Ghemon lo seguo da quando sono piccolo, è stata una fonte di distrazione e di coraggio. Altre canzoni, invece, sono servite per creare delle immagini. Senza musica non riesco a fare assolutamente niente. Quando ho conosciuto Giovanni Truppi, ho scoperto un mondo. La canzone del pane de I Camillas mi ricorda l’infanzia mentre La rappresentante di lista, oltre a fare testi fighissimi, è un gruppo che mi da molta forza, con loro è una connessione quasi ideologica.

C’è poi Pablo, che tu definisci coinquilino. Chi è in realtà?

A dire il vero non so chi sia. Quando frequentavo il liceo disegnavo tantissimi felini, tigri in particolare. È un po’ una fissa, come quegli scarabocchi che escono dalla penna mentre telefoni. Mentre immaginavo la storia, ho pensato a quanto noiosa potesse essere con Ale unico protagonista. Serviva un espediente, un nuovo personaggio, ed essendo cresciuto con Zerocalcare non potevo fare altro che creare Pablo. Mio nonno si chiama Paolo, ma non volevo mettere lo stesso nome e così l’ho un po’ cambiato.

Alla fine del libro hai aggiunto un sito e un numero di telefono. Cosa sono e a cosa servono?

È una delle pagine più importanti del libro. Per me è stato fondamentale sapere che esistono delle strutture dedicate a questo tipo di tematiche. Il sito www.infotrans.it raccoglie in una mappa interattiva i servizi dedicati alle persone transgender, mentre il numero di Gay help line è per denunciare eventuali situazioni di pericolo. Da soli non si va da nessuna parte.

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