Cop27 a Sharm El-Sheik: cos’è la conferenza sul clima e cosa dobbiamo aspettarci

Cop27 a Sharm El-Sheik: cos’è la conferenza sul clima e cosa dobbiamo aspettarci
Alla prossima Cop27, la conferenza delle Nazioni unite sul cambiamento climatico, l’economia sarà l’indiscussa protagonista. Per contenere le emissioni di anidride carbonica e limitare le conseguenze dell’inquinamento, i 197 paesi che dal 6 al 18 novembre si riuniranno a Sharm el-Sheikh, in Egitto, necessitano di denaro. Servono con urgenza investimenti e finanziamenti per quei stati che più di altri hanno pagato e continuano a pagare i danni causati dai cambiamenti climatici.

A pochi giorni dall’inizio dei lavori, non mancano le proteste: contro il greenwashing – l’ecologismo di facciata – dopo che la multinazionale Coca Cola è stata inserita fra i main sponsor dell’evento; per la scelta di organizzare la conferenza in Egitto, dove il governo presieduto da Abdel Fattah al-Sisi limita l’azione degli attivisti. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni parteciperà all’inaugurazione della conferenza il 7 e l’8 novembre, nonostante abbia eliminato il ministero della Transizione ecologica, sostituito dall’ibrido dicastero ambiente-sicurezza, assegnato a Gilberto Pichetto Fratin. Una scelta che non smentisce il programma elettorale di Fratelli d’Italia, secondo il quale “l’ecologia attenta non può voltare le spalle all’imprenditoria”. 

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Cosa sono le Cop

La Cop27 di Sharm el-Sheikh è l’ultima tappa di un percorso multilaterale avviato nel 1992 con l’approvazione, a Rio de Janeiro, della prima Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Unfccc). Successivamente, nel 1997, è stato approvato il Protocollo di Kyoto (Cop3), il primo trattato internazionale in materia, e l’Accordo di Parigi del 2015 (Cop21), il primo giuridicamente vincolante. 

Cop sta per Conferenza delle Parti: è l’organo decisionale più importante della Convenzione sul clima e rappresenta 197 Stati. Si riunisce ogni anno con il compito di revisionare i documenti nazionali e verificare l’attuazione di ciò che viene deciso, nonché il raggiungimento degli obiettivi prefissati. La prima conferenza si è tenuta a Berlino nel 1995 e da allora è organizzata in città che offrono la possibilità di accogliere le delegazioni.

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Gli obiettivi della Cop27

L’Africa ha già ospitato la Cop nel 2016 a Marrakesh, in Marocco, un anno dopo l’incontro di Parigi che aveva segnato uno spartiacque, imponendo ai paesi partecipanti di impegnarsi a mantenere l’aumento delle temperature medie globali, entro la fine del secolo, al di sotto di 1,5 gradi, con un limite massimo di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
In quell’occasione gli obiettivi da perseguire erano due: pianificare le misure e i meccanismi di revisione riguardanti la diminuzione delle emissioni globali e implementare la “finanza globale”, che dal 2020 doveva procedere al risarcimento degli stati che, pur contribuendo solo in piccola parte all’inquinamento del pianeta, pagavano in termini ambientali conseguenze catastrofiche. 

Risarcimento danni

Sei anni dopo, la missione della Cop27 è rimettere al centro del dibattito i finanziamenti da destinare alle aree che hanno subito perdite e danneggiamenti – loss and damage – a seguito di eventi climatici estremi (ad esempio, gli uragani) ed episodi che hanno mutato profondamente l’aspetto e l’equilibrio dei territori, come succede con periodi prolungati di siccità. Intervenire a posteriori costa sempre di più: nell’ultimo Adaptation gap report del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, si stima che se si tenesse conto di un periodo che va da oggi al 2050, l’adattamento ai cambiamenti climatici potrebbe costare dai 280 ai 500 miliardi di dollari all’anno, cifra che tiene soltanto conto dei paesi in via di sviluppo.

Quei soldi che faticano ad arrivare

Anche durante la preCop27 – l’evento preparatorio alla conferenza, che quest’anno si è tenuto a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo – si è discusso di come spostare il punto di vista dagli interessi dei paesi del G20 a quelli più poveri. La ministra dell’Ambiente congolese Eve Bazaiba ha detto: “Ci serve ossigeno, ma ci serve anche il pane”, denunciando la difficoltà di trovare soluzioni alla povertà estrema in alcuni territori del mondo e di sostenere le conseguenze della crisi climatica. Ai paesi industrializzati si chiedono tecnologia e finanziamenti. “A meno che non venga fatto uno sforzo globale, nessuno riuscirà a sfuggire”, ha esortato Bezaiba.

Per ridurre il divario tra ricchi e poveri, la soluzione era stata individuata in un maxi risarcimento di 100 miliardi all’anno. L’obiettivo è ancora lontano

Per ridurre il divario tra ricchi e poveri, la soluzione era stata individuata in un maxi risarcimento di 100 miliardi all’anno, da distribuire ai paesi più svantaggiati. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sono stati mobilitati fondi per 83,3 miliardi di dollari nel 2020 e, nonostante un aumento rispetto agli anni precedenti (erano 79.6 miliardi nel 2019 e 78.3 nel 2018) l’obiettivo è ancora lontano.

Monitoraggio per i passi in avanti

Una soluzione per migliorare l’analisi dei progetti di finanziamento a livello quantitativo e qualitativo la fornisce l’Accordo di Parigi del 2016. All’articolo 14 si legge come la Cop abbia il compito di “verificare periodicamente l’attuazione dell’accordo, per valutare i progressi collettivi compiuti verso la realizzazione dello scopo per cui esso è inteso e dei suoi obiettivi a lungo termine (definito global stocktake o bilancio globale)”. Questo studio annuale considera tre grandi aree: la mitigazione, l’adattamento e i mezzi di attuazione e sostegno. Quest’anno si decideranno gli ultimi dettagli, visto che il primo bilancio sarà redatto nel 2023 e poi revisionato ogni cinque anni.

Problemi della Cop27

La Cop rischia di passare in sordina per molti motivi. Innanzitutto, la contingenza internazionale con l’aggressione russa all’Ucraina, che ha distolto l’attenzione dalla questione climatica, spostando il focus sulla crisi energetica. Ci sono poi due temi che riguardano l’organizzazione dell’evento: il greenwashing e lo stato dei diritti civili in Egitto. “La Cop si tiene in un paradiso turistico, in un paese che viola molti diritti umani fondamentali”, ha accusato Greta Thunberg, fondatrice dei Fridays for future, che non parteciperà all’evento. “È importante lasciare spazio achi ha bisogno di essere lì – continua –  per gli attivisti sarà difficile far sentire la propria voce”.

Greenwashing

Coca-Cola, sponsor della conferenza sul clima, è il peggior inquinatore di plastica al mondo

“Le conferenze internazionali sul clima vengono utilizzate dalle persone che occupano posti di potere come opportunità per ottenere attenzioni con tanti diversi tipi di greenwashing”, ha ribadito qualche giorno fa Greta Thunberg. Per comprendere quanto le lobby siano potenti all’interno di questi eventi, basta dare un’occhiata agli sponsor. Su tutti spicca Coca-cola, che ha annunciato di volere ridurre del 25 per cento, entro il 2030, le emissioni assolute ed “esplorare le opportunità per costruire la resilienza climatica in tutta la sua attività”. Peccato che secondo il report “Holding Corporations Accountable for the Plastic & Climate Crisis”, la Coca-cola company, per il quarto anno consecutivo, risulta essere il peggiore inquinatore di plastica al mondo, avendo prodotto solo nel 2020 2,981,421 tonnellate di plastica. 

Ombre sui diritti umani

Negli ultimi dieci anni il paese nordafricano ha raggiunto quota 60mila prigionieri politici. Fra questi, attivisti per i diritti umani e ambientali

Un’altra ombra offusca la Cop egiziana. Negli ultimi dieci anni il paese nordafricano ha raggiunto quota 60mila prigionieri politici. Fra questi, figurano attivisti per i diritti umani e ambientali che sono stati rinchiusi con false accuse avanzate dalla Commissione egiziana per i diritti e le libertà. In vista della Cop, le autorità hanno chiarito che le proteste saranno consentite solo in un’area lontana dal centro conferenze. L’organizzazione Human rights watch ha denunciato che “il governo egiziano ha gravemente ridotto la capacità dei gruppi ambientalisti di svolgere politiche indipendenti”. In molti casi i ricercatori hanno subito intimidazioni, sono stati minacciati ed è stato intimato loro di non occuparsi di certi argomenti. Le organizzazioni che indagano su progetti “opachi” de Il Cairo faticano a essere finanziate o, addirittura, non possono registrarsi. Un atteggiamento che il governo di al-Sisi non riserva soltanto agli attivisti ambientali, ma anche a chi si occupa di diritti umani. Lo scorso marzo, in una dichiarazione congiunta degli stati membri delle Nazioni unite, si evince una “profonda preoccupazione” per “le restrizioni alla libertà di espressione e al diritto di riunione pacifica, lo spazio limitato per la società civile e l’opposizione politica”. Motivazioni che sono risultate comunque insufficienti per organizzare in modo diverso la Cop27. 

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